Capitolo 255: Giustizia mosse il mio alto fattore...

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Sentendo il nome di Gian Antonio Ghetti, la Contessa avvertì una fitta al cuore. Quando aveva visto Giacomo trascinato giù di sella, non aveva riconosciuto nemmeno uno degli uomini che lo stavano colpendo. Mai, in nessun caso, si sarebbe aspettata di sentire il nome di un uomo che aveva ritenuto fino a poche ore prima tra i più fidati al suo servizio.

"Ghetti è un assassino!" gridò Caterina, aggrappandosi alla merlatura: "Un assassino vero! Un assassino infame! Io non ho ordinato nulla di tutto questo! Che l'Auditore lo arresti subito e lo porti qui! Oltre ad avere ucciso, osa anche mettere in giro una simile calunnia! È solo un vile! La nostra vendetta sarà inesorabile e immediata!"

Senza attendere altro, Aspini si girò e riprese a correre verso il cuore della città, per riferire le parole della Contessa.

Caterina sentì il bisogno di sedersi, per non svenire. Sotto gli occhi sbigottiti delle sentinelle, di norma abituate a vedere la loro signora impassibile – o al massimo rabbiosa – dinnanzi a qualsivoglia avvenimento, la donna si lasciò scivolare lentamente verso il basso, con la schiena appoggiata al muro, fino a trovarsi accasciata a terra, priva di forze.

"Mia signora..." il castellano fu accanto a Caterina prima che lei si accorgesse del suo arrivo sui camminamenti: "Attendo ordini."

La Contessa si asciugò le guance con il dorso della mano e poi, deglutendo a stento, ricacciò il nodo che le stringeva la gola fino in fondo al petto e disse: "Dobbiamo scrivere subito una lettera a Imola. Poi dovete mandare qualcuno a cercare mia figlia. E qualcun altro a mettere al sicuro mio figlio Bernardino. Ora che suo padre è morto, potrebbero voler uccidere anche lui."

Cesare Feo sbatté le palpebre, chiedendosi se avesse capito bene. La sua signora gli stava davvero confermando ciò che le chiacchiere avevano ripetuto per anni? Bernardino Carlo Feo era davvero il figlio della Contessa?

Caterina tirò su col naso e, puntellandosi contro il muro e contro il castellano, si rimise in piedi, soggiungendo: "E infine dobbiamo dichiarare lo stato di guerra."


 L'Auditore stava aspettando trepidante davanti al portone del palazzo. In piazza la folla rumoreggiava sempre di più e qualche dubbio cominciava a prendere i più sospettosi.

Finalmente Aspini si ripresentò, di corsa e ansante, ed ebbe il suo bel daffare a sgusciare tra la gente assiepata, che chiedeva con insistenza che avesse detto la Contessa e come avesse reagito alle parole di Ghetti.

Il ragazzo, senza fiato, si aggrappò alla spalla dell'Auditore, che in tutto quel tempo non aveva mai perso di vista Gian Antonio Ghetti e i suoi, cercando di imprimersi bene in mente i loro volti e i loro nomi, in caso di necessità.

Aspini riferì nell'orecchio dell'Auditore tutto quello che la Contessa aveva gridato dalle merlature di Ravaldino, aggiungendo anche che la donna gli era parsa sinceramente sconvolta e desiderosa di vendetta.

L'uomo, che non aspettava altro che quello per agire, si avventò con impeto su Ghetti, invece di lasciare che fossero le guardie ad arrestarlo: "Traditoraccio!" gli ululò a un millimetro dal naso, mentre lo afferrava per il petto: "Che cosa mi hai detto, tu, eh?! È tutto il contrario!"

Gian Antonio provava a divincolarsi, ma l'Auditore lo teneva stretto, senza accorgersi che intanto gli altri congiurati cominciavano a dileguarsi – seppur a fatica – tra la folla.

"Sta' fermo, sta' fermo, traditore!" gridava l'uomo, facendo intanto segno alle sue guardie di procedere all'arresto, mentre tutt'attorno esplodeva il caos: "Vieni, vieni da madonna alla cittadella!"

Comprendendo di colpo tutto quanto, Ghetti si sentì in trappola. La Contessa lo avrebbe ucciso, senza ombra di dubbio. Quale che fosse il motivo per cui aveva negato di essere la mandante di quell'omicidio, era chiaro che se ne volesse discostare.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now