Capitolo 250: nobis,cum semel occidit brevis lux,nox est perpetua una dormienda

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Rodrigo Borja si sventolava il volto con un foglio ancora intonso, mentre leggeva la risposta che Savonarola si era finalmente degnato di fargli recapitare.

Dopo circa dieci giorni da quando era partita la sua lettera da Roma, il domenicano aveva infine preso la sua decisione, tuttavia Rodrigo avrebbe preferito aspettare qualche giorno in più pur di avere una risposta migliore.

Il frate aveva rifiutato la richiesta del papa di recarsi in Vaticano millantando vaghi problemi di salute e promettendo, con tutta la falsità dei diplomatici di mestiere, un incontro in futuro, magari l'anno a venire, se le sue condizione lo avessero permesso.

In compenso, oltre ad aver aggirato in modo tanto altezzoso una precisa richiesta del Santo Padre, Savonarola aveva avuto l'ardire di spedire assieme al messaggio una copia del suo Compendio di Rivelazioni, precisando in calce come quel libro sarebbe stato per Alessandro VI una valida guida spirituale.

Rodrigo lasciò da parte la lettera e si passò tra le mani il volumetto, smettendo per qualche momento di farsi aria.

L'afa dell'agosto romano era pressante e quel giorno, oltre al cielo grigio di nuvole minacciose, non c'era altro se non il caldo.

Aprì il libro e diede una scorsa veloce alle prime pagine. Gli venne subito un grande mal di testa e così non proseguì. Gettò il piccolo tomo in un angolo della scrivania e farfugliò un paio di improperi rivolti al domenicano.

Era di pessimo umore, quel giorno, perché le sue spie gli avevano riferito una voce che non gli piaceva per niente e che, se fosse stata fondata, avrebbe aperto le porte a una mossa che avrebbe sperato di poter compiere un po' più avanti.

Secondo i suoi delatori, Giovanni Sforza, suo genero, l'uomo a cui aveva perdonato la prudenza quasi eccessiva dimostrata durante la guerra solo perché così facendo il signore di Pesaro aveva esposto Lucrecia a meno pericoli del necessario, era un traditore.

O, per lo meno, lo era nei confronti della Santa Sede.

A quanto sembrava, per tutta la durata dell'invasione francese, quale che fosse il momentaneo schieramento scelto dal papa, lo Sforza aveva fatto continuamente il doppiogioco, tenendo informato il Duca di Milano di ogni mossa del Vaticano.

Non sarebbe stato facile scoprire se fosse vero e, per farlo, forse sarebbe stato opportuno scomodare Ascanio Sforza, che, però, da quando era stato incarcerato a Castel Sant'Angelo, non sembrava più molto desideroso di collaborare con Alessandro VI.

Sbuffando d'impazienza, Rodrigo lasciò la scrivania e raggiunse la porta. Attraversò i suoi appartamenti ad ampie falcate e cercò la figlia Lucrecia.

Quando finalmente la trovò, immersa nel profumato verde dei giardini Vaticani, il papa si sedette su una della panche di marmo e si mise a rimirarla, rapito dalla sua figura tanto eterea quanto straordinariamente carnale, e si chiese che fare con lei e con il suo smidollato marito spione.


 "Per avere una tresca e non essere nemmeno capaci a nasconderla..." stava dicendo uno degli avventori della barberia di Bernardi, a voce bassa.

Quello che gli stava accanto, in attesa come lui del proprio turno, sollevò le sopracciglia e fece un cenno d'assenso: "Appunto, dico io..."

Il Novacula fingeva di non ascoltare, irritato come non mai ed estremamente teso.

Da qualche giorno per la città sembrava essersi riacceso l'interesse per la figura del Barone Feo, forse, da quello che aveva potuto intuire, per via di certe chiacchiere messe in giro niente meno che dal Conte Ottaviano, che di quel periodo si era fatto un frequentatore abbastanza assiduo del lupanare più in vista della città.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now