Capitolo 335: Très braves et vaillans capitaines

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"Andiamocene! Andiamocene! Ritirata! Ritirata!" gridò Muzio Colonna, raggiungendo Juan e prendendolo di peso: "Dobbiamo andarcene! Ritirata! Forza! Su!"

I papalini non si fecero ripetere l'ordine e, in rotta, cominciarono a fuggire dalle schiere del tarchiato Carlo Orsini che, al contrario, stava già festeggiando, tenendo per le braccia Giampiero Gonzaga e incitando due suoi uomini a non lasciare andare l'altro prigioniero di rango: Guidobaldo da Montefeltro.

"Cani eretici!" gridò Colonna, mentre continuava a correre, spintonando il figlio del papa per non farlo fermare: "Bestie e traditori! Orsini, maledetti! Possiate bruciare all'inf..."

La voce di Muzio si spense con un grido di dolore. Una freccia raminga l'aveva centrato all'inguine, facendolo accasciare al suolo senza fiato.

Juan, rallentando la corsa, si voltò a guardarlo un momento, rischiando anche di inciampare in uno scudo. Avrebbe dovuto prenderlo di peso e trascinarlo via, come Colonna aveva fatto con lui. Ma i  soldati degli Orsini e di Vitelli stavano arrivando e reclamavano anche la sua vita. Lui era più importante di un Colonna. Era il figlio del papa. Non valeva la pena di rischiare la vita per un misero Colonna.

Ingoiando la vergogna per la propria codardia e abbracciando con forza l'istinto di sopravvivenza, Juan voltò le spalle a Muzio e tornò a correre a perdifiato.

"Venite, mio signore..." uno dei soldati vaticani più ritardatari fece segno a un altro di aiutarlo e in due, sfidando la sorte, presero uno per parte il Colonna ormai privo di sensi e sanguinante e, fortunosamente, riuscirono a portarlo in salvo.


Simone Ridolfi era ripartito quella mattina alla volta di Imola, portando con sé i documenti che lo legittimavano come nuovo Governatore della città.

Tommaso Feo aveva risposto subito alla lettera della Contessa, con cui lei gli spiegava l'evolversi della situazione, e aveva assicurato che avrebbe lasciato molto volentieri la sua carica a suo cognato, ritirandosi per qualche tempo a vita privata.

Risolta quella questione, Caterina si era presa qualche momento di riflessione, approfittandone per seguire più da vicino i lavori al mastio. Non mancava poi molto a finirlo, ma la neve intermittente di quei giorni continuava a ritardarne la messa in opera. Ci teneva a vederlo fortificato entro la fine dell'inverno, perché i venti di guerra stavano soffiando impetuosi, ma si accontentava dell'impegno che i costruttori ci stavano mettendo.

Non aveva più avuto notizie da Achille Tiberti, ma confidava che stesse facendo il suo mestiere come promesso. Carnevale sarebbe stato il 7 febbraio, dunque non mancava molto, se il Capitano voleva mettere in atto il piano così come la Leonessa l'aveva ideato,avrebbe fatto bene a sbrigarsi.

Quello era il tempo di attaccare Rimini. Non ci sarebbe stato più un momento tanto propizio, salvo la morte fortuita del Malatesta. Il Pandolfaccio, così dicevano le voci, stava perdendo il favore popolare a una velocità incredibile e solo sua moglie Violante, trincerata nel loro palazzo, pareva cercare una mediazione con il Consiglio Cittadino.

"Fossi in lei, direi all'esercito di andare a prenderlo e di farlo fuori. Potrebbero far finta di volerlo proteggere, e poi ucciderlo lontano da occhi indiscreti, dicendo che è morto per un malore, o qualcosa di simile." commentò piano la Contessa, mentre il Novacula affilava i suoi rasoi, pensieroso: "Tanto dubito che qualcuno si darebbe pena di indagare."

Si era ritirata nella barberia, approfittando della momentanea assenza di cliente, per cercare in Bernardi qualcuno con cui confrontarsi, sperando di calmarsi un po'.

Ne avrebbe parlato anche con Giovanni, che di certo aveva una visione più globale, rispetto al barbiere, ma ancora non si sentiva sicura a condividere con lui quel genere di perplessità.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Donde viven las historias. Descúbrelo ahora