Capitolo 379: Chi è diffamato, è mezzo impiccato

Comincia dall'inizio
                                    

Una mano già sulla porta, per aprirla, Cesare chiuse gli occhi e poi, guardando il padre da sopra la spalla, assicurò: "Io sono pronto."


 Quel giorno Caterina era uscita presto, per andare fino a Forlimpopoli. Aveva incontrato suo fratello e lo aveva ragguagliato su come comportarsi con Achille Tiberti.

Dopo averne parlato con Giovanni il giorno prima, la Contessa era giunta alla conclusione che per uno come il Capitano la strada migliore sarebbe stata quella di allontanarsi da Forlì, appena possibile.

Anche se era un ottimo soldato, e anche se la sua campagna contro Rimini era stata interrotta da lei e non da sconfitte clamorose, si era dimostrato troppo indisciplinato e carente di pazienza. Quando il Medici fosse riuscito a ottenere una condotta per Ottaviano, allora si sarebbe fatto in modo di includere anche Tiberti nel patto.

Quando era rientrata a Forlì, la Tigre non era tornata subito alla rocca. Aveva attraversato lentamente le strade della città, rendendosi conto, con una piccola stretta allo stomaco, che in molti abbassavano lo sguardo al suo passaggio, dedicandole sì un mezzo inchino di saluto, ma non tradendo il minimo segno di calore nei suoi confronti.

'Vi ho guariti dalla peste e dalle febbri...' rimuginava tra sé la donna, addentrandosi sempre di più nei quartieri popolari: 'Vi ho dato il grano quando non ce n'era. Vi ho tolto quasi tutte le tasse. Vi ho salvati dai francesi. Ma voi ricordate solo quello che ho fatto quando è morto Giacomo.'

La consapevolezza che i suoi pensieri erano esatti le rese la bocca amara e per qualche istante temette di dover scendere di sella per vomitare.

Si passò lentamente una mano sul ventre, facendo avanzare il purosangue più lentamente con una piccola tirata di redini, e poi cercò con lo sguardo una locanda che conosceva bene e che non era molto lontana da lì.

Legò il cavallo fuori dall'osteria ed entrò tenendo il cappuccio ancora in testa. Quel giorno c'era una nebbia molto rada, ma molto bagnata, tanto che nei pochi tratti di strada che aveva fatto a capo scoperto, i suoi capelli si erano inumiditi veramente molto.

La locanda a quell'ora, benché fosse già quasi buio per colpa delle corte giornate di novembre, era praticamente vuota.

"Che c'è oggi?" chiese la donna, rivolgendosi all'oste che stava pulendo delle caraffe dietro al bancone.

"Manzo..." rispose il locandiere, sollevando l'angolo della bocca, ben sapendo che la Contessa preferiva altri tipi di carne.

Infatti il sospiro della Leonessa la disse lunga su quel che pensava del piatto del giorno, ma ne ordinò silenziosamente un po' con un cenno del capo e poi si andò a sedere nell'angolo più buio, in modo da non essere notata.

Si mise a giocherellare con una moneta, passandosela tra le dita e facendola rotolare sul tavolo rugoso a cui si era sistemata. Assorta nei suoi pensieri, non seguiva nemmeno le rade chiacchiere dei pochi avventori che la circondavano.

Si stava chiedendo se forse non avrebbe fatto meglio a tornare subito alla rocca, invece che fermarsi lì. Giovanni, che già era stato riluttante nel lasciarla andare e tornare da Forlimpopoli da sola con quel tempaccio, sarebbe di certo stato felice di vederla tornare prima del previsto...

La verità era che aveva bisogno di momenti come quello. Ne aveva sempre avuto un gran bisogno.

Così come quando andava a caccia in solitudine, fermarsi in un'osteria per bere o mangiare qualcosa le permetteva di fare spazio nella mente.

Accolse con un mezzo sorriso la scodella di stufato che il locandiere le porse davanti e allungò la moneta come pagamento.

"Lasciate stare. È da molto che non venite qui. Lasciate che vi offra io." disse l'oste, un po' burbero.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora