Capitolo 329: Acta est fabula. Plaudite!

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L'uomo si fermò davanti a Caterina e squadrò il suo viso. Parve sul punto di provare a baciarla, ma poi, con un soffio che sapeva di risata strozzata, incrinò le labbra e rinunciò.

La Contessa lo guardò uscire, vedendo il modo abbastanza vistoso in cui zoppicava. Avrebbe voluto fermarlo, dirgli di non partire, soprattutto se non stava bene.

Però, per lei era una sensazione così nuova, quella di sentirsi sostenuta e aiutata in modo tanto disinteressato e puro, che non ebbe il coraggio di fare altro, se non rimettersi seduta a fissare il camino e bere un calice di vino, evitando in ogni modo di fermare lo slancio altruista di quello strano fiorentino.


 Il 1497 era iniziato da poche ore e Beatrice le aveva trascorse quasi tutte in preghiera, sulla tomba della sua adorata amica, Bianca Giovanna.

La chiesa di Santa Maria delle Grazie era avvolta nel gelo e il vago sentore di incenso, rimasto dalle celebrazioni della notte appena passata, faceva pizzicare il naso della Duchessa, che doveva trattenersi di continuo dallo sternutire.

La fredda pietra tombale che copriva i resti di Bianca Giovanna riluceva immobile sotto le candele che Beatrice aveva personalmente acceso. Tra il freddo e il silenzio, era come se da quell'avello la voce della morte cercasse di parlare con la giovane moglie del Moro per rivelarle qualche segreto inconfessabile.

Le ginocchia premute contro il pavimento algido cominciavano a farle male, eppure la Duchessa non accennava a lasciare il suo posto. Teneva le piccole mani grassocce congiunte in preghiera e invocava silenziosamente l'intercessione della sua amica, affinché tutto andasse per il meglio.

Dal giorno prima non sentiva più muovere il bambino che portava in grembo e aveva una costante sensazione di ansia che non la lasciava nemmeno riposare. Neppure la preghiera le stava dando conforto.

"Mia signora..." la voce di una delle sue dame di compagnia fece voltare Beatrice di scatto.

Erano arrivate in quattro, a cercare di portarla indietro, al palazzo. Quando Ludovico si era accorto che la moglie non era a casa e aveva saputo che uno dei cocchieri l'aveva accompagnata a Santa Maria delle Grazie, per poi lasciarla lì come da espresso ordine della donna, aveva dapprima atteso e poi, visto che ormai si stava per entrare nel pomeriggio, aveva mandato delle ancelle a cercarla.

"Con il freddo che fa..!" aveva esclamato, scuotendo il capo e avviluppandosi ancora di più nel suo mantello imbottito di pelo: "Portatela al palazzo con la forza, se necessario! Non fa bene né a lei né a nostro figlio, stare in una chiesa a deprimersi! Con questa umidità, poi!"

"Dobbiamo rientrare, mia signora..." fece una delle dame di compagnia, affiancandola e cercando di rimetterla in piedi.

Beatrice si muoveva a fatica, sfiancata dal pancione ormai troppo grande per il suo fisico tozzo.

"No." provò a opporsi la Duchessa, stringendo le mani al petto con maggior forza: "Devo pregare, non posso... Non posso..."

Le ancelle si guardarono un momento l'una con l'altra e alla fine decisero che andava fatto ciò che il Duca aveva paventato.

Senza badare alle proteste – sempre più fievoli – di Beatrice, le dame di compagnia la presero di peso e la strapparono via dalla tomba di Bianca Giovanna, cercando di rabbonirla con chiacchiereriguardanti la festa che si sarebbe tenuta quella sera.

"Il maestro Leonardo s'è impegnato tanto..." diceva una, tenendo sottobraccio la sua padrona.

"Vedrete, sarà una cosa memorabile!" esclamava la seconda, facendole strada sul portale della chiesa.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora