Capitolo332:Il mio diletto è bianco e vermiglio, riconoscibile tra mille e mille

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Lei e il Popolano avrebbero voluto fermarsi a mangiare qualcosa, sedendosi magari su una delle rocce piatte che avevano incontrato lungo il loro peregrinare, ma faceva davvero troppo freddo per mettersi a pranzare all'aperto. Per fortuna, proprio in quel mentre, si trovarono vicini al capanno di caccia che la donna aveva a tutti i costi voluto che fosse edificato in mezzo alla riserva.

Si trattava di una piccola casetta, con accanto una stalla in cui potevano restare al massimo due o tre cavalli. Aveva dato ordine che fosse sempre rifornita di cibo e tenuta in ordine, ma fino a quel momento non aveva ancora dato a nessuno il permesso di usarla, nemmeno ai suoi cacciatori di fiducia.

"Mentre la tiravano su, i costruttori hanno cominciato a chiamarla la Casina..." spiegò Caterina, smontando da cavallo e afferrando le redini per condurre il purosangue verso la piccola stalla.

"Direi che è un nome appropriato." convenne il Popolano, imitando la donna e seguendola con il suo baio che sbuffava impaziente di trovare un po' di riparo dal vento freddo.

"Fantasioso, soprattutto." commentò la Contessa, a denti stretti, mentre un refolo algido le sollevava il bordo del mantello.

Dopo aver sistemato le due bestie, la Tigre propose di controllare l'interno del capanno. Da quello che il castellano le aveva detto, era stato sistemato da tempo, ma in fondo Caterina era impaziente di vedere come fosse stato messo a posto.

Quando entrarono, complice la luce pallida e timida di quel giorno di gennaio, la Casina apparve come un ambiente molto buio, ma piacevolmente raccolto. Caterina cercò qualche candela da accendere e in un attimo riuscì a illuminare la sala, dopo qualche tentativo con le pietre focaie lasciate sul davanzale dell'unica finestra.

Era un ambiente unico, con una sola finestra che dava sul bosco, un caminetto, una cassapanca, un tavolone adatto sia come appoggio per macellare una bestia di mezze dimensioni, sia per mangiarvi o spiegare delle mappe, e un letto – poco più di un pagliericcio, in realtà, troppo piccolo per due persone e troppo grande per una sola – su cui erano state messe due pesanti coperte e un guanciale di fattura andante.

Giovanni, che teneva i due conigli per il laccio che legava le loro zampette, cominciò a guardarsi intorno, mentre la Tigre andava avanti ad accendere luci.

L'uomo fece un rapido giro della stanza, valutando come, fondamentalmente, non mancasse nulla, e appoggiò le piccole prede sul tavolone di legno, sopra al quale erano stati sistemati da qualcuno un paio di salami, una piccola forma di formaggio stagionato e un minimo di vasellame.

"Provviste – iniziò a elencare il Medici, mentre Caterina lo affiancava e si metteva a controllare tutto come stava facendo anche lui – candele, piatti e bicchieri, un letto discretamente grande, coperte pesanti, legna da ardere e perfino un camino..."

Gli occhi del fiorentino erano stati attratti dal braciere, ancora spento, che stava nell'angolo opposto al letto. Era piccolino, in pietra, molto ben fatto e decisamente lussuoso, per un capanno come quello.

Mancava un pozzo nelle immediate vicinanze, ma avendo poche pretese e non vedendo come un peso il dover andare al primo ruscello o in paese a prendere l'acqua, in quel capanno ci si sarebbe potuti fermare a vivere senza problemi.

"Molto accogliente." riprese Giovanni, guardando la Tigre, che cominciava ad accendere anche il fuoco nel caminetto, per riscaldare l'ambiente e fare arrosto i conigli: "Soprattutto per essere un casino di caccia."

"Per me la caccia è molto importante." ribatté la donna, gettando qualche coccio di legno sul braciere.

"Questo lo avevo capito." confermò il Popolano, con un sorriso un po' imbarazzato.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora