Capitolo 315: Dove ci sono troppe mani, usa la chiave

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Con il suo consueto senso pratico, che saltava fuori anche in quell'ambito, la Tigre riconobbe con se stessa di avere ancora un aspetto superiore alla media, ma anche che, se voleva ricominciare a sfruttare la propria bellezza perfino in campo diplomatico, sarebbe stato meglio ritornare a starvi più attenta.

Ripromettendosi di ricominciare a insistere con le sue creme, rimedi e trattamenti, Caterina raddrizzò le spalle e lasciò la camera,diretta alla sala del Consiglio dell'ormai mezzo demolito palazzo Riario.


Le foglie secche e coperte da un sottilissimo strato di ghiaccio scricchiolavano sotto i piedi di Francesco Dal Verme.

Il giovane, il cappello imbottito in testa e un pesante mantello bordato di pelo sulle spalle, aveva rifuggito la compagnia degli usurpatori e si era messo a girovagare per le strade più solitarie di Bobbio.

Aveva un appuntamento a breve, e sapeva che avrebbe dovuto essere in orario, perché l'uomo con cui doveva incontrarsi non era uno di quelli disposti ad aspettare i comodi di chicchessia.

Di norma era sua sorella Francesca a occuparsi di quelle cose, ma,con quel freddo, Francesco aveva sentito il dovere di offrirsi al suo posto. Anche se tra i due era sempre stata lei, quella capace di prendere decisioni, quella che li avrebbe riportati in possesso dei beni del loro defunto padre, quella abbastanza forte da far sì che nessuno li avesse ancora tolti di mezzo, ogni tanto anche a Francesco piaceva rendersi utile.

Senza contare che l'aria a palazzo si stava facendo troppo tesa, peri suoi gusti.

Galeazzo Sanseverino, benché fosse un uomo d'armi, si stava dimostrando molto più malleabile della sua giovane e impertinente moglie. Anzi, con qualche parola messa al momento giusto in mezzo a un discorso e qualche mezza promessa detta quasi per caso, molto probabilmente avrebbero potuto tirarlo dalla loro parte in modo rapido e indolore.

Bianca Giovanna Sforza, invece, malgrado i modi apparentemente cordiali e disponibili, appariva ogni giorno più chiaramente identica a suo padre.

Anche se Francesco non aveva mai conosciuto davvero il Moro, aveva finito per immaginarselo come la versione maschile di quella insopportabile quattordicenne pingue e ficcanaso.

All'inizio non era stato, però, d'accordo con Francesca, che avrebbe voluto passare subito alle vie di fatto. Le aveva chiesto di aspettare e così lei aveva fatto. Tuttavia, poi, il tempo era passato e quando avevano avuto la certezza che l'intrigante Sforza stesse redigendo un resoconto dettagliato dei loro traffici da spedire al Duca suo padre, non c'era stato altro da fare che mettersi nell'ordine d'idee di agire.

I rintocchi un po' afoni della chiesa poco lontana dissero a Francesco che era tempo di raggiungere la viuzza in cui si sarebbe incontrato con quell'uomo, verso cui nutriva uno spiccato timore.

Dando un colpetto al bavero della giubbetta grigia, in modo da farsi forza, e tirandosi bene il cappuccio fin sulla fronte, il Dal Verme si mise a camminare svelto, le lunghe gambe fasciate in spesse brache di cuoio bollito, e pregò Dio che tutto filasse liscio.


Con il passo marziale di chi si prepara a una vera e propria battaglia, Caterina aveva raggiunto il ponte levatoio e si apprestava a passare accanto alla statua che ritraeva Giacomo.

Per lei, trovarsi quotidianamente davanti quell'opera in bronzo era ormai solo una tortura. Tutte le volte che la vedeva o le passava accanto, era tentata di soffermarsi di più sui lineamenti del suo secondo marito.

Anche se coloro che vi avevano lavorato non erano del tutto riusciti a cogliere la bellezza di Giacomo, per la Contessa era già abbastanza trovarvi una vaga somiglianza.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now