Capitolo 280: Chi può fare i capitoli, può eziandio disfarli.

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Presi due veloci cavalli da viaggio, Veggiani e Russi montarono in sella e uscirono dall'unico lato della città che i veneziani avevano lasciato relativamente libero.


 Quando anche Achille Tiberti – rientrato solo il giorno prima da Faenza – raggiunse la rocca di Ravaldino, Caterina cominciò a ragionare sul da farsi.

Russi e Veggiani si erano sistemati sul divanetto più comodo, mentre la Contessa e Cesare Feo avevano preso le sedie. Luffo Numai, in ansia per il parente Francesco, si era rifiutato di prendere posto a sedere e così vagava come un'anima in pena, facendo la spola tra l'Oliva che stava accanto alla finestra e Tiberti, che, essendo appena arrivato da fuori, si era piazzato davanti al camino per scaldarsi un po'.

"Per tenere Castelnuovo a viva forza – stava dicendo la Tigre, facendo segno al castellano di prendere la mappa e sistemarla in terra, tra le sedie e il divano, in modo che tutti potessero vedere bene – dovremmo impegnare tutti i vostri uomini, Tiberti, e accettare anche un centinaio di fanti che ci manderebbe Faenza."

"Giacomaccio non ha solo i suoi ottocento stradiotti e la manciata di riminesi che abbiamo visto, ne sono certo." intervenne Russi, scuotendo il capo: "Venezia non lo lascerà solo con quei soldati, se noi opporremo resistenza."

Caterina si alzò e cominciò a misurare a brevi passi il perimetro della mappa stesa in terra: "Sì, lo credo anche io. Ma non possiamo certo impiegare tutte le reclute. Potremmo anche sostenere la spesa, ma molti dei nuovi non sanno ancora tenere in mano uno stiletto, figuriamoci battersi contro degli stradiotti. Sarebbe un massacro inutile."

Russi allargò le braccia, in segno di tacito assenso, mentre Veggiani si puntellava sul bordo del divano e provava a dire: "In tutta coscienza, mia signora... Ci serve davvero Castelnuovo? Coi saccheggi subiti, ne resta solo lo scheletro... Sarebbe solo una spesa, a lungo andare."

La Contessa lanciò un'occhiata all'Oliva, che lasciò intendere di essere d'accordo con il soldato, poi scrutò anche il viso di Tiberti, che però era troppo intento a fissare la cartina per accorgersene.

Luffo Numai continuava a sospirare e non pareva molto utile ai fini decisionali. Probabilmente, se avesse aperto bocca, l'avrebbe fatto solo per pregare la sua signora di richiamare a Forlì Francesco.

Gli uomini nella stanza erano in attesa di una decisione della Tigre e la donna sentiva il peso di quella fiducia quasi cieca come una croce sulle sue spalle. Da un lato era fiera di essere ritenuta una guida da seguire, ma dall'altro avrebbe voluto lei stessa qualcuno che le desse degli ordini chiari e semplici.

Comandare, avere potere e avere qualcuno pronto a fare tutto ciò che avrebbe deciso di fare in quel frangente le sembrava una condanna e non un'opportunità.

Lasciando perdere i propri tormenti interni, Caterina si costrinse a ragionare. Il silenzio si stava facendo assordante e così la Contessa si rimise in piedi e, dopo un ultimo sguardo alla mappa, espose il suo piano.

"Dobbiamo mandare subito un messo al Presidente Pontificio di Cesena – decretò – in modo da invitarlo a difenderci. Siamo pur sempre in territorio papale, Venezia non dovrebbe permettersi di invaderci."

Tiberti strinse gli occhi e fece per replicare, ma Caterina proseguì, senza dargliene il tempo: "Che si convinca che non conviene a nessuno lasciare campo libero ai veneziani. Sappiamo tutti che vogliono espandersi in Romagna."

"Non accetterà." fece Veggiani, con tono abbattuto: "Dirà che Roma non ci guadagna nulla a toglierci di mezzo un nemico. Dirà che scacciando i veneziani, i pontifici altro non faranno se non favorire le vostre conquiste."

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Où les histoires vivent. Découvrez maintenant