Capitolo 370: Dica pur chi mal vuol dire, noi faremo e voi direte.

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Sapeva che era troppo presto per distinguere nettamente la piccola vita che cresceva dentro di sé, ma ormai era incinta più o meno da due mesi e quindi l'idea che nel suo ventre ci fosse un nuovo figlio si stava facendo spazio nella sua mente, diventando di giorno in giorno più concreta.

"Basta, basta, mi arrendo!" rise Galeazzo, alzando le braccia e permettendo al fratello minore di esultare.

A quel punto, dopo essersi stretti la mano, i due guardarono verso la madre, che fece loro segno di avvicinarsi.

"Sei davvero bravo, Galeazzo. Stai facendo molti progressi." disse la donna, guardando il più grande e rammaricandosi che avesse appena undici anni e mezzo: "Continuando di questo passo, diventerai un condottiero di fama."

Il ragazzino gonfiò il petto, colmo d'orgoglio e restò per qualche istante con gli occhi puntati in quelli della madre.

Nel vedere la fierezza che quel volto trasmetteva, Caterina si disse ancora una volta che solo Galeazzo fosse stato un po' più grande, avrebbe lasciato a lui lo Stato, ritirandosi finalmente a vita privata. Sarebbe rimasta nelle retrovie, nel caso lui avesse cercato il suo aiuto, ma lo avrebbe lasciato libero di agire come voleva.

E invece gli unici suoi figli che avessero già un'età compatibile con la carica di Conte erano un inetto come Ottaviano e un fanatico religioso come Cesare.

Stringendo appena le labbra, punta ancora una volta da quel pensiero amaro, la Contessa si rivolse a Bernardino che, in imitazione del fratello maggiore, stava in piedi rigido come un soldatino.

"Ti piace, tirare di spada?" chiese Caterina, guardando il più piccolo, anche se i suoi occhi continuavano a sfuggirlo, come sempre.

Bernardino annuì e aggiunse: "Un giorno voglio diventare un cavaliere, come mio padre."

La Contessa sospirò. Non era la prima volta che il bambino esprimeva quel desiderio e come sempre la Sforza avrebbe voluto spiegargli che Giacomo non era stato un cavaliere come quelli che conosceva lui.

Anche se aveva ottenuto il titolo da niente meno che il Duca di Milano, suo padre era sempre e solo stato uno scansafatiche.

Poi, però, appena prima che le parole arrivassero da sole, la Tigre riusciva sempre a mordersi la lingua per tempo e, come fece anche quella volta, dire: "Sono certa che un giorno lo diventerai."

Mentre si alzava dallo sgabello e dava una leggera pacca sulla spalla ai figli, l'attenzione le cadde su un piccolo ricamo della giacchetta di Bernardino. In filo dorato e rosso, qualcuno gli aveva impresso il simbolo della famiglia Sforza Riario: la rosa affiancata alla vipera.

"Chi te l'ha fatto, questo?" gli chiese, con una certa serietà, appoggiando le dita sul petto del figlio.

Bernardino deglutì, quasi temesse di aver fatto qualcosa di sbagliato e guardò il fratello in cerca di sostegno.

Galeazzo, sperando di non mettere nei guai nessuno, rispose: "È stata Bianca. Stava facendo esercizio con il ricamo e Bernardino le ha chiesto di abbellirgli il giubbetto."

La Sforza annuì appena e poi si congedò dai figli abbastanza frettolosamente, con un sorriso appena accennato: "Rimettete tutto in ordine, mi raccomando." soggiunse, indicando le spade di legno che avevano ancora in pugno.


 Luigi Avogadro si era dimostrato un ospite eccellente, per Francesco Gonzaga. Quando aveva visto il Marchese di Mantova arrivargli davanti al portone di casa vestito in modo sobrio, e in cerca di qualcuno che lo accogliesse in incognito per permettergli di incontrare 'una certa persona', Luigi aveva accettato subito.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now