Capitolo 384: Ribellione

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"Che dice?" chiese Giovanni, sedendosi sul letto per cavarsi le scarpe.

Era da tutto il giorno che le articolazione dei piedi gli davano fastidio. Erano rigide, infiammate, e anche quella notte lo avevano tormentato con dolori improvvisi e tremendi. Per fortuna non insopportabili come durante le crisi maggiori, ma non per questo meno fastidiosi.

"Dice che il papa sta per scegliere un nuovo marito per sua figlia." parafrasò Caterina, evitando di ripetere le frasi ampollose che Ascanio aveva architettato forse per metterle ansia: "E dice anche che Rodrigo Borja si sta orientando verso l'Orsini, il Duca di Gravina... O lui o uno degli Appiani di Piombino."

"Un Appiani?" chiese un po' stupito l'ambasciatore.

Sua cognata era un'Appiani, eppure nemmeno nella sua ultima lettera aveva fatto cenno a una simile possibilità, malgrado fosse quanto lui addentro alle questioni politiche ed estremamente attenta alle alleanze familiari. Probabilmente, non l'aveva fatto perché ancora non ne era al corrente.

"Semiramide ti ha scritto nulla?" chiese la Sforza, facendo lo stesso collegamento fatto dal marito.

Giovanni scosse il capo e assicurò: "Nemmeno una parola. Se è vero che il papa sta pensando a un Appiani, o lo fa da molto poco, o gli Appiani stessi ancora non ne consapevoli."

La donna fece una piccola smorfia e concluse, in tono abbastanza mesto: "Ecco, secondo Ascanio, però, questi due sono i pretendenti più probabili."

Il Popolano sollevò lo sguardo dai suoi tofi gonfi e occhieggiò verso la Leonessa: "E quindi?"

"E quindi mi chiede se voglio che spinga per Ottaviano." disse la Contessa, massaggiandosi la fronte.

Aveva un gran mal di testa, ma non aveva tratto giovamento da nessuno dei suoi intrugli. Certi li aveva scartati a priori, in realtà, per paura di far del male al figlio che portava in grembo. Benché non si risparmiasse nell'andare a cavallo o nell'usar la spada, si era detta che almeno limitarsi nell'ingestione di possibili sostanze dannose era un'accortezza sopportabile.

"Fossi in te ci proverei." disse il fiorentino, sporgendo un po' in fuori il labbro: "Tanto per sapere che proposte avrebbe in mente di fare. Al massimo, se la cosa non dovesse piacerci, potremmo rifiutare cordialmente dicendo che è stata un'iniziativa di Ascanio, o di Raffaele, proporlo. Visti i tipi che sono, nessuno lo dubiterà."

Caterina strinse il morso. Non era una cosa da prendere tanto alla leggera, ma in fondo suo marito aveva avuto un'idea più che passabile.

"Dici che vale la pena di provare?" chiese la donna, stendendo con cura la lettera sulla scrivania.

"Sì." confermò il Medici, stendendosi per dare requie alle sue povere articolazioni: "Mi rendo conto che, essendo Forlì nello Stato della Chiesa, è una situazione complessa. Ma Imola è una città indipendente. Credo che potremmo giocarcela bene. Sempre che il papa non si dimostri troppo arrogante."

La Sforza sospirò e poi, rivalutando il tutto in silenzio, ridiede ragione anche nella propria mente al fiorentino. Prima di scrivere la risposta per Ascanio, però, si mangiò il pane e il formaggio che Giovanni le aveva portato, rimuginando ancora sullo scacchiere labile e indecifrabile di alleanze che si stavano creando.


 Pandolfo Malatesta, le dita intrecciate sul petto in una posa affettata, guardava verso l'altare senza vederlo.

Alla Messa del vespro, la sera di quel 20 gennaio, c'era poca gente. Il signore di Rimini, che ci andava più per abitudine che non per altro, si stava chiedendo perché mai non se ne fosse rimasto a palazzo a bere e mangiare in santa pace.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now