Cap. 330: Sempre la confusion de le persone principio fu del mal de la cittade

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"Per salvarvi la vita." rispose il messo pontificio, dimenticandosi perfino di agitare il calice a mo' di invito.

"Io ormai sono vecchio." fece l'Orsini, mentre i suoi occhi azzurri si posavano una volta di più sulla brocca di vino.

Se il prete stava bevendo, significava che era roba buona e non pericolosa. Altrimenti non l'avrebbe fatto... O almeno così Virginio credeva... La sete gli stava togliendo la capacità di fare ragionamenti troppo difficili.

"Ma siete l'Orsini più..." stava dicendo l'uomo del papa, sperando quasi di convincere il prigioniero a cedere, in modo da non dover andare in fondo al suo piano.

"Un albero non muore, se gli si taglia via un ramo secco!" sbottò Virginio, che non resistette più e si lanciò in avanti verso la brocca, senza trovare la minima resistenza da parte dell'altro.

Il messo pontificio si mise in un angolo della stanza e chiamò a gran voce la guardia: "Aiuto! Il prigioniero s'è agitato! Mi ha aggredito!"

Mentre il soldato accorreva, Virginio tracannava senza sosta il vino bianco che il prete aveva preparato apposta per lui.

Sentiva la gola riarsa bagnarsi, finalmente, dopo tanto tempo, però, più beveva, più il fuoco che avvertiva nel centro del petto si acuiva.

Gli ci volle qualche istante per capire cosa stava succedendo.

Sotto gli occhi orripilati dell'inviato vaticano e quelli increduli della guardia, Virginio si portò una mano al collo, sentendosi soffocare. Lasciò la presa sulla brocca, che cadde in terra infrangendosi in mille pezzi, e poi crollò in ginocchio.

Ebbe solo il tempo di fissare con odio il prete che l'aveva ingannato con tanta semplicità e di sentirlo perfino aggiungere: "L'agitazione eccessiva deve avergli causato un malore... Alla sua età..."


Le pareti della stanza di Ludovico Sforza erano state ricoperte da drappi neri, su sua precisa indicazione. Nell'attesa che venisse il momento delle esequie di sua moglie, il Duca si vestì con gli abiti più umili e vecchi che possedeva – un giubbone nero di fustagno e un mantello di panno scuro dal bordo consunto e che toccava terra – e si chiuse in solitudine, senza voler parlare con nessuno.

Il corpo della Duchessa, ripulito e celato agli occhi indiscreti dei presenti in ogni modo possibile, il 3 gennaio venne portato con lentezza esasperante in Santa Maria delle Grazie.

Il funerale fu tra i più solenni mai celebrati in Milano e per tutto il tempo il Moro non fece altro che piangere e tirarsi i capelli con le sue grosse mani, come se volesse strapparseli tutti quanti.

Poco dopo, la Duchessa venne interrata nel coro absidale, dove già riposava Bianca Giovanna.

Ludovico restò a lungo in preghiera davanti a quelle due tombe e quando si riebbe, andò a cercare il suo cancelliere, in mezzo alla chiesa e gli ordinò: "Mia moglie è morta di martedì, dunque da ora in poi ogni martedì a palazzo si digiunerà, in segno di lutto. D'ora in poi, non mi siederò più a tavola, mangerò sempre in piedi. Non sopporterei di sedermi accanto alla sua sedia vuota..." la voce del Duca tremò, mentre gli occhi si riempivano di nuovo di lacrime: "Per una settimana, a partire da oggi, voglio che a Milano venga celebrata una messa in suo suffragio ogni quarto d'ora. Giorno e notte."

Calco annuì, mentre uno dei suoi segretari, alle sue spalle, prendeva frettolosamente nota con un pezzo di carboncino.

"E questo anello..." sussurrò poi il Moro, fissandosi la mano su cui portava il suo sigillo: "Non lo voglio più. Farò preparare una corniola che la raffiguri. Così potrò vederla ogni volta che..."

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now