Capitolo 277: Relata refero

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Facendolo correre da mattino a sera a destra e a sinistra, portando armi e finimenti, il bambino stava dimenticando la paura dei primi giorni passati alla rocca e, arrivata la sera, si addormentava subito, troppo sfinito per mettersi a pensare o ricordare.

"Mi raccomando, fai quello che ti dicono e impara bene il tuo mestiere." ricambiò il saluto Caterina, non riuscendo a dire nulla di più affettuoso.

Bernardino sorrise, con lo stesso candore con cui aveva sorriso mille volte suo padre prima di lui, e, dopo che la Contessa ebbe permesso con un piccolo movimento del capo al soldato di tornare alle sue occupazioni, ricominciò a seguire l'insegnante di quel giorno.

La Contessa lo scrutò con la coda dell'occhio finché non lo vide sparire verso il secondo cortile e solo allora, dopo un lungo sospiro, rientro nelle viscere della rocca per adempire a uno dei suoi tanti compiti.


 "Non sono d'accordo con quello che vuoi fare." scosse la testa Semiramide, sistemandosi sul triclinio, troppo stanca per stare ancora in piedi.

Aveva gli occhi pesti, il naso arrossato e le labbra curve verso il basso, come sempre, da quando era morto Averardo. Portava il lutto stretto e in mano teneva un pezzo di stoffa su cui sosteneva di poter sentire l'odore del figlio perduto, anche se, a furia di annusarlo, i servi si erano detti che il sentore, anche se all'inizio forse presente, doveva essersi consumato già tutto.

"Perché?" chiese Lorenzo Medici, incrociando le braccia sul petto e mettendosi a guardare ostinatamente fuori dalla finestra: "Michelangelo ha bisogno di un committente, io ho bisogno di soldi per fare pressioni sulla Signoria. A questo modo ci si aggiusta entrambi."

Semiramide strinse il morso e inclinò il capo, portandosi una mano guantata di nero fino alla tempia: "Hai da sempre occhio per gli affari, ma questa è una truffa."

Il Popolano perse la pazienza e sbuffò: "Il San Giovannino che gli farò dipingere glielo pagherò bene! Se il giochetto con il Cupido dormiente non dovesse riuscirmi, il maestro Buonarroti verrebbe comunque pagato, mentre io, con tutto il travaglio che ci farò dietro, non ci guadagnerei niente. Non puoi parlare di truffa! Se fosse una truffa, non rischierei di perdere l'investimento iniziale!"

"Spero che finisca davvero così." sentenziò Semiramide.

Lorenzo, innervosito dall'ostilità della moglie e dal clima umido e collerico che quel giorno gravava su Firenze, non si trattenne più e sbottò: "Quello che faccio, lo faccio per la nostra famiglia e dovresti essermi grata, non darmi contro!"

Mentre la donna stava per ribattere, dalla porta fece capolino Giovanni. L'uomo colse subito la tensione che saettava tra Lorenzo e Semiramide, ma ormai non poteva più ritirarsi facendo finta di nulla.

"Tu lo sai cosa vuole fare tuo fratello?" chiese la donna, alzandosi dal triclinio e andando vicino al cognato, quasi a sincerarsi anche fisicamente di avere il suo appoggio.

Il Popolano più giovane fece segno di no, mentre il fratello soffiava con rabbia e alzava gli occhi al soffitto affrescato.

"Vuole commissionare un quadro a Michelangelo e poi lo vuole sotterrare, lo vuole trattare, come dice lui, non chiedermi come, perché non ne ho idea, e poi vuole rivenderlo a un Cardinale romano appassionato di arte antica, strappandogli un prezzo esorbitante." spiegò tutto d'un fiato Semiramide.

Giovanni guardò la cognata per qualche istante, poi, corrucciato, si rivolse a Lorenzo: "Vuoi anticare il quadro?"

"Sì." annuì il Popolano più anziano, voltandosi di scatto: "Chiederò a Michelangelo di fare una crosta, non voglio mica che sia il suo miglior capolavoro... Mi basta una cosuccia da due soldi, né più né meno. E poi lo patino come se fosse antico e mi arricchisco un po' alle spalle di un povero mentecatto."

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora