Se io potessi scrivere tutto...

Por RebeccaValverde

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(Troverete le prime due parti sul mio profilo!) Caterina Sforza nacque nel 1463, figlia illegittima del Du... Más

Capitolo 250: nobis,cum semel occidit brevis lux,nox est perpetua una dormienda
Capitolo251:Temer si dee di sole quelle cose c'hanno potenza di fare altrui male
Capitolo 252: Per me si va ne la città dolente...
Capitolo 253: ...per me si va ne l'etterno dolore...
Capitolo 254: ...per me si va tra la perduta gente.
Capitolo 255: Giustizia mosse il mio alto fattore...
Capitolo 256: ...fecemi la divina potestate...
Capitolo 257: ...la somma sapienza...
Capitolo 258: ...e 'l primo amore.
Capitolo 259: Dinanzi a me non fuor cose create...
Capitolo 260: ...se non etterne...
Capitolo 261: ...e io etterno duro.
Capitolo 262: Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate.
Capitolo 263: Non uccidere.
Capitolo 264: Settanta volte sette.
Capitolo 265: Proprium humani ingenii est odisse quem laeseris
Capitolo266:Impossibile non sia cattivo chi un irrimediabile dramma ha abbattuto
Capitolo 267:ma se i tuoi occhi sono cattivi, sarai totalmente nelle tenebre.
Capitolo 268: La strategia è la via del paradosso.
Capitolo 269: Odero, si potero. Si non, invitus amabo.
Capitolo 270: Nisi caste, saltem caute.
Capitolo 271: Cuius vulturis hoc erit cadaver?
Capitolo 272: La croce mi fa dolente e non mi val Deo pregare.
Capitolo 273: Ma voi siate astuti come i serpenti e puri come le colombe.
Capitolo 274: Io stesso ero divenuto per me un grande enigma
Capitolo 275: Errat autem qui amicum in atrio quaerit, in convivio probat
Capitolo 276: Onorando molti e fidando in pochi
Capitolo 277: Relata refero
Capitolo 278: Rivalitatem non amat victoria.
Capitolo 279: Concordia parvae res crescunt, discordia maxumae dilabuntur
Capitolo 280: Chi può fare i capitoli, può eziandio disfarli.
Capitolo 281: Ell'è tanto utile cosa questa pace!
Capitolo 282: Obtorto collo
Capitolo 283: Fiducia
Capitolo 284: Superbiam iracundi oderunt, prudentes irrident
Capitolo 285: Anche un viaggio di mille miglia comincia con un passo
Capitolo 286: L'ambasciatore di Firenze
Capitolo 287: Potius sero quam nunquam
Capitolo 288: Sii pronto nell'ascoltare, lento nel proferire risposta
Capitolo 289: Ducis in consilio posita est virtus militum
Capitolo 290: Chi fugge dalla battaglia può combattere un'altra volta
Cap.291: Credere alla Fortuna è cosa pazza:aspetta pur che poi si pieghi e chini
Capitolo 292: Tutti torniamo a la grande madre antica
Capitolo 293: Hodie mihi, cras tibi
Capitolo 294: Prendere le misure
Capitolo 295: Il papa ha dieci anime
Capitolo 296:L'anima è immortale, e non possesso tuo bensì della provvidenza...
Capitolo 297: Flectamur facile, ne frangamur
Capitolo 298: Amore cerca di medicare l'umana natura
Capitolo 299: E poiché hanno seminato vento, raccoglieranno tempesta.
Capitolo 300:Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria
Capitolo 301: Qui gladio ferit, gladio perit.
Capitolo 302: Unum quodque verbus statera auraria pendere
Capitolo 303: Un cappello rosso, ma di sangue, voglio!
Capitolo 304: Simone Ridolfi
Capitolo 305: A caccia
Capitolo 306: Chi non sa fingersi amico, non sa esser nemico
Capitolo 307: Non mortem timemus, sed cogitationem mortis
Capitolo 308: Blanditia, non imperio, fit dulcis Venus.
Capitolo 309: Nulli necesse est felicitatem cursu sequi
Capitolo 310: Non semper temeritas est felix
Capitolo 311: Panem et circenses
Capitolo 312: Neminem cito accusaveris, neminem cito laudaveris
Capitolo 313: Tollere nodosam nescit medicina podagram
Capitolo 314: Cras ingens iterabimus aequor
Capitolo 315: Dove ci sono troppe mani, usa la chiave
Capitolo 316: Ex factis, non ex dictis amicos pensent
Capitolo 317: Dove men si sa, più si sospetta
Capitolo 318: Suam cuique fortunam in manu esset
Capitolo 319: ...che è vento ed ombra ed à nome beltade.
Capitolo 320: Ingégnati, se puoi, d'esser palese.
Capitolo 321: Che ti fa ciò che quivi si pispiglia?
Capitolo 322: Ama chi t'ama, e accostati a chi ti s'appressa
Capitolo 323: Idem velle atque nolle, ea demum firma amicitia est
Capitolo 324: Tu ne cedes malis, sed contra audentior ito
Cap 325:Gli strateghi vittoriosi han già trionfato, ancor prima di dar battaglia
Capitolo 326: Non tramonti il sole sopra la vostra ira.
Capitolo 327: Militat omnis amans, et habet sua castra Cupido.
Capitolo 328: Sera nimis vita est crastina
Capitolo 329: Acta est fabula. Plaudite!
Cap. 330: Sempre la confusion de le persone principio fu del mal de la cittade
Capitolo 331: Necessitas ultimum et maximum telum est
Capitolo332:Il mio diletto è bianco e vermiglio, riconoscibile tra mille e mille
Capitolo 333: O luce candidiore nota!
Capitolo 334: Il nuovo Governatore
Capitolo 335: Très braves et vaillans capitaines
Capitolo 336: Felix criminibus nullus erit diu.
Capitolo 337: Martedì Grasso
Capitolo 338: Il Falò delle Vanità
Cap.339:È sul campo di battaglia che si decide la vita e la morte delle nazioni
Capitolo 340: Amor, ch'a nullo amato amar perdona
Capitolo 341: Tum caedes hominum generi, tum proelia nata
Capitolo 342: Mettimi come un sigillo sul tuo cuore
Capitolo 343: De fumo ad flammam
Capitolo 344: Quis legem det amantibus?
Capitolo 345: Maior lex amor est sibi
Capitolo 346: Nessun uomo conosce la certezza e nessun uomo la conoscerà mai
Capitolo 347: È meglio sposarsi che ardere
Capitolo 348: Felix qui quod amat defendere fortiter audet
Capitolo 349: Unde fames homini vetitorum tanta ciborum?
Capitolo 350: Non exiguum temporis habemus, sed multum perdidimus
C351:La dignità non consiste nel possedere onori,ma nella coscienza di meritarli
Capitolo 352: Porte chiuse
Capitolo 353: Nil sine magno vita labore dedit mortalibus
Capitolo 354: Eripere telum, non dare irato decet.
Capitolo 355: Grave ipsius coscientiae pondus.
Capitolo 356: Et veggio 'l meglio, et al peggior m'appiglio
Capitolo 357: L'Amor, che m'è guerrero ed enemico...
Capitolo 358: 14 giugno 1497
Capitolo 359: Permitte divis cetera
Capitolo 360: Hoc volo, sic iubeo, sit pro ratione voluntas.
Capitolo 361: Ride, si sapis.
Capitolo 362: Sangue
Capitolo 363: Heu, coscientia animi gravi est servitus!
C364:E tutto 'l sangue mi sento turbato, ed ho men posa che l'acqua corrente...
Capitolo 365: Ego te intus et in cute novi.
Capitolo 366: Amor gignit amorem
Capitolo 367: Praeterita magis reprehendi possunt quam corrigit.
Capitolo 368: Ognuno dovrebbe fare il mestiere che sa
Capitolo 369: Tacitulus Taxim
Capitolo 370: Dica pur chi mal vuol dire, noi faremo e voi direte.
Capitolo 371: Noli me tangere
Capitolo 372: Ipsa sua melior fama
Capitolo 373: Ché voler ciò udire è bassa voglia.
Capitolo 374: Fare del proprio meglio
Capitolo 375: Siamo alle porte co' sassi...
Cap376:Chi non ha ottenuto la fiducia del sovrano, non agisce come suo generale
Capitolo 377: Simul stabunt vel simul cadent
Capitolo 378: Absit iniuria verbis
Capitolo 379: Chi è diffamato, è mezzo impiccato
Capitolo 380: Fors dominatur, neque vita ulli propria in vita est
Capitolo 381: Virgo Intacta
Capitolo 382: Un anno esatto
Capitolo 383: Simpliciter pateat vitium fortasse pusillum
Capitolo 384: Ribellione
Capitolo 385: Cursus honorum
Capitolo 386: Fame
Capitolo 387: Notissimum quodque malum maxime tolerabile
Capitolo 388: Roma locuta, causa finita
Capitolo 389: Carpe diem
Capitolo 390: La prova del fuoco
Capitolo 391: Che c'è di più dolce del miele? Che c'è di più forte del leone?
Capitolo 392: Nihil necesse est, undique enim ad inferos tantundem viae est
Capitolo 393: Ci vuole pazienza
Capitolo 394: Doppia caccia
Capitolo 395: Omnes eodem cogimur
Capitolo 396: Il titol di più onore è padre e difensore
Capitolo 397: Io son l'Occasione, a pochi nota...
Capitolo 398: 23 maggio 1498
Capitolo 399: Il Vescovo di Volterra
Capitolo 400: Dichiarazione di guerra
Capitolo 401: Mi basta bene l'animo de difendermi
Capitolo 402: Il leone usa tutta la sua forza anche per uccidere un coniglio
Capitolo 403: Invece di maledire il buio è meglio accendere una candela
Capitolo 404: La via dello andare all'Inferno era facile...
Capitolo 405: ...poiché si andava allo ingiù e a occhi chiusi.
Capitolo 406: 21 giugno 1498
Capitolo 407: Miser Catulle, desinas ineptire...
Capitolo 408: Sine pennis volare haud facile est.
Capitolo 409: Incipe, parve puer...
Capitolo 410: Naturae sequitur semina quisque suae
Capitolo 411: Fame da lupi
C412:Da mi basia mille,deinde centum,dein mille altera,dein secunda centum...
Capitolo 413: Acqua lontana non spegne il fuoco
Capitolo 414: Diem noctis expectatione perdunt, noctem lucis metu
Capitolo 415: Fratelli
Capitolo 416: Semel emissus, volat irrevocabile verbum
Capitolo 417: Chi dice che gli è cosa dura l'aspettare, dice el vero.
Capitolo 418: Valiceno
C420: Avvezza i tuoi soldati a spregiare il vivere delicato...
Capitolo 421: Tu quidem macte virtute diligentiaque esto
Capitolo 422: Deos fortioribus adesse
Capitolo 423: Quam magnus numerus Lybissae harenae...
Capitolo 424: Tristis eris si solus eris
Capitolo 425: Hannibal ad portas
Capitolo 426: Arduo essere buono
Capitolo 427: Tramontata è la Luna, tramontate le Pleiadi...
Capitolo 428: È a mezzo la notte...
Capitolo 429: ...trascorre il tempo; io dormo sola.
Capitolo 430: Sit tibi terra levis
Capitolo 431: Contro i tristi tutto il mondo è armato
Capitolo 432: Ordini
Capitolo 433: Et so quello che dico.
Capitolo 434: Nessuno ama l'uomo che porta cattive notizie
Capitolo 435: Impudenter certa negantibus difficilior venia
Capitolo 436: Odi et amo
Capitolo 437: Ambasciator non porta pena
Capitolo 438: Il bere vino puro placa la fame
Capitolo 439: De morte Ioannis Medicis
Capitolo 440: Le ferite sanguinanti spurgano il male
Capitolo 441: Stultitiast, pater, venatum ducere invitas canes.
Capitolo 442: Non fuit in solo Roma peracta die.
Capitolo 443: Il respecto, suspecto, et despecto.
Capitolo 444: Ira et spes fallaces sunt auctores
C445: Perché non si dica mai che uno straniero è stato nostro comandante.
Capitolo 446: Campane a martello
C447:Ma i coraggiosi riflettono sui pericoli al loro sopraggiungere...
Capitolo 448: Non fare il forte con il vino, perché ha mandato molti in rovina.
Capitolo 449: Ottaviano Manfredi

Capitolo 419: Stillicidi casus lapidem cavat

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Por RebeccaValverde

Siccome si attendevano armi e rifornimenti da Firenze, i lavori al campo di Paolo Vitelli sembravano andare a rilento.

Il duro colpo inflitto ai veneziani sembrava aver fiaccato molto il nemico che, a parte una piccola zuffa avvenuta tra degli esploratori fiorentini e ricognitori della Serenissima, non avevano più dato segno di vita.

Giovanni ne stava approfittando per riprendersi e per intessere qualche conoscenza. I limiti del suo fisico lo inducevano a stare spesso seduto, se non addirittura sdraiato, ma, grazie a Ottaviano che seguiva i suoi consigli come fossero stati ordini, riusciva sempre a trovarsi nel padiglione degli ospiti interessanti con cui intrattenere discorsi molto utili.

Quando il giovane Riario aveva insistito per fargli conoscere Ottaviano Manfredi, il Medici aveva accettato e, benché come tipo il faentino gli stesse abbastanza antipatico, una volta rimasto di nuovo solo con il figliastro aveva dovuto ammettere che le idee che proponeva non erano malvagie.

"Se il suo piano andasse a buon fine – aveva detto il Popolano, ripensando al tono ottimista con cui l'esule Manfredi aveva esposto il suo progetto – non solo riusciremmo a pacificare quella striscia di terra, ma riusciremmo anche a liberare Bianca da Astorre. E credo che per tua madre questo sarebbe davvero importante."

Nel citare Caterina, Giovanni non era riuscito a non fare anche un altro genere di pensiero. Il suo corpo si stava stremando, in quei giorni. Che lo volesse o no, gli era chiaro che prima o poi – forse molto prima che poi – sarebbe stato poco più di un rottame.

Faceva fatica a camminare, salvo le mattine in cui si sentiva in forma, e anche le attività quotidiane gli diventavano penose.

Ottaviano Manfredi, invece, era giovane, forte e anche bello. Aveva ancora la tracotanza di un ragazzo, benché avesse già ventisei anni.

Con una spina di dolore nel cuore, il fiorentino era arrivato a pensare che a sua moglie non sarebbe dispiaciuto poi molto, avere a che fare con un uomo del genere, quando sarebbe arrivato il momento.

Oltre al faentino, poi, Giovanni aveva cercato di tastare il polso di altri comandanti, più importanti di lui, e aveva cercato con discrezione di propugnare l'idea che lui e la Sforza avevano in merito alle guerra tra i signorotti italiani.

Quella sera, per esempio, mentre stava seduto accanto a Ottaviano, al tavolo attorno al quale si discuteva la campagna, il Medici aveva esordito di nuovo dicendo: "Perché se ci unissimo, rispettando a vicenda i rispettivi interessi..."

"Parlate da favole." l'aveva zittito all'istante Paolo Vitelli, agitando una mano: "Siamo qui a far guerra a Pisa e voi vorreste un'Italia unita..."

Quando la riunione si era sciolta, il comandante generale delle truppe repubblicane, aveva preso da parte un paio di suoi fedelissimi e, guardando Giovanni che, zoppicando vistosamente, tornava con Ottaviano verso il loro padiglione, aveva sussurrato: "Quel Medici parla troppo. Ma adesso è di suo cugino Piero che dovremmo preoccuparci. Notizie da Baglioni?"

Il suo secondo, che era l'incaricato ufficiale di tenerlo al corrente sull'esito della condotta di Giampaolo Baglioni, fresco acquisto dello schieramento fiorentino, che aveva saputo già bloccare al castello delle Piscine Guidobaldo da Montefeltro, scosse il capo: "Le solite, mio signore. Lui è pronto a dare una scossa al fronte nord, ma vuole più soldi."

Paolo Vitelli strinse i denti e, occhieggiando verso il cielo che si scuriva, sbuffò: "Tirchi fiorentini..."


L'Oliva alzò le spalle e continuò: "Capite bene che non è il mio campo. Spiate politiche, quello sì, ma rintracciare figli illegittimi..."

La Contessa lo mise a tacere con un cenno stizzito della mano. Da qualche tempo aveva ordinato al capo delle spie di indagare sulla ragazza di cui si sparlava in città, quella che doveva essere rimasta incinta dopo una violenza di Ottaviano.

Quello che ne era emerso era stato poco, o meglio, troppo. Sembrava non fosse un caso isolato, benché spesso le testimonianze fossero difficili da vagliare e ritenere valide, e, a ben guardare in più di un bordello c'erano ragazze con figli già nati o in procinto di nascere che, parlandone spesso in lacrime con le spie messe in giro dall'Oliva, non escludevano l'ipotesi che il padre potesse essere il Riario.

Caterina sapeva bene che il milanese non aveva colpe, tuttavia, come spesso accade, sull'impeto della rabbia, se la prese con lui: "Parlate, parlate, ma quando serve non sapete cavare un ragno da un buco! Andatevene, adesso, e cercatemi solo quando avrete notizie concrete da darmi!"

L'Oliva fece un profondo inchino e lasciò lo studiolo del castellano senza aggiungere altro, ben sapendo che, in quel caso, avrebbe solo acceso di più una fiamma già divampante, facendo solo danno.

Appena l'uomo si chiuse la porta alle spalle, la Sforza andò a sedersi sulla poltrona che stava accanto alla finestra. Da quando aveva avuto l'accesso febbrile che l'aveva tenuta stesa a letto per una notte intera, quasi priva di sensi, si sentiva molto più nervosa di prima.

In parte era per colpa della stanchezza, che le annebbiava il corpo e si ripercuoteva di quando in quando anche nella mente. E in parte sentiva i nervi a fior di pelle perché dal fronte non erano arrivate altre notizie.

Le importavano relativamente le elucubrazioni del suo medico, che non riusciva a capire se il febbrone che l'aveva colpita potesse essere di origine malarica o, piuttosto, una strana manifestazione del morbo che stava minacciando anche il resto della città.

Tutto quello che avrebbe voluto, sarebbe stato avere Giovanni accanto a sé.

Con fare abbastanza scocciato, la donna battè il palmo della mano sul bracciolo della poltrona, la testa immersa nei suoi pensieri, e poi si rialzò.

Andò alla scrivania, controllò un po' di carte, senza davvero capire cosa vi fosse scritto, e poi si diresse verso la porta, pensando che l'unico modo che aveva per calmarsi un po' sarebbe stato andare nella stanza di Ludovico e stare con lui.

Cesare, quel giorno, era uscito molto presto per andare al Duomo. A pregare per Ottaviano, così aveva detto. Sua madre, ormai, era certa che il secondogenito avrebbe preferito dormire in chiesa, piuttosto che stare nella rocca in cui lo aveva fatto vivere fin da ragazzino. L'avrebbe anche lasciato fare, ma preferiva averlo sotto il suo controllo, almeno per qualche ora nell'arco dell'intera giornata.

Sforzino era coi precettori, a lottare con una lezione di matematica che probabilmente non avrebbe mai capito. Quel bambino seguiva con interesse solo le storie dei Santi e i testi sacri e forse, pensava la Sforza, era un bene. Era un tipo tranquillo, pacifico, dedito solo al cibo e alle sue fantasticherie idilliache sulla fede. Per lui, intraprendere la strada ecclesiastica al momento e con gli appoggi giusti, sarebbe stato più indolore che per altri.

Galeazzo era nel cortile d'addestramento assieme a Bernardino. Alla Contessa faceva piacere vederli andare così d'accordo. Il piccolo pendeva dalle labbra del grande che, con una certa umiltà, faceva del suo meglio per tirarselo sempre dietro e insegnargli quello che sapeva.

Bernardino l'aveva pregata di andare con loro in cortile, per vedere quanto fosse bravo, ma la Leonessa aveva declinato. Non aveva alcuna voglia di stare sotto al sole cocente degli ultimi giorni di luglio a cuocere come carne sulla brace. Non dopo il malessere che l'aveva presa. E poi c'era anche un motivo molto meno scusabile, che la stava tenendo lontana dai soldati in quegli ultimi giorni: la lontananza del marito si stava facendo sentire molto più violentemente di quanto avesse sperato e, malgrado la salute non proprio eccellente, vedersi davanti aitanti ventenni che le avrebbero detto di sì senza il minimo indugio, era una prova di forza morale a cui non voleva rischiare di sottoporsi.

Bianca doveva essere con Ludovico. Quando non era nelle cucine o a cucire con le sue amiche, era ormai più facile trovarla con il fratellino, piuttosto che a leggere un libro o giocare ai dadi coi soldati. In un certo senso, il fatto che la figlia stesse pian piano riducendo le sue frequentazioni coi ragazzi e gli uomini che vivevano a Ravaldino aveva tranquillizzato la Tigre, anche se, lo sapeva per certo, di quando in quando Bianca era stata vista parlare in tono intimo o baciare qualcuno di loro. Questo fatto poneva la Contessa in una condizione molto delicata e scomoda. Da un lato era felice di vedere che la figlia si prendeva le sue libertà, dall'altro avrebbe voluto chiuderla a chiave e impedirle di complicare le cose. Perché sapeva che, prima o poi, sarebbero arrivati i guai e non voleva che Castagnino e Astorre Manfredi trovassero anche solo una scusa per costringere Bianca ad andare a Faenza. Ormai il ragazzino era quasi in età per reclamare i suoi diritti, e a quel punto...

Caterina sospirò e si passò una mano sulla fronte, appoggiando l'altra allo stipite della porta. Un lieve capogiro la fermò per qualche istante, ma poi, quasi imponendosi di riprendersi all'istante, la donna si rimise dritta e uscì in corridoio.

"Vi ho trovata..." la voce del Capitano Numai la raggiunse dalla tromba della scale e così, benché non avesse alcuna voglia di dargli ascolto, la Contessa si voltò e gli chiese che volesse.

"Sono appena arrivati due messaggi dal fronte." spiegò l'uomo, raggiungendola: "La staffetta vi aspetta giù. Non li abbiamo letti, ovviamente, ma ci ha anticipato che vostro figlio Ottaviano ha riportato una grande vittoria!"

La Tigre trasecolò. Mai avrebbe creduto di sentire dire da qualcuno le parole 'Ottaviano' e 'vittoria' nell'ambito della stessa frase.

"Portatemi da questa staffetta, allora." disse subito, seguendo di fretta Numai che, nel breve tragitto che li portò fino al primo cortiletto, continuò a ribadire che il Riario aveva gestito quella campagna in modo eccellente.

La Contessa si fece leggere ad alta voce la lettera ufficiale, tenendo quella privata per sé, e, man mano che la staffetta enunciava le parole dettate da Giovanni, la donna comprese sempre di più quanto peso avesse avuto suo marito nella riuscita di Ottaviano.

"Dovremo far coniare una medaglia commemorativa." disse, quasi di sfuggita, rivolgendosi al cancelliere Cardella, accorso per sentire le novità.

Mentre questi annuiva e cominciava a chiederle come volesse questa medaglia, la Sforza si congedò da tutti e si ritirò veloce nelle sue stanze per leggere il messaggio del Medici.

Aperta la missiva si accorse subito che la grafia – eccezion fatta per la firma in fondo – non era quella del marito e quel dettaglio le fece stringere il cuore.

Quando poi lesse le sue parole, la stretta si fece ancor più tenace, perché, malgrado avesse usato toni abbastanza morbidi e quasi vaghi, era chiaro il tormento che Giovanni provava. Per la sua salute, per il dramma spirituale dell'aver impugnato armi contro altri esseri umani e, ancor di più, per la lontananza da lei e da Ludovico.

Asciugandosi la guancia con il dorso della mano, Caterina ripiegò la lettera e poi, sentendosi in dovere di ripagare gli sforzi del marito con altrettanto impegno, si vestì di tutto punto e andò, a passo sicuro e spedito, al palazzo, dopo aver dato ordine di richiamare un Consiglio Cittadino straordinario, affinché tutti i membri e i notabili di Forlì sapessero come stesse andando la guerra e quale fondamentale contributo stesse dando Giovanni Medici, ambasciatore di Firenze nonché suo marito.


"E allora? Non ne sei contenta? Ho fatto quello che mi hai detto." fece Lorenzo, appoggiando il coltello da carne al tavolo.

Quel giorno, per tanti motivi, avevano finito per mangiare tardissimo e, messi a letto i figli, il Medici e sua moglie avevano dovuto far accendere una dozzina di candele per illuminare la tavola.

"Lo sai che Giovanni non lo avrebbe voluto." fece la donna, tenendo lo sguardo basso, mentre con un pezzo di pane sciocco raccoglieva il sugo dello stufato nel fondo del piatto: "Aveva dato disposizioni precise per questa cosa e tu..."

"Se voleva che le cose si facessero come dice lui, doveva star qui fino alla fine, invece di correre da quel rintronato di Ottaviano Riario." la zittì Lorenzo, grattandosi un po' la guancia sempre più incavata e coperta di ispida barba castana.

Aveva saputo, come tutti, ormai, della vittoria ottenuta nei pressi di Cascina e gli era arrivata voce che il Conte Riario avesse fatto una figura migliore di quanto tutti si aspettassero e che, dopo l'euforia iniziale nel vederlo capace di combattere, in molti avevano ridimensionato l'entusiasmo dando più meriti a Giovanni che non a lui.

