Capitolo 391: Che c'è di più dolce del miele? Che c'è di più forte del leone?

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Non voleva farlo, ma continuava a correre con il pensiero a sua madre. Non l'aveva mai potuta conoscere e non avrebbe sopportato di sapere anche suo figlio orfano. Caterina era una donna forte, ma le fatalità non guardano in faccia a nulla.

Vedendo il fiorentino pallido e teso, Cesare Feo si staccò un momento dal gruppo di militari che stavano parlottando e lo raggiunse. Gli posò una mano sulla spalla e fece un sospiro.

"Andrà tutto bene." lo rassicurò: "La Contessa è una tigre, voi lo sapete meglio di me."

Il Medici annuì, apparentemente un po' più calmo, ma quando la porta della camera si spalancò all'improvviso, l'irruenza con cui scansò il castellano la disse lunga sull'ansia che aveva ancora in corpo.

"Stanno bene, tutti e due." annunciò la levatrice, le mani ancora sporche di sangue: "La Contessa chiede di voi." aggiunse, indicando Giovanni.

Con la sua corsa claudicante, il Popolano volò subito in camera, mentre i presenti si abbandonavano a qualche motto di soddisfazione per la lieta notizia.

Il fiorentino, appena gli venne chiusa la porta alle spalle, si fermò un momento e guardò la scena che aveva davanti. Sua moglie, coperta fino al seno, stringeva a sé un bambino appena nato. Madre e figlio si guardavano in silenzio, creando una specie di aura impalpabile che nemmeno il vociare della levatrice e della sua assistente riuscivano a scalfire.

Il dottore era in un angolo, le maniche del camicione tirate su fino al gomito e un'espressione stanca, ma soddisfatta in volto.

Quando Caterina sollevò finalmente gli occhi dal suo piccolo, sorrise e con un brevissimo cenno del capo invitò il marito ad avvicinarsi.

Giovanni sentiva le gambe molli e le mani tremare un po'. Mosse qualche passo incerto e quando la Contessa chiese a tutti di lasciarli soli qualche minuto, l'uomo si fermò proprio.

Appena il medico, la levatrice e la ragazza che l'aiutava furono usciti, la Tigre disse: "Avanti, vieni a conoscere tuo figlio."

"È un maschio..?" sussurrò il Popolano, con il petto tanto squassato dalla corsa del suo cuore da sentirsi quasi mancare.

"Sì, è un maschio, come ti avevo detto io." confermò la Tigre.

Finalmente il fiorentino parve farsi coraggio e arrivò fino al letto. Adesso che era più vicino, sentiva l'odore ferrigno del sangue e poteva vedere il viso pallido e affaticato della moglie. Per un vago istante si chiese se tutto andasse davvero bene. Poi, però, prima che potesse chiederlo apertamente, i suoi occhi chiari vennero attratti dal fagottino rosa, coperto un po' da un telo chiaro, che la Sforza teneva appoggiato sopra il petto.

Con il respiro spezzato, Giovanni guardò il bambino: "Ommioddio, quanto è piccolo..." bisbigliò, tanto provato da quel momento da doversi sedere anche lui sul letto per non sentire le ginocchia cedere.

Guardando gli occhietti ancora spaesati e schiacciati del neonato, allungò con lentezza una mano e sfiorò con la punta di indice e medio la fronte del figlio, coperta da qualche rado ciuffo di capelli. Non curandosi della lacrima di commozione che gli scendeva sulla guancia, l'uomo gli accarezzò anche la guancia piena e l'orecchio. Quando scese lungo il bracciotto, e arrivò fino alla mano, restò incantato nel vedere quanto fossero piccole e perfette le sue dita.

La Leonessa osservava la scena in silenzio, guardando il contrasto tra la mano minuscola del bambino, così rosea e armoniosa, con quella del Medici, più grande e un po' rovinata.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora