Capitolo 301: Qui gladio ferit, gladio perit.

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Non aveva ancora avuto il coraggio di incontrare i suoi figli. Prima voleva sistemare qualche questione di ordine più pratico, per evitare che un'eventuale blocco mentale le rendesse difficile anche dare ordini ai suoi sudditi, poi si sarebbe occupata di loro.

Il Consiglio si aprì con una lunga discussione sulla testa di Pavagliotta e sul suo crollo in mezzo alla strada al primo soffio di vento.

Visto che i rappresentanti tanto degli Anziani, quanto delle famiglie più in vista di Forlì non accennavano a mollare la presa su quel punto, la Contessa si vide costretta a concedere, con una certa esasperazione: "E sia! Faremo fissare le teste con maggior cura. Andiamo avanti, adesso!"

Così si passò a parlare di problemi più seri, primo fra tutti i danni strutturali subiti da alcune torri e dal rivellino di San Pietro nel corso della prima tempesta.

Caterina permise ai costruttori che si stavano occupando della demolizione del suo vecchio palazzo di dirottare i loro sforzi nella messa in sicurezza e nella ristrutturazione non solo delle torri, ma anche di tutte le altre costruzioni che ne avessero necessità.

"Il palazzo in cui è morto il mio primo marito è rimasto qui per anni – fece la Contessa, battendo il palmo sul tavolone che stava nel mezzo della sala del Consiglio, una delle poche rimaste ancora illese dal progetto di demolizione – potrà aspettare ancora qualche mese."

E infine si era giunti alle richieste dei contadini, che non avevano perso occasione di farsi avanti per perorare la loro causa, approffittando subito delle porte appena riaperte.

Chiedendosi se stesse facendo davvero la cosa giusta, la Tigre prese fiato e, dopo un solo momento di esitazione, durante il quale il rumore della pioggia – ora lenta e costante – che arrivava dalla piazza la rassicurava come il dondolio monotono e piacevole di una culla, ripeté, quasi con le stesse parole che aveva udito lei stessa, la proposta di Giovanni.

I contadini guardarono il più anziano tra loro e poi borbottarono l'uno con l'altro per parecchi minuti.

Quando la Contessa stava per convincersi che avrebbero rifiutato, il portavoce fece un cenno risoluto con il capo e accettò: "Come dite voi. Compreremo il danno dato e che si aboliscano i Cavalcanti!"

Sollevata da quel risvolto positivo, Caterina scambiò uno sguardo con Cardella e Luffo Numai, che erano quanto meno sorpresi da quella decisione, ma parevano altrettanto ben disposti verso l'idea che pensavano fosse scaturita dalla mente della loro signora.

Dopo altre poche faccende, e dopo aver lasciato ancora in sospeso il problema delle riserve di sale che iniziavano a scarseggiare, la Tigre chiuse la riunione e tornò alla rocca.

Ora che un altro peso le era scivolato via dalle spalle, si sentiva pronta ad affrontare i suoi figli.

Tutti quanti.


 Quel 13 luglio, Isabella Este s'era svegliata con una strana sensazione al ventre. Il suo tempo era vicino, eppure la sua pancia non si era fatta prominente come nel corso della prima gravidanza e il bambino sembrava anche muoversi meno.

Per tutta la mattina restò nei suoi appartamenti, in abiti da camera, a leggere qualche poesia e a ricontrollare alcuni conti del Marchesato.

Suo marito era ancora lontano e a lei certe incombenze non sarebbero pesate più di tanto, solo che quel giorno, un po' per il caldo che avvolgeva Mantova e un po' per i doloretti all'addome, la Marchesa non riusciva a concentrarsi su nulla.

Prima che fosse pomeriggio, Isabella entrò in travaglio.

Per tutto il tempo, mentre la levatrice la incitava a spingere e poi a respirare, la donna non fece altro che sperare che quello fosse finalmente un maschio.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora