Capitolo 317: Dove men si sa, più si sospetta

Magsimula sa umpisa
                                    

Così, il fiorentino aveva capito l'antifona e si era limitato a scambiare con lei qualche parola quando si incontravano per caso nei corridoi della rocca e in mezzo alla città, sforzandosi di non darle l'impressione che tutti quegli incontri fossero in realtà da lui molto ricercati.

Non aveva nemmeno più presenziato al Consiglio cittadino, per paura che lei pensasse che la volesse in qualche modo controllare.

Giovanni sapeva che ogni passo falso gli sarebbe costato caro, arrivato a quel punto.

Da Firenze erano arrivate notizie poco rassicuranti circa le tensioni con Venezia e c'era ilrischio concreto che, se la posizione della Tigre, apparentemente favorevole alla repubblica, fosse giunta alle orecchie del Doge, Forlì e Imola sarebbero finite tra i primi bersagli dellaSerenissima.

Il Medici aveva già cominciato a prodigarsi con lettere di ogni tipo alle altre città di Romagna, nella speranza di trovare alleati o almeno di non inimicarsi nessuno, ma sempre più spesso leggeva risposte in cui si accennava in modo eloquente al ritorno di Francesco Gonzaga a Venezia. Quello, per molti, era il segno tangibile che sarebbe stata quella, la fazione vincente in caso di guerra.

In più, cosa decisamente assai grave, l'Imperatore era arrivato in quei giorni a Livorno e si era messo a minacciare apertamente Firenze, tanto che la Signoria aveva ingaggiato Vitellozzo Vitelli e Carlo Orsini per contrastarlo e impedire che scoppiasse un conflitto troppo difficile da gestire.

E l'Imperatore era sposato a una Sforza, oltre che essere l'autorità più riconosciuta dal Ducato di Milano. Giovanni non poteva e non doveva dimenticare che Caterina era una milanese. Prestata alla Romagna, forse, ma con un cuore che portava ancora incisa la vipera dei Visconti e l'aquila imperiale.

In questo clima poco disteso, il Popolano poteva almeno rallegrarsi per la ritrovata salute.

Da giorni non aveva più dolori e pareva che il clima umido e nebbioso del novembre forlivese non stesse influendo più di tanto sulla sua malattia.

Questo ritrovato vigore gliaveva dato un'esile speranza e la possibilità di tornare a pensare al futuro con maggior distensione. Gli aveva permesso, perfino, di vedere con distacco le asperità che parevano volerlo dividere in modo netto dalla donna che amava.

Quindi, quando Simone gli disse che presto sarebbe partito assieme alla moglie alla volta di Firenze – per farle vedere i suoi palazzi e farle conoscere i suoi parenti – Giovanni lo pregò di fare in città alcuni acquisti per lui. Però, prima di dargli un elenco completo delle cose da comprare, il Medici ebbe bisogno di fare qualche piccola indagine.

"Vostra figlia ama i libri,vero?" chiese Giovanni, arrivando alle spalle di Caterina che stava guardando la città che si spandeva davanti a lei, oltre le mura spesse di Ravaldino.

La notte era illuminata da una luna indefinita, che gettava la sua luce in modo acquoso tutto intorno e la nebbia era tanto fitta da faticare a vedere la città stesa oltre la rocca, eppure la Tigre sembrava rapita da quel paesaggio monotono.

La verità era che la Contessasi era immersa nei ricordi. Quella coltre grigia e indifferente le aveva riportato alla mente la sua infanzia nel milanese e, ancor di più, le lunghe battute di caccia nei boschi del Ticino.

"Sì, direi di sì."rispose la donna, senza staccarsi dalla merlatura alla quale si era appoggiata.

Le guardie di ronda accolsero con indifferenza la presenza del fiorentino e gli passavano accanto senza dar mostra di averlo visto.

"E a vostro figlio Ottaviano cosa piace?" proseguì Giovanni, appoggiando i palmi delle mani sulla pietra ruvida e fredda.

Caterina vide con la coda dell'occhio come il fiorentino le si fosse messo vicino e si perse per un secondo a guardargli le mani. Non poteva fare a meno di trovarle sempre di una bellezza notevole.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Tahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon