Capitolo 331: Necessitas ultimum et maximum telum est

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"E allora – riprese ancora il secondo – perché non si fa aiutare dall'esercito e trova una scusa per farsi consegnare quella povera donna?"

A quel punto l'altro fece spallucce e disse: "E che ne so? Forse è troppo fuori di sé per pensarci..."

Il Medici non fece commenti, fingendo di contare con attenzione le monete per l'oste, ma nel frattempo iniziava a ragionare.

Aveva saputo che la madre di Pandolfo Malatesta era morta e che il figlio era subito parso a tutti diventato muto e sordo. Dicevano che al funerale non fosse nemmeno stato capace di entrare e uscire dalla chiesa da solo e che la moglie avesse dovuto quasi trascinarlo per tutto il tempo, come un fantoccio.

Questo risvolto, invece, lo dipingeva come una belva furiosa, imprevedibile e impossibile da contenere.

Di certo, se Firenze avesse voluto attaccare e prendere possesso di Rimini per tamponare le mire veneziane, non sarebbe stato male poter approfittare di quella momentanea debolezza del Malatesta...

"Tenete quel che avanza." disse Giovanni, lasciando il resto al proprietario della locanda, che lo ringraziò di cuore, mettendo al sicuro le monete in sopravanzo.

Forse mosso da quella generosità inattesa, l'oste fermò un istante il fiorentino, appoggiandogli una mano sulla manica di velluto rosso del giubbone: "Non avete paura a viaggiare da solo? Se volete posso trovarvi un paio di uomini che vi facciano da scorta per..."

"Ci sono persone molto più importanti di me che viaggiano senza soldati." lo bloccò subito Giovanni: "Viaggio bene da solo." e detto ciò, l'ambasciatore lanciò un ultimo sguardo ai due che ancora parlottavano delle bravate di Pandolfo Malatesta e andò al suo cavallo, impaziente di tornare a Forlì.


Isabella Este lesse con molta preoccupazione la lettera di suo marito Francesco, appena arrivata da Venezia.

La Marchesa, ancora molto provata dalla morte della figlia Margherita, era d'umore nero da quando aveva ricevuto la notizia della scomparsa di sua sorella Beatrice e di certo avere brutte notizie anche dalla Serenissima non l'aiutava a riprendersi.

Anche se con la sorella più piccola non aveva mai avuto un rapporto idilliaco, per non dire che Beatrice era arrivata a odiarla in modo viscerale, Isabella era rimasta sconvolta, nel saperla morta diparto.

Era così giovane e piena di vita che immaginarsela mentre soffriva nel suo letto ed esalava l'ultimo respiro gridando immersa nel proprio sangue era una vera tortura.

La Marchesa di Mantova, poi, ricordava di quando le aveva donato una spinetta, come segno di riconciliazione, e il pensiero di quello strumento abbandonato a se stesso le evocava una sensazione di freddo e desolazione così pressante da renderle quasi difficile respirare.

E ora ci si metteva anche Francesco...

Le chiedeva di mediare presso il Doge in suo favore. Isabella era sempre stata una diplomatica molto più accorta e abile del marito, ma quella volta avrebbe davvero fatto fatica ad aiutarlo.

Francesco aveva liberato Paolo Vitelli, contro il preciso ordine di Venezia, che lo voleva prigioniero al castello di San Giorgio. L'aveva lasciato andare, accampando scuse patetica e inascoltabili, tanto superficiali che l'Este, nel leggerle, si era chiesta quanto vuota potesse essere la testa del suo Francesco.

Isabella sapeva che suo marito stava cercando di tenersi buoni i francesi, soprattutto ora che aveva spedito sua sorella e Gentile in Francia, ma permettere a uno dei migliori comandanti di re Carlo VIII di uscire di cella senza un motivo valido era stato davvero troppo.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now