Capitolo 345: Maior lex amor est sibi

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Caterina annuì e le diede tacitamente ragione.

Bianca parve un po' imbarazzata, ma alla fine chiese: "Quando vi sposerete, potrò venire anche io al matrimonio?"

La Tigre non si era aspettata quel genere di richiesta, perciò ci mise un po', prima di rispondere, ma alla fine concesse: "Certo."

Al che la figlia le sorrise brevemente: "Sono felice per voi. Lo dico davvero." e senza lasciare alla madre il tempo di dire altro, la giovane fece una mezza riverenza e, sempre stringendosi al cuore il libro che portava con sé, attraversò il corridoio a passo svelto, sparendo su per le scale.


 Giovanni Sforza fissò Giacomino senza dire niente. Stava scendendo la sera nel suo palazzo romano e dalla finestra non filtravano che pochi raggi del sole morente.

"Avete sentito tutto con le vostre orecchie?" chiese piano il signore di Pesaro, tenendo le mani sulle ginocchia, aggrappate alla stoffa delle brache per impedire loro di tremare.

Giacomino annuì con gravità e e poi aggiunse: "Hanno detto che o vi ammazzeranno o vi leveranno la moglie."

Lo Sforza sentiva il cuore battere con forza nel petto e la testa vagare per conto suo in un ventaglio di possibilità, una peggiore dell'altra.

Ucciso con il veleno, attraverso un regalo, e poi usato un'ultima volta come scusa per incolpare degli innocenti in modo da poter togliere loro ogni cosa. Ecco qual era il destino per uno che aveva sposato la figlia del papa.

Maledicendo in silenzio il giorno in cui i Borja erano entrati nella sua vita, Giovanni si alzò a fatica dal tavolo, apparendo molto confuso: "Dobbiamo... Sarebbe meglio... Io..."

Giacomino, avvertendo lo smarrimento del suo parente, lo sostenne per le spalle e gli disse: "Fossi in voi, io tornerei subito a Pesaro."

"Sì, sì, devo andarmene, ma devo stare attento..." cominciò a dire Giovanni, appoggiandosi al muro con una mano e guardando con aria smarrita l'altro: "Devo fare tutto con cautela... Datemi un paio di giorni, intanto fate in modo che per il Venerdì Santo io abbia i mezzi per scappare."


 Cesare, benché fosse ormai sera, era ancora fuori, probabilmente in Duomo, quindi Caterina dovette per forza passare prima a Ottaviano, anche se avrebbe preferito tenerlo per ultimo.

Lo trovò mentre stava per uscire. Da com'era vestito e dall'espressione insofferente che aveva in viso, la Sforza ebbe il sospetto che stesse andando al lupanare per passare là parte della notte.

"Devo parlarti di una cosa importante." esordì la donna, convincendolo a seguirla fino nella stanza del ragazzo.

Ottaviano, una volta in camera, incrociò le braccia sul petto e restò in attesa, fissando la madre senza dar segno né di impazienza, né di agitazione. Sembrava solo uno specchio scheggiato incapace di riflettere alcunché.

"Lo so che tu hai capito che tra me e Giovanni Medici c'è qualcosa." inizi a dire Caterina, che, come ogni volta in cui si trovava da sola con il suo primogenito, era combattuta tra una serie confusa di sentimenti che spesso contrastavano tra loro.

Il ragazzo sollevò il sopracciglio e si permise di dire: "Qualcosa... Diciamo pure che so che è il vostro amante."

"Stai attento a come parli." lo redarguì la Tigre, senza però alzare il tono: "Ti ho già avvertito una volta: al prossimo errore che commetterai, io non ti risparmierò più la vita."

Ottaviano si mise più dritto, le mani questa volta dietro la schiena e cercò di sostenere il suo sguardo, per dare prova di buona volontà.

"Quello che volevo dirti è che io lo sposerò, tra pochi giorni." disse Caterina, distogliendo lo sguardo e trovando che la stanza di Ottaviano fosse fredda e negletta, poco illuminata e anche poco accogliente.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now