Capitolo 368: Ognuno dovrebbe fare il mestiere che sa

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 "La Contessa non c'è?" chiese Cesare Feo, rivolgendosi a Giovanni, che stava osservando i figli della moglie che si addestravano nel cortile.

Il Medici scosse la testa e così il castellano, non senza un momento di esitazione, porse la lettera a lui, dicendo: "Da Imola."

Era stata la stessa Contessa a dirgli che, in sua assenza, la responsabilità di leggere le lettere e gestire le urgenze era del fiorentino, e dunque Cesare non stava facendo altro se non eseguire gli ordini.

Giovanni lo ringraziò e poi mise la missiva nella tasca della sua giacchetta smanicata, già deciso a non aprirla fino a che non fosse arrivata anche Caterina.

Il castellano si congedò e lasciò l'ambasciatore di Firenze libero di concentrarsi di nuovo su Bernardino, Galeazzo e Ottaviano.

Il Riario maggiore, dopo la sfuriata della madre, aveva cercato, con un inatteso moto di orgoglio, di rimettersi in carreggiata, ma il Medici, che lo osservava da giorni, si era già reso conto che il suo problema più grande era proprio un'incapacità di fondo che nemmeno il miglior maestro d'armi avrebbe saputo sanare.

Tuttavia, paziente, il fiorentino continuò a osservare, permettendosi di quando in quando di fare qualche appunto che, per convenienza o per buon senso, veniva accolto da Ottaviano senza proteste.

La Tigre era uscita dalla rocca presto, per andare in città. Giovanni le aveva consigliato di passare anche da Bernardi, ma dal modo sfuggente in cui la donna aveva detto che non era certa di fare in tempo ad andare anche alla barberia, Giovanni era quasi sicuro che alla fine non ci sarebbe andata.

Mentre Ottaviano veniva buttato per terra di malagrazia dal soldato con cui stava duellando, il Medici sospirò e riprese lo sgabello su cui si sedeva di solito quando le sue gambe iniziavano a cedere.

Nel suo angolino d'ombra, l'uomo incrociò le braccia sul petto, fino a che, stanco di tenere d'occhio il legnoso primogenito di sua moglie, si scoprì curioso di sapere che cosa mai avessero da dire quelli di Imola.

Con discrezione, un occhio sempre rivolto a quelli che duellavano, prese il messaggio e lo aprì.

Era stato scritto da Simone e, per fortuna, fin dalle prime righe il Medici poté tirare un sospiro di sollievo, scoprendo che si trattava di buone notizie.

Ridolfi faceva sapere loro che i lavori a Bubano erano cominciati e che i mastri costruttori si dicevano molto ottimisti, tanto da aggiungere che probabilmente almeno la chiesa sarebbe stata pronta prima del previsto.

Inoltre sosteneva che il cantiere aveva già dato modo a un buon numero di commercianti e non solo di stanziare presso le macerie della città, offrendo beni di consumo e servizi ai manovali impegnati nella costruzione.

'Creare lavoro dall'opera pubblica necessaria – aveva concluso Simone, con un malcelato orgoglio per far parte di un simile progetto – come Cosimo il Vecchio, parente onorandissimo di Giovanni, seppe fare al tempo suo'.

Il Medici ripiegò il messaggio, giusto quando il maestro d'armi stava dichiarando che la lezione, per quel giorno, poteva dirsi conclusa.

Senza aspettare altro, il fiorentino filò dietro ai figli della moglie, fin nella sala delle armi, per commentare come faceva sempre l'allenamento di quel giorno.

"Sei davvero bravissimo." disse con Bernardino, aiutandolo a togliersi le protezioni e scompigliandogli i capelli castani: "Tua madre un giorno sarà fiera di te."

"E voi?" chiese il bambino, guardandolo colmo di attesa.

Da quando Giovanni aveva dato mostra di volerlo prendere sotto la sua ala protettrice, Bernardino si era subito attaccato molto a lui e non passava giorno senza che ne cercasse l'approvazione.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora