Capitolo 260: ...se non etterne...

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Ancora troppo scosso per reagire, Tommaso restò in silenzio fino a che la Contessa non ebbe finito di parlare e solo allora stava per schiudere le labbra, senonché appena fuori dallo studiolo si era acceso un fervente dibattito.

"E invece io vi dico che deve saperlo!" aveva appena gridato la voce di Mongardini.

"E io dico di no!" si era opposto Cesare Feo.

"Tutti i colpevoli vanno puniti! Vi dico che dobbiamo dirlo subito alla Contessa!" ribatté con ferocia il Capitano.

Accigliandosi, Caterina andò alla porta e la spalancò, trovandosi di fronte Mongardini e il castellano che si guardavano in cagnesco, entrambi con una mano sull'elsa delle rispettive spade, come se fossero pronti a sfidarsi a duello da un momento all'altro.

"Che accidenti avete voi due?!" sbottò la donna, convogliando l'attenzione dei due litiganti su di sé.

"Abbiamo trovato vostro figlio Ottaviano, sappiamo dove si nasconde!" dichiarò il Capitano, prima che Cesare Feo potesse zittirlo.

Caterina ebbe un lieve fremito che le attraversò le mani senza più lasciarle. L'effetto delle droghe che la tenevano insieme stava svanendo per davvero, quella volta, e trovarsi di fronte a una simile prospettiva l'atterriva e la rendeva desiderosa di vendetta allo stesso tempo.

"Lo portiamo alla rocca?" chiese Mongardini, i piccoli denti bianchi che luccicavano sinistri sotto la luce della torcia del corridoio, rimasta accesa dalla notte precedente.

"Sì!" ululò Tommaso, facendosi largo di malagrazia fino al Capitano, spostando di peso Caterina che stava in mezzo alla porta.

"No!" lo contraddisse la Contessa, rimettendo il cognato al suo posto con uno spintone: "È mio figlio!" aggiunse, quando si accorse che il Governatore di Imola aveva già estratto la spada dalla fodera, come se fosse intenzionato a correre subito da Ottaviano per tagliargli la gola da parte a parte.

"Ha ucciso mio fratello!" ruggì Tommaso, parandosi di nuovo davanti alla sua signora, svettando su di lei con evidente intenzione di intimidirla.

Ben lungi dal farsi impensierire dalle spalle larghe del cognato, Caterina sollevò l'indice e glielo puntò sotto al naso: "Attento a voi, Tommaso! Siete un mio suddito, non dimenticatelo mai. Una parola di troppo o un gesto inconsulto e vi butto in cella assieme a tutti gli altri!"

Sotto lo sguardo attonito del castellano e a quello confuso di Mongardini, che si sarebbe aspettato tutta un'altra reazione da parte della Contessa, Tommaso sollevò il mento e sentenziò: "Oh! Eccola qui, la Tigre di cui tutti parlano! Finalmente la vedo anche io."

"Ritiratevi nelle vostre stanze." gli ordinò Caterina, ferita dalle sue parole, ma riuscendo a mantenere il suo sguardo: "È un ordine. Siete in consegna fino a domani, quando ci sarà il funerale."

Fu solo un'impressione, forse, ma alla Contessa parve che, mentre rimetteva la spada al suo posto e chinava un po' il capo prima di ritirarsi come da ordine ricevuto, Tommaso avesse avuto un attimo di profondo smarrimento, tanto che i suoi occhi si erano velati di lacrime.

Se avesse poi pianto o no, però, Caterina non lo scoprì, perché l'uomo si allontanò troppo in fretta per poterlo appurare.

"Fategli preparare una stanza." disse la Contessa al castellano: "E assicuratevi che non la lasci fino a domani. Se disubbidirà ai miei ordini, la punizione sarà severa, fateglielo presente."

Cesare Feo annuì, perplesso, mentre Mongardini attendeva ancora una risposta chiara della sua signora.

Caterina sospirò e gli disse: "Non voglio sapere dov'è mio figlio. Per me, Ottaviano è morto il giorno in cui ha deciso di uccidere mio marito."

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now