Capitolo 283: Fiducia

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"Sua Santità sa tutto." confermò uno dei messi.

"Sa tutto, ma non gliene importa nulla, suppongo." parafrasò Virginio, mettendosi a vagare per la stanzetta che aveva scelto come suo studio ad interim nel castello appena requisito: "Comunque che stia tranquillo. Non accetterò soldi dalla Lega e non cambierò la mia strategia. Ma che si sbrighi a prendere una posizione chiara, perché i miei uomini prima o poi capiranno che qualcosa non quadra e non sarà facile tenerli a bada. Per metà i miei mercenari sono avanzi di galera. Non tutti saprebbero gestirli. Se il papa vuole questi soldati, deve tenersi buono me. Che se lo ricordi."

"Riferiremo." concesse uno degli ambasciatori.

Virginio squadrò per un istante tutti loro, i loro vestiti sfarzosi e le loro acconciature pompose ed esagerate. Se quello era il volto della cristianità...

"Adesso andatevene, o i miei ufficiali mi faranno troppe domande. Il nostro colloquio è durato già anche troppo." li congedò Virginio, allargando le braccia e accennando con il capo alla porta.


 Lucrezia Landriani aveva passato Faenza senza difficoltà, anche se la sua scorta, scelta elemento per elemento da Caterina in persona, non aveva accennato a mollarla neppure per un attimo né prima di arrivare in città, né mentre la traversavano, né tanto meno dopo esserne usciti.

I segni dei recenti scontri con gli uomini dei Naldi e di Ottaviano Manfredi erano ancora ben visibili nei danni, seppur minimi, alla cinta muraria di Faenza, ma la madre della Contessa trovò i veri indizi del passaggio della guerra in altri dettagli.

I campi coltivati a cui passarono accanto erano per metà incolti e i pochi contadini erano o anziani o bambini e solo le donne sembravano avere ancora la forza di lavorare. I mendicanti si sprecavano, lungo la via e di quando in quando qualche manipolo di soldati con addosso i colori dei Manfredi li incrociavano, fissandoli cupi.

Quando furono in vista di Imola, Lucrezia si permise di tirare un sospiro di sollievo. Passata la porta principale, la città le si aprì dinnanzi con la sua solita serafica calma e, per quanto anche per le strade che portavano al palazzo del Governatore ci fossero più accattoni del solito, la situazione sembrava molto più sotto controllo che non a Faenza.

Lucrezia avrebbe voluto andare prima da suo marito Gian Piero, alla rocca, ma aveva fatto una promessa a Caterina e la lettera urgente per Tommaso sembrava pesare un quintale nella tasca interna del suo abito scuro.

La donna aveva già consegnato un messaggio a suo figlio Piero, a Forlimpopoli, prima di andare verso Imola e il giovane aveva letto immediatamente le parole della sorella, senza né commentarle né tradire alcuna reazione.

Quando faceva così, aveva pensato sua madre, assomigliava molto a Caterina. Anche se avevano in comune solo metà del sangue, nessuno avrebbe potuto dubitare che fossero fratelli.

Piero aveva messo via la missiva e poi si era dedicato a Lucrezia con il suo solito umore gioviale, ereditato da Gian Piero, augurandole un buon viaggio e chiedendole di salutare il padre e Bianca anche da parte sua.

La scorta portò Lucrezia fin proprio davanti all'ingresso principale del palazzo del Governatore e solo quando uno dei servi arrivò ad aprirle la lasciarono e si dedicarono a mettere a riposo i cavalli e a portare i pochi bagagli della loro protetta dove pattuito.

"Devo consegnare una lettera urgente al Governatore." esordì Lucrezia, cercando un'indicazione su dove trovare il genero.

Il servo la portò allora allo studiolo di Tommaso, dicendole, lungo il tragitto, che 'Madonna Bianca' era fuori, ma che sarebbe tornata presto, sicuramente prima di cena.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now