Capitolo 362: Sangue

En başından başla
                                    

Giovanni, per non rischiare di rovinare la posta alla moglie, si limitò a passarle la freccia, non appena lei ebbe trovato l'angolatura giusta per non essere sottovento e per non farsi vedere dall'animale.

Quando tese la corda dell'arco, per un momento la bestia voltò il muso in sua direzione, ma non trovò il tempo nemmeno di provare a scappare, che la punta di ferro della freccia aveva già trapassato il suo collo, uccidendolo sul colpo.

"Posso provare io?" chiese il Medici, che stava osservando la moglie intenta a macellare l'animale.

L'avevano appeso a un ramo, perché la Contessa preferiva preparare la carne subito, in modo da trasportarla più facilmente fino alla Casina.

Sorpresa dalla richiesta del marito, la donna smise per un momento di incidere la pelle del cervo e, passandosi il dorso della mano sulla fronte per asciugarsi il sudore, gli porse il coltello: "Certo. Dai, fammi vedere come te la cavi..."

Il sole filtrava tra le foglie di un verde tenero della pianta che stava dando loro riparo e il Popolano dovette stringere un momento gli occhi, mentre si avvicinava alla carcassa, per non restarne abbagliato.

Guardando un secondo in terra, restò rapito dal contrasto tra il colore pieno e vitale dell'erba finissima e quello del sangue dell'animale, scuro e pesante.

Giovanni si schiarì la voce e poi, dopo essersi tirato su le maniche del camicione, così come aveva visto fare alla moglie con quelle del suo abito da lavoro, afferrò con una mano la carcassa e con il coltello cominciò a scavare nella carne.

Caterina lo osservò per qualche istante, mentre faceva le incisioni maggiori. Era chiaro che suo marito l'aveva osservata con attenzione, quando l'aveva aiutata a macellare altre bestie, tuttavia, quando finì con il lavoro grossolano, il fiorentino rallentò, come indeciso su che fare.

"Guarda..." intervenne allora la Tigre, guidando la mano del marito, così bella anche se coperta di sangue ancora tiepido, verso il prossimo punto da tagliare: "Qui, attorno alla zampa, in modo da staccare bene la coscia..."

L'uomo permise alla moglie di eseguire il movimento assieme a lui, anche se ormai si trovava a essere più concentrato su di lei che non sul cervo che gli stava davanti.

Sentiva la decisione del movimento che Caterina imprimeva alla sua mano e vedeva la lama staccare con facilità i pezzi di carne dalla bestia, ma tutto ciò che gli importava era il suo respiro vicino al collo e la sua vicinanza.

Quando il pezzo di carne finalmente si staccò, Giovanni chiuse un momento gli occhi e poi, sfuggendo dalla presa della moglie, piantò a caso il pugnale sul fianco della bestia e si voltò verso Caterina.

Tenendole il viso tra le mani, la baciò a lungo, senza trovare opposizioni, mentre un venticello profumato d'estate scompigliava loro i capelli e faceva ondeggiare appena quel che restava del cervo appeso al ramo.

Anche la Sforza aveva appoggiato le mani sul volto del marito, sentendo la ruvidità della barba che stava ricrescendo e l'armonia dei suoi lineamenti.

Dopo poco, però, lo convinse ad allontanarsi da lei. I due si guardarono, entrambi assorti in pensieri a tratti angoscianti e a tratti rassicuranti. Nel toccarsi a quel modo, si erano sporcati a vicenda la faccia di sangue. Quella visione richiamava tanto all'ambasciatore, quanto alla Contessa, sia i fantasmi dei morti e della guerra, sia la forza della vita.

Anche il bacio che si erano dati sapeva di sangue. E non solo. Aveva anche il sapore dell'estate e del terreno che odorava ancora di pioggia, e portava con sé pure un retrogusto di urgenza, quasi di paura, come se l'effimerità di quell'istante fosse palpabile e reale ancor più del sangue e della carne del cervo che stava loro davanti.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Hikayelerin yaşadığı yer. Şimdi keşfedin