"E poi – riprese il Popolano, le labbra sporte in fuori e una piccola fitta al petto nel pensare che suo fratello era stato in battaglia, era sopravvissuto, aveva vinto e non gli aveva nemmeno scritto due righe per rassicurarlo – a lui importava che quella cagna della Sforza avesse la cittadinanza, no? E quella l'ha avuta."

"Ma tu lo sai che ci teneva che il suo nome fosse su quel documento." insistette Semiramide, mentre il pane si faceva tanto zuppo di sugo da rompersi in tanti pezzetti gonfi: "Non vedo perché tu abbia voluto a tutti i costi toglierlo e lasciare in un documento tanto importante una dicitura vaga come 'sposata con un nobiluomo fiorentino'..."

Lorenzo riprese il coltello e recuperò un altro pezzo di carne dal vassoio: "Al diavolo, Semiramide!" sbottò: "Quella vipera del Cardinale Sansoni Riario ha già guidato la congiura contro il secondo marito di quell'assassina! Vuoi che faccia ammazzare anche mio fratello?!"

La donna restò interdetta da quella strana spiegazione e così, mentre abbandonava una volta per tutte il pezzo di pane nel piatto, chiese, a voce bassa: "Ma cosa..? Che ne sai tu..."

"Ho pagato delle spie che hanno saputo fare il loro lavoro. Ho molti soldi. So usarli." fece il Medici, apparentemente calmandosi un po' e addentando il pezzo di cinghiale che aveva infilzato poco prima.

"I soldi..." sbuffò la moglie, tirando un po' indietro la sedia e facendola grattare sul pavimento di cotto: "È per quelli che hai fatto tutto: i soldi."

"Non ti permetto di usare quel tono con me." fece l'uomo, fissandola con una luce venefica negli occhi.

L'Appiani, in momenti come quelli, non lo riconosceva più: "Ammettilo, Lorenzo. Hai voluto cancellare il nome di Giovanni da quel documento solo perché hai paura che muoia e che quel pezzo di carta sia la prova che la sua eredità deve andare alla Sforza!"

A quelle parole, il Popolano picchiò il coltello sul tavolo, lo stomaco tanto attorcigliato che non avrebbe più potuto buttar giù nemmeno un sorso di vino.

Era così furente che avrebbe anche potuto fare uno sproposito, tuttavia, quando già si era alzato, fronteggiando la moglie con fare minaccioso, ebbe la prontezza di andarsene, evitandosi una colpa che non avrebbe potuto sopportare. In sedici anni di matrimonio non aveva alzato le mani verso sua moglie nemmeno una volta, né mai aveva cercato di farle davvero del male.

Quella sera aveva rischiato di passare il limite, ma si era fermato appena in tempo.

Sola al tavolo, il viso pallido come un lenzuolo, l'Appiani ascoltò i passi pesanti del marito allontanarsi e poi, come se la paura provata fosse esplosa tutta assieme, iniziò a piangere, scossa dai singhiozzi.

C'era stato un istante, uno solo, ma era stato sufficiente, durante il quale era stata certa che Lorenzo le avrebbe stretto le mani al collo e l'avrebbe strozzata.

L'aveva capito dal modo in cui l'aveva guardata.

Ma poi ce n'era andato e, la fretta con cui l'aveva fatto, un po' aveva confermato il dubbio di Semiramide.

Con le mani che tremavano vistosamente, la donna si appoggiò al tavolo e si alzò dalla sedia. La nausea che l'aveva presa era simile a quella che insorge per un forte dolore e, nel camminare, si rese conto di avere anche poco equilibrio.

Si risedette appena fuori dalla sala da pranzo, di una delle ottomane che erano accanto alla porta.

Si appoggiò una mano sul petto e sentì il cuore battere veloce come quello di un pulcino. Cercò di fare respiri fondi, per tranquillizzarsi, ma la verità che doveva affrontare era così pesante da renderle molto difficile quell'esercizio di autocontrollo.

Quando fu sicura di riuscire a camminare di nuovo dritta, Semiramide si rimise in piedi e andò nella sua camera. Non volle l'aiuto di nessuna serva per cambiarsi e, appena ebbe congedato anche la più insistente, chiuse la porta a tre mandate.

Malgrado tutto, si fidava ancora di Lorenzo e lo amava più di quanto sapesse dire. Però, da donna pratica quale da sempre era, ritenne opportuno prendere quella semplice precauzione.


"Non crediate che la guerra finirà solo perché hanno vinto una battaglia." fece Tommaso Feo, scuotendo la testa con fare pessimista: "Che poi non era nemmeno una battaglia, ma un agguato. E vorrei vedere chi tende un'imboscata senza essere sicuro di vincerla."

Quel giorno l'ex Governatore era al palazzo in cui ormai da tempo abitavano la sorella Lucrezia e Simone Ridolfi. Il fiorentino lo aveva invitato a pranzo e poi, dopo mangiato, si era ritirato con lui in uno dei salotti e l'aveva messo a parte delle fantastiche notizie arrivate dal fronte pisano.

Tommaso, però, aveva accolto quelle novità dapprima con una sorta di freddo distacco e poi, più se ne parlava, con cupo scetticismo.

"La Contessa si lascia gettare fumo negli occhi." disse il Feo, seduto in poltrona, gli occhi un po' incavati e la barba grigia incolta: "Se non fosse così attenta a tenere alto il nome di suo marito e a fare la balia a suo figlio, capirebbe che è dal papa che dovrebbe guardarsi."

"Che intendete?" chiese Ridolfi, che invece era in piedi, vicino al camino spento.

Tommaso lo guardò un momento, quasi con commiserazione, come se lo ritenesse un autentico stupido: "Secondo voi è normale che Rodrigo Borja se ne stia con le mani in mano mentre Venezia e Firenze mettono le basi per spartirsi la Romagna?"

Simone non fece troppo caso a quello sguardo né al tono ruvido usato dal cognato. Lui e Lucrezia avevano discusso spesso sullo stato in cui verteva Tommaso ed entrambi erano giunti alla conclusione che occuparsi della tenuta del Bosco da solo non gli stava facendo bene.

Era tetro, sempre aspro e il suo fisico sembrava quello di un vecchio e non quello di uomo che non aveva ancora quarant'anni.

"Il papa non..." prese a dire il Governatore di Imola, ma l'altro lo interruppe quasi subito.

"Vi prego, fate presente alla Contessa il mio punto di vista. Lei ha parenti in Vaticano. Che cerchi di scoprire le prossime mosse del papa." concluse il Feo, mettendosi le mani in grembo e sospirando.

"Forse dovreste dirglielo voi stesso, quello che pensate." provò a dire Simone, scompigliandosi i capelli che davano sul rossiccio: "Scommetto che la Contessa vi ascolterebbe. Di me, si fida solo per i calcoli."

Tommaso strinse il morso e per un istante strinse anche gli occhi e un pugno. Sembrava quasi tentato di fare come il cognato gli suggeriva, ma poi, sbuffando, scosse la testa.

"Io non la voglio vedere più." sussurrò, per poi sollevare gli occhi scuri verso Simone e schiudere appena le labbra, quasi fosse stupito delle sue stesse parole e si vergognasse di averle dette davanti a Ridolfi.

Deciso a chiudere quella situazione imbarazzante, il Feo lasciò la poltrona e, con un goffo cenno del capo, chiuse quella discussione dicendo: "Mi è venuto in mente che dovevo incontrami con alcuni braccianti. Perdonatemi..." e senza dare il tempo a Ridolfi di fermarlo, se ne andò.

"Mio fratello è già andato via?" chiese Lucrezia, quando vide il marito arrivare nella loro camera.

Simone la guardò un momento. Si stava cambiando per il pomeriggio. Era in vestaglia ed era come sempre bellissima.

"Dove stai andando?" le chiese, vedendo che aveva messo sul letto l'abito che di norma usava per uscire.

"Devo vedere uno dei miei fittavoli..." fece lei, sbrigativa, per poi sorridergli e chiedergli, quasi ridendo: "Non sarai geloso, spero..."

"No, quando mai." ribatté il Governatore e poi, passando a riferirle quello che Tommaso gli aveva detto, l'aiutò a vestirsi e, mentre le sfiorava la pelle calda e sentiva il profumo degli olii che aveva usato per farsi un bagno, un po' riuscì a capire suo cognato e il tormento che portava sempre nel cuore.

Essere innamorati di una donna tanto non curante da non capire quante ferite lascia nel cuore di un uomo, a volte era un vero strazio.


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