Capitolo 322: Ama chi t'ama, e accostati a chi ti s'appressa

Comincia dall'inizio
                                    


Giovanni aveva ricevuto parte dei pacchi che aspettava quando era già tarda sera. Ne era stato molto contento e per prima cosa aveva controllato che si trattasse esattamente di quello che aveva ordinato.

Aveva letto con gioia la lettera d'accompagnamento, firmata da Simone, che soggiungeva l'ipotesi di tornare in Romagna prima dell'anno nuovo assieme alla moglie.

Ridolfi si era anche detto ottimista circa un possibile ritorno di Lorenzo Medici a Firenze, anche se per motivi tutt'altro che positivi.

'Con quella cornacchia del Savonarola che sta mettendo in testa a tutti di fare un falò con libri, quadri e opere d'arte, scommetto che il fratello tuo non desideri altro che tornare per mettere tutte le vostre belle cose sotto chiave' aveva scritto.

Il Popolano aveva passato qualche tempo a scrivere una risposta per Simone e poi aveva allegato anche una lettera da girare a Lorenzo, se il cugino avesse avuto la compiacenza di farla partire da Firenze.

Dopodiché aveva provato a prendere sonno. Era bastato coricarsi sotto alle coperte per capire che non ci sarebbe riuscito.

Un misto di inquietudine per le parole di Simone su Savonarola, e per quello che la Signoria gli aveva mandato a dire proprio quel giorno tramite missiva urgente si stavano mescolando a un sordo fastidio che prendeva le ginocchia e le caviglie.

Giovanni si rifiutava di star male di nuovo a così breve distanza dalla sua ultima crisi. Perciò, sudando freddo per l'agitazione, si rimise in piedi e si rivestì. Passare un po' di tempo fuori, in giro per la rocca o sui camminamenti, forse gli avrebbe giovato.

E così aveva fatto.

Quando stava rientrando nella sua stanza, ormai davvero abbastanza stanco da stendersi a letto e dormire come un sasso, il fiorentino si imbatté in qualcuno che non avrebbe voluto vedere nemmeno di striscio.

Non sapeva chi fosse, ma vederlo sgattaiolare fuori dalla camera della Tigre mentre ancora finiva di stringersi i lacci della giubba,per lui era un motivo bastante per odiarlo.

Quello, fingendo di non averlo visto, accelerò il passo e sparì infondo al corridoio poco illuminato.

Il Medici lo aveva osservato con attenzione, per quello che le torce gli avevano permesso.

Era di certo un soldato. Era giovane, alto, dal passo svelto e dalle spalle larghe. Gambe forti e braccia muscolose chiudevano il quadro.

Entrando nella sua camera e rintuzzando il camino, il Popolano guardò il proprio braccio, lungo e flessuoso, ma asciutto. Poi si mise allo specchio.

Lo avevano chiamato per molto tempo 'il più bel giovane di Firenze'. Sapeva di non essere brutto, sarebbe stato ipocrita a pensare il contrario, ma più faceva il paragone tra sé e gli uomini che la Tigre si sceglieva, più si convinceva di non avere il genere di bellezza che interessava a lei.

'Se le piacciono i tipi come quello – pensò Giovanni, sistemandosi con un gesto stizzito i riccioli sulla fronte – allora io non ho speranze.'

Aveva riprovato a prendere sonno e in effetti per un po' ebbe l'impressione di aver dormito.

Tuttavia, quando riaprì gli occhi, si rese conto che il sole non era ancora sorto e anche che non nevicava più.

Si massaggiò con calma le ginocchia, convincendole a rimettersi a funzionare. Erano gonfie. E anche le caviglie erano come aggravate da dei blocchi duri, gli stessi che l'ultima volta erano diventati color del fuoco, doloranti e incandescenti.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora