Capitolo 253: ...per me si va ne l'etterno dolore...

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Cesare si sedette con Bianca e con alcuni soldati, mentre Caterina, con disinvoltura, si sistemò con Giacomo, dividendo il cibo con lui, in silenzio.

Finito di mangiare, il Barone disse: "Ti spiace se faccio due passi? A stare seduto così sull'erba mi sta venendo mal di schiena. E poi ci guardano tutti."

Caterina alzò lo sguardo ed effettivamente notò come sia i suoi figli – Ottaviano in particolare – sia gli uomini della scorta stessero occhieggiando verso di loro in modo apparentemente casuale.

"Va bene." concesse allora la Contessa e sospirò, mentre il marito si metteva in piedi e riprendeva a passeggiare sotto al sole cocente, vagando senza una meta precisa.

Vedendo la madre da sola, Bianca prese coraggio e lasciò il gruppetto con cui stava finendo di consumare il rapido pranzo: "Perdonatemi..." disse, con un sorriso accattivante che gli altri accolsero con estremo favore.

Caterina vide la figlia che si avvicinava e fu sul punto di alzarsi per evitare quell'incontro, ma si sentì una vigliacca a pensare a quel modo, così restò ferma dove si trovava.

Bianca le si appollaiò accanto e cominciò, in tono vago: "Questo posto è davvero incantevole."

La Contessa annuì, senza aprir bocca. Guardava il profilo della figlia e, con quella luce limpida, vi riconosceva in modo netto quello di sua madre Lucrezia.

Era felice che Bianca avesse preso qualcosa da lei. Anche se i suoi capelli biondi erano di una tonalità più scura dei suoi e gli occhi si erano fatti con gli anni di una tonalità tra il grigio e il blu molto particolare, ereditata chissà da chi, Caterina riusciva a rivedersi in lei più di quanto non riuscisse a rivedersi in nessun altro dei figli.

Tutti le dicevano che anche Livio e Sforzino le erano molto simili, in particolare nel taglio degli occhi e nelle forma del viso, e forse era vero, ma Bianca era di certo quella che più le era vicina.

Distogliendo lo sguardo per impedire alla sua mente di indugiare ulteriormente sul suo difficile rapporto coi primi sei figli, Caterina si trovò a fissare Giacomo che, ormai lontano, continuava nel suo peregrinaggio senza meta, il capo chino e pensoso e le gambe impegnate a fare lunghi passi, lenti e misurati.

"È vero che a fine settembre mio fratello Bernardino tornerà a vivere alla rocca?" chiese Bianca, a bruciapelo, con voce incerta e bassa.

La Contessa si voltò di scatto verso di lei. Ad averla colpita più di tutto era stata la scelta delle parole di Bianca. Aveva detto 'mio fratello'.

Che sapesse del programmato ritorno di Bernardino alla rocca di Ravaldino non sorprese Caterina più di tanto. Bianca era sveglia e di certo, quando aveva saputo che un nuovo precettore era stato assunto da sua madre, aveva fatto due più due e aveva capito il motivo di quella decisione.

"Sì." rispose la Contessa, con calma: "Ormai ha quasi cinque anni, è bene che inizi a studiare come si deve. Deve imparare a leggere e a scrivere e deve essere educato esattamente quanto lo siete tu e i tuoi fratelli. Se anche il suo futuro lo portasse a essere un semplice soldato o un cavaliere, nella migliore delle ipotesi, è bene che sia istruito."

Bianca ascoltava in silenzio, un'espressione neutra in volto. Caterina si chiese solo in quel momento quale sarebbe stata la reazione degli altri figli, quando avessero scoperto del ritorno a Ravaldino di Bernardino.

"Ricordatelo sempre – riprese la donna, cercando di non pensare anzitempo ai problemi che sarebbero sorti in autunno – l'istruzione è la base del successo di ciascuno di noi. L'ignoranza è come un macigno che non può far altro che trascinarci a fondo, portandoci ad azioni ignobili e vili."

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now