Capitolo 409: Incipe, parve puer...

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"Stai bene?" chiese piano la Sforza, mentre il fiorentino si sforzava di sorridere ancora al figlio.

Dalla finestra lasciata aperta arrivavano le voci dei soldati nel cortile. Si stavano addestrando da ore e sembrava assurdo, ma il gran caldo pareva averli resi molto più loquaci e chiassosi del solito.

"Sì, sì..." annuì il Popolano facendole segno di prendere Ludovico.

Caterina si alzò e recuperò il piccolo, tenendolo tra le braccia e poi rimase fissa in piedi a guardare il marito.

"È colpa mia." si accusò da solo l'uomo: "Quando arrivo a questa parte mi intristisco sempre. È che penso a mia madre e..."

La Leonessa fece per dirgli qualcosa, ma lui fu il primo a sviare il discorso, facendole capire che, in fondo, non aveva voglia di indugiare su quel genere di argomenti.

Da quando erano sposati, la Contessa aveva avuto modo di capire che il fatto di aver perso la madre alla nascita era per suo marito un tormento di fondo, come qualcosa che, non appena venivano meno le distrazioni, tornava a pungolarlo, suscitandogli spesso sentimenti contrastanti.

"Hai avuto notizie da Ottaviano?" chiese il Medici, passandosi nervosamente una mano sulla coscia.

Anche quel gesto, apparentemente casuale, fece sentire in difetto la moglie. Le dita di Giovanni erano gonfie, rovinate, chiaramente gli rendevano difficile fare molte cose. Aveva preso l'abitudine di portare il nodo nuziale al collo o nel taschino del giustacuore, e non era infrequente scoprirlo intento a tentare di chiudere e aprire il pugno, con una smorfia sul viso.

Caterina stava rimettendo Ludovico nella culla, dandogli le spalle, ma si sentì comunque arrossire nel dire: "No, non ancora..."

Il Medici fece un sospiro e passò a discorrere del tempo secco e caldo e dei problemi che si stavano già avendo con la scarsità di riserve di cibo.

"Di questo passo – fece, dopo un po' – dovrò insistere con mio fratello per farmi avere i miei soldi e comprare dell'altro grano..."

La Tigre non sapeva perché non gli volesse dire della lettera che le era arrivata dal Capitano. Forse, cercava di convincersi, stava aspettando unicamente allo scopo di proteggere il marito dalle parole un po' rigide che erano state usate per descrivere Lorenzo e palazzo Medici.

In realtà, però, la Contessa sapeva bene che la sua reticenza era legata al fatto che voleva farsi prima da sola un'idea precisa della situazione e solo dopo parlarne con lui.

Giovanni stava ancora discorrendo del grano, mentre Caterina osservava Ludovico distratta, immersa nei suoi pensieri.

Qualcuno bussò alla porta e quando la Sforza andò ad aprire, si trovò davanti il castellano che le riferì: "Ci sono dei rappresentanti dei contadini che vogliono parlarvi della scarsità dei raccolti che avremo anche quest'anno e altri che vogliono vedervi per discutere delle febbri che si stanno spandendo nelle campagne."

La Tigre, inconsciamente, si voltò verso il Medici che, alzandosi dalla poltrona con un piccolo gemito di protesta per via del male alle gambe, le arrivò subito al fianco e dichiarò: "Mi occupo io dei raccolti. Tu parla pure con quelli che sono qui per denunciare le febbri." poi si rivolse al castellano: "Richiamate le balie, per favore. Non voglio che nostro figlio resti da solo."

Cesare Feo annuì e, dopo che il Popolano ebbe salutato la moglie con un bacio, precisò: "Messer Medici, quelli che volete incontrare sono nel mio studiolo."

Mentre Giovanni si allontanava, il castellano riferì alla Contessa che invece i suoi interlocutori erano in attesa nel primo cortile.

"Chiamate subito le balie – ribadì la Tigre, prima di andarsene – e dite loro di cercare Bianca, se mio figlio dovesse far fatica a stare tranquillo. Credo sia nelle cucine, a quest'ora."

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora