Capitolo 383: Simpliciter pateat vitium fortasse pusillum

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"Tu pensa che versi eccelsi scriverebbe quel pezzo di legno del castellano Feo – sussurrò il Medici, mentre iniziava a sfiorarle il collo con le labbra – se un giorno di questi ci vedesse insieme nella sala delle armi o in quella della guerra..."

"Hai ragione – ribatté, con la voce un po' arrochita, la Sforza, sorvolando sulla critica che il marito aveva fatto gratuitamente a un uomo integerrimo come Cesare Feo – siamo due incoscienti a fare certe cose... Dovremmo stare più attenti."

"Tanto siamo sposati. Il castellano, come tutti gli altri, sanno benissimo quello che facciamo..." si allargò il fiorentino, cominciando a sciogliere i laccetti sulla schiena dell'abito della moglie.

"Sì, ma si presume che marito e moglie certe cose le facciano in camera da letto, senza farsi vedere o sentire da..." provò a ribattere la donna che, prima tra i due, era spesso la miccia che faceva scoppiare l'incendio della passione nei momenti e nei posti meno opportuni.

"A parte che ormai tutti hanno anche capito che sei incinta. E poi se ci si aspetta che noi si faccia certe cose nel segreto della nostra alcova d'amore..." la interruppe Giovanni, con una risata bassa e distratta, l'accento fiorentino che si riproponeva in modo netto, come sempre quando abbassava le difese per qualche motivo: "Se avessero una moglie come te, vorrei vedere, se anche loro non farebbero come me..."

Sensibile a quel genere di complimenti, la Tigre decise all'istante che non era il momento di sollevare la questione, e così si dedicò al marito senza più nominare né i loro furtivi incontri amorosi in luoghi potenzialmente rischiosi, né Cesare Feo, né nessun altro possibile testimone.

Dopo aver placato il reciproco desiderio e aver messo qualcosa nello stomaco, marito e moglie si assopirono nel silenzio di quella notte nevosa. Tuttavia, dopo nemmeno un'oretta, Caterina si risvegliò di colpo, madida di sudore gelato e scossa da un lieve tremito.

Giovanni dormiva ancora e non la sentì nemmeno quando si alzò dal letto, prendendo una delle coperte e avvolgendovisi a mo' di mantello per andarsi a mettere in piedi davanti al camino, nel tentativo di scaldarsi.

Gli occhi verdi persi nelle fiamme, la Contessa stava cercando di scacciare le vivide immagini dell'incubo che l'aveva appena risvegliata.

Ormai era avvezza a essere risvegliata da quel genere di sogni, ma, così come quando riviveva inconsciamente le violenze subite per mano di Girolamo Riario, o come quando rivedeva il padre, o Ludovico Marcobelli o Giacomo cadere in terra morti davanti a lei, quello che aveva rivisitato quella notte era uno degli scenari che più l'agitavano e la incutevano terrore.

Aveva rivisto la chiesa di Mordano, tappezzata da cadaveri e intrise di sangue secco. Aveva risentito il tanfo della morte e il silenzio nefasto con cui quella tacita folla di cadaveri l'aveva accolta.

Con la solita logica contorta dei sogni, quando la Tigre si era chinata per voltare il corpo di una delle donne di Mordano, si era riconosciuta nel suo volto tumefatto e lacerato ed era stato a quel punto che si era risvegliata con il fiato rotto e il cuore che pulsava all'impazzata.

Dopo qualche minuto passato a fissare le fiamme e scaldarsi, Caterina sentì di nuovo la calma tornarle nelle vene e lasciò la mente libera di vagare. Guardò la Casina che, nella penombra, sembrava ancora più piccola e accogliente del solito. In fondo, per una vita essenziale, lì c'era tutto.

Con un sospiro dolente, lanciò uno sguardo al Medici, che respirava leggero, il viso, un po' coperto dai riccioli castani, per metà affondato nel cuscino. Il suo corpo, coperto in parte dalle lenzuola, teneva quasi tutto il letto. Se non fossero stati così felici di stare vicini, probabilmente non avrebbero mai potuto sopportare di dormire in un giaciglio così stretto.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora