Capitolo 361: Ride, si sapis.

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"Mi garberebbe veder versata tramite sicuro corriere la mia rendita dell'anno appena passato – lesse a un certo punto Lorenzo – giacché io e mia moglie di lavori abbiamo a farne e tanti e presto per risollevare i mercati e il popolo della nostra terra."

Il Medici cercò lo sguardo della moglie che, per la prima volta, parve smarrita quanto lui dinnanzi a una richiesta che non sembrava nelle corde di Giovanni.

Benché fosse sempre stato conscio – nei momenti di magra come in quelli di benessere – delle proprie sostanze, il Popolano più giovane non aveva mai cercato apertamente i propri soldi, men che meno per usarli in modi tanto discutibili.

"Lo sta spennando come un pollo!" esplose Lorenzo, accartocciando di colpo la lettera, gettandola da parte e pestando un piede in terra: "Quella maledetta donna lo getterà sul lastrico e poi lo butterà via come un rifiuto!"

A quel punto la moglie, che aveva visto come la lettera proseguisse anche sul retro del foglio, la raccolse subito, e, mentre il marito continuava la sua personale filippica contro Caterina Sforza, affibbiandole titoli di ogni sorta, finì di leggere per conto suo.

Dopo un altro paio di frasi in cui rinverdiva il bisogno di avere presto i suoi soldi, Giovanni aveva aggiunto: 'Con mia moglie sono felice, più di quanto lo credessi possibile, più, mi ardisco a dire, di quanto abbia mai visto nessun altro.'

"Guarda." disse Semiramide, indicando la frase a Lorenzo, che, però, la lesse in fretta e alzò le mani in segno di impazienza.

"L'avrà irretito con una delle sue pozioni da strega! Ne parlano, sai, anche nelle osterie di Firenze, di quello che fa quella donna..." fece il Medici, sempre più fuori di sé: "Stare nella sua casa è come venire rapiti dalla maga Circe e..."

"Ti ricordo che a Forlì ce l'hai voluto mandare tu." fece allora la moglie, ripiegando la lettera e mettendola al sicuro nella tasca del suo abito.

"Lo so." annuì mesto il marito: "E me ne pento ogni singolo giorno. Lo pensavo più sveglio. Se avessi anche solo immaginato che mio fratello potesse lasciarsi circuire così..."

"Quella che ti ha chiesto – lo interruppe Semiramide, che era stanca di vedere il marito trarre conclusioni senza nemmeno conoscere la verità o provare a capire la decisione di Giovanni – è nel suo diritto. Fagli avere la sua rendita, è giusto così. Non puoi negargliela."

Lorenzo sbuffò e poi, improvvisamente desideroso di restare solo, si raddolcì per un unico istante, il tempo di dare un rapido bacio alla moglie, e poi annunciò: "Sono molto stanco, stasera. Starò in camera mia..."


 Com'era da prevedere, al banchetto alla rocca di Ravaldino si presentarono tutti gli invitati, nessuno escluso. Perfino qualcuno di quelli che ancora non erano rientrati in città, appena saputo della festa, avevano fatto i bagagli ed erano ritornati a Forlì.

La Contessa aveva dato inizio al banchetto proponendo un brindisi all'estate ormai vicina e poi aveva attaccato, come tutti i presenti, i piatti gentilmente offerti dai possidenti forlivesi che non avevano dovuto patire la lunga pestilenza.

In realtà non si trattava di portate troppo ricche, ma dopo settimane di ristrettezze, a tutti parve un banchetto eccezionale.

Il tavolo d'onore aveva attirato molti sguardi, dato che alla destra della Tigre era seduto quello che agli occhi di tutti era ancora solo l'ambasciatore di Firenze, mentre Ottaviano, teoricamente il Conte, era stato fatto slittare di un paio di sedie, perdendo del tutto la sua centralità.

La Sforza indossava un abito molto elegante, uno di quelli che non le si vedevano addosso da molto tempo e la lucidità della stoffa lasciava intendere che l'avesse fatto da poco rinfrescare dai sarti migliori della città.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora