Capitolo 263: Non uccidere.

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E con un potente colpo di reni, prendendo alla sprovvista la guardia che lo teneva sotto tiro con la spada, il Marcobelli, sotto gli occhi attoniti dei suoi parenti, abbassò la testa e si scagliò con forza contro il Capitano.

Ne seguì una zuffa senza quartiere che però durò molto poco, dato che il prigioniero era legato mentre Calderini era armato e spalleggiato da un buon numero di soldati.

"Che succede?!" gridò una delle sentinelle dalle mura.

"È costui..." rispose Calderini, guardando di nuovo in alto: "Non vuole andare alla rocca e mi ha messo le mani addosso!"

Approfittando della distrazione, Marcobelli venne mosso da uno scatto d'orgoglio e, senza capire nemmeno lui come, riuscì a mandare gambe all'aria il Capitano con una seconda testata e afferrò il mazzo di chiavi che era caduto dalla sua cintola, magra consolazione, e se lo tenne stretto tra le dita costrette dietro la schiena.

"Mi ha preso le chiavi!" gridò strozzato Calderini, mentre anche Beccari, Ludovico e Agostino si ribellavano a quelli che li tenevano fermi, creando grande scompiglio.

Mentre si difendevano a tiravano calci e testate contro le corazze dei soldati, in un tentativo disperato non di fuggire, ma di dimostrare la propria fibra, i Marcobelli e il Beccari intonavano senza sosta un motto ritmico e forte: "Ottaviano! Ottaviano! Ottaviano!"

Tuttavia, le sentinelle si fiondarono giù dai camminamenti per dare manforte a Calderini e in breve Ludovico venne ripreso e immobilizzato, Beccari fu morto, trapassato da un colpo di picca, e Agostino restò in terra gravemente ferito.

Solo Bartolo stava ancora lottando, ma i suoi movimenti convulsi finirono all'improvviso, quando Calderini avanzò verso di lui con la spada dritta, atta a colpirlo in pancia.

"Grazie, Dio..." sussurrò Bartolo, quando vide la spada del Capitano conficcata nel suo addome fino all'elsa: "Mi avete liberato..." sussurrò e spirò prima che Calderini riuscisse a capire il ragionamento dell'uomo.

In terra, sanguinante e visibilmente sofferente, Agostino continuava a ripetere a voce molto alta e con mesta ostinazione: "Ottaviano! Ottaviano!"

Caterina, che nel frattempo aveva raggiunto il fronte della rocca e poteva vedere la scena, seppur in lontananza, ascoltò con apprensione quell'urlo.

"Calderini!" gridò con tutta la voce che aveva in corpo, quando riconobbe il Capitano.

Certo che ormai la situazione fosse sotto controllo, l'uomo lasciò il ferito Agostino, Ludovico e il malaticcio Guglielmo ai suoi uomini e corse vicino alla rocca: "Mia signora!"

"Che è successo?" chiese la Contessa, sporgendosi oltre le merlature.

In breve Calderini le riassunse la cattura dei Marcobelli e il loro burrascoso trasporto alla rocca. La donna restò molto indispettita, nel sentire che Bartolo era morto nel corso della colluttazione, ma si disse subito che avrebbe potuto rifarsi sui superstiti.

"Fate curare Agostino dal cerusico migliore di Forlì!" ordinò: "E, quando sarà di nuovo in forze, mettetelo in carcere con gli altri!"

Agostino, che aveva sentito le parole della Tigre, smise di inneggiare a Ottaviano e iniziò a piangere e a gridare: "No! No! Vi imploro! Uccidetemi! Uccidetemi ora! Non curatemi! Non portatemi alla rocca! Vi prego!"

Com'era da aspettarsi, la Contessa non parve nemmeno sentire le preghiere del ferito e ribadì, rivolta al Capitano: "Che sia curato e solo dopo messo ai ceppi!"

Calderini lasciò intendere di aver capito e così Caterina fece per tornare nella rocca, senonché le tornò in mente una cosa importante.

Riappoggiandosi alla fredda pietra delle merlature, aggiunse: "In città vive un altro fratello dei Marcobelli, Francesco! Cercate anche lui e portatelo qui!"

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora