Capitolo 326: Non tramonti il sole sopra la vostra ira.

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Con lui doveva fare due discorsi, nessuno dei quali piacevole. Il primo riguardava il banchetto di Natale, mentre il secondo aveva a che fare con la condotta deprecabile del giovane.

La sera prima, durante una visita da Bernardi, la Leonessa era stata informata proprio dal barbiere del fatto che Ottaviano era stato visto da alcuni passanti mentre alcuni uomini lo buttavano fuori da un lupanare, gridandogli che, anche se era un Conte, doveva pagare come tutti e smetterla di alzare la mani sulle ragazze.

Il Novacula si era permesso di fare anche una considerazione personale che aveva colpito molto la donna: "Se si sono permessi di fare così a vostro figlio – aveva detto, sottolineando quel'vostro' con molta enfasi – significa proprio che aveva passato il limite."

Siccome il cancelliere Cardella aveva da poco espresso delle perplessità alla sua signora proprio in merito all'uso che Ottaviano faceva dei soldi che chiedeva di continuo pur non potendo, visti le indicazioni precise date dalla Contessa, Caterina gli aveva ordinato di passare cifre inferiori al giovane, se proprio non riusciva a evitare di dargli del denaro. Evidentemente quella stretta aveva indotto suo figlio a provare a fare il furbo e non pagare quello che prendeva comunque.

Mezzogiorno si stava avvicinando e la Contessa non sapeva dove andare a cercare suo figlio. Pensò che forse Bianca sarebbe stata più brava di lei e avrebbe saputo dirle dove trovarlo, o, ancora meglio, si sarebbe offerta di andare a stanarlo al suo posto.

Così fece.

"Quando lo trovi, fallo venire nello studiolo del castellano." disse Caterina, poi ci ripensò, ricordandosi come era stato proprio in quella stanza che si erano fronteggiati dopo la morte di Giacomo: "Anzi, meglio la sala delle letture. Lo aspetto là."

La Tigre dovette attendere un po', prima di vedere arrivare suo figlio sulla porta.

In quella lunga attesa, la sua mente vagò parecchio, rifiutandosi di formulare le frasi con cui si sarebbe rivolta a Ottaviano.

Quella notte, tra i soliti incubi che ormai la visitavano sempre, la Contessa ne aveva fatto un altro, molto vivido e altrettanto orribile. Non le era ancora capitato fino a quel momento, non con quella precisione, almeno, ma alla fine aveva rivissuto in sogno la morte di Livio.

Forse l'avvicinarsi della fine dell'anno, o forse aver visto, per caso, Sforzino e Bernardino giocare spensierati con un cavallino di legno che era stato di Livio, insomma, qualcosa aveva fatto sì che nella testa di Caterina si affastellassero ricordi e immagini e così, nel sonno, aveva sentito di nuovo la stretta disperata di suo figlio, che l'abbracciava, il fiato spezzato, cercando di restare aggrappato alla vita, senza riuscirci.

"Mi avete cercato?" la voce di Ottaviano riscosse Caterina, che era in poltrona, gli occhi chiusi e una mano sulla fronte, immersa nei ricordi penosi di quella notte.

Il figlio la guardò un momento di sottecchi. Non era abituato a vedere sua madre in una posa di debolezza come quella. Tuttavia, quando la donna aprì gli occhi verdi e li puntò su di lui, tutta la parvenza di umanità che Ottaviano aveva scorto all'inizio, gli parve scomparsa.

"Al banchetto di Natale ci saranno molte persone importanti di cui non conosciamo a fondo né le amicizie né i corrispondenti epistolari." iniziò la Contessa, alzandosi e ponendosi davanti al suo primogenito: "Da Roma mi stanno facendo pressioni per lasciarti il mio Stato, ma tu sai benissimo che non lo farò mai."

Il pomo d'Adamo di Ottaviano corse nella lunga gola e i suoi occhi si puntarono al suolo. In quel momento era tale e quale a suo padre. Perfino la foggia dei suoi abiti – cuciti di fresco con il raso regalato dal Medici – era simile a quella dei vestiti di Girolamo.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now