Capitolo 374: Fare del proprio meglio

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Il Medici sentì la moglie sospirare pesantemente. Lui non la stava guardando in volto, improvvisamente teso, conscio che per Caterina il confronto con i suoi figli più grandi aveva un peso notevole.

"Alla fine gli ho dato uno schiaffo." concluse la donna, deglutendo rumorosamente.

A quel punto Giovanni si fece spiegare nel dettaglio il perché e il come e quando la moglie gli ebbe riferito tutto quanto, l'uomo si chiuse in un assordante mutismo per qualche minuto.

Alla fine, sollevando gli occhi verso di lei, chiese: "Pensi che ci si debba preoccupare?"

"Non lo so." ammise con franchezza la Sforza, che da quando aveva colpito Cesare non faceva altro che tormentarsi proprio con quella domanda.

Fu il turno del Popolano di sospirare profondamente e poi, come a imitare il metodo usato dalla moglie per liberarsi la mente, accarezzò la guancia della donna con lentezza e, senza aggiungere altro, la baciò, riprendendo quello che lui stesso aveva interrotto poco prima.

Quando il sole era ormai al mezzogiorno, la Contessa e l'ambasciatore erano ancora a letto, in silenzio, entrambi con lo sguardo rivolto alle fiamme del camino, assorti in ciò che si agitava nelle loro menti.

Giovanni, distrattamente, accarezzava la spalla liscia della moglie, mentre Caterina, sul fianco, faceva altrettanto con il ventre, così piatto da parere rientrante, di lui.

"Posso provare a parlarci anch'io?" chiese il Medici, rompendo il silenzio tanto all'improvviso da far quasi sobbalzare la moglie.

"Lo faresti?" chiese Caterina, puntellandosi sul gomito e guardando il viso del fiorentino.

Aveva un accenno di barba, gli occhi tranquilli, malgrado tutto, e ora che lei si era messa a fissarlo, le sue labbra carnose si stavano anche sollevando in un sorriso: "Certo che lo faccio, se tu me lo permetti."

"Potrebbe non essere facile." lo mise in guardia la donna, appoggiandosi un po' di più a lui, sentendo il cuore battere molto più rapido di quello dell'uomo che si stava ancora una volta offrendo in aiuto.

"Non per criticare, Caterina, ma me la cavo un po' meglio di te, in certe cose." ridacchiò il Medici, che sembrava aver dissipato ogni tribolazione.

Il fortissimo accento toscano che gli era uscito nel dire quella frase, fece spuntare un sorriso anche sulle labbra della Tigre che, rassicurata dalla sicurezza del marito, convenne: "Te la cavi meglio di me in moltissime cose..."

"E allora appena mi sembrano in buona – decretò il Medici, facendo voltare la moglie sulla schiena e passando una mano lungo tutto il suo profilo, dalla spalla fino alla coscia – parlerò sia a Ottaviano, sia a Cesare."

Sentendo il peso del marito sopra di sé e le sue labbra sul collo, la Tigre ebbe appena la voce per dire: "A te daranno ascolto..." e poi ritornò a concentrarsi su Giovanni.


 Bartolomeo sentiva dei crampi allo stomaco, ogni volta che passava davanti alla camera che era stata sua e di sua moglie.

Da quando Bartolomea era morta, non era più riuscito a dormire una notte intera, ma solo un'oretta ogni tanto e le pesanti occhiaie che cerchiavano le sue piccole orbite lo testimoniavano.

Stava mangiando in modo sregolato e tutti si erano accorti che era ancor meno loquace del solito.

Sia Carlo sia Gian Giordano Orsini l'avevano sostenuto molto, in quelle settimane, non lasciandolo quasi mai solo e provvedendo di persona alla sepoltura della loro zia, in modo da non dare troppi incomodi a quel vedovo che appariva tanto sconvolto.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora