Se io potessi scrivere tutto...

By RebeccaValverde

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(Troverete le prime due parti sul mio profilo!) Caterina Sforza nacque nel 1463, figlia illegittima del Du... More

Capitolo 250: nobis,cum semel occidit brevis lux,nox est perpetua una dormienda
Capitolo251:Temer si dee di sole quelle cose c'hanno potenza di fare altrui male
Capitolo 252: Per me si va ne la città dolente...
Capitolo 253: ...per me si va ne l'etterno dolore...
Capitolo 254: ...per me si va tra la perduta gente.
Capitolo 255: Giustizia mosse il mio alto fattore...
Capitolo 256: ...fecemi la divina potestate...
Capitolo 257: ...la somma sapienza...
Capitolo 258: ...e 'l primo amore.
Capitolo 259: Dinanzi a me non fuor cose create...
Capitolo 260: ...se non etterne...
Capitolo 261: ...e io etterno duro.
Capitolo 262: Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate.
Capitolo 263: Non uccidere.
Capitolo 264: Settanta volte sette.
Capitolo 265: Proprium humani ingenii est odisse quem laeseris
Capitolo266:Impossibile non sia cattivo chi un irrimediabile dramma ha abbattuto
Capitolo 267:ma se i tuoi occhi sono cattivi, sarai totalmente nelle tenebre.
Capitolo 268: La strategia è la via del paradosso.
Capitolo 269: Odero, si potero. Si non, invitus amabo.
Capitolo 270: Nisi caste, saltem caute.
Capitolo 271: Cuius vulturis hoc erit cadaver?
Capitolo 272: La croce mi fa dolente e non mi val Deo pregare.
Capitolo 273: Ma voi siate astuti come i serpenti e puri come le colombe.
Capitolo 274: Io stesso ero divenuto per me un grande enigma
Capitolo 275: Errat autem qui amicum in atrio quaerit, in convivio probat
Capitolo 276: Onorando molti e fidando in pochi
Capitolo 277: Relata refero
Capitolo 278: Rivalitatem non amat victoria.
Capitolo 279: Concordia parvae res crescunt, discordia maxumae dilabuntur
Capitolo 280: Chi può fare i capitoli, può eziandio disfarli.
Capitolo 281: Ell'è tanto utile cosa questa pace!
Capitolo 282: Obtorto collo
Capitolo 283: Fiducia
Capitolo 284: Superbiam iracundi oderunt, prudentes irrident
Capitolo 285: Anche un viaggio di mille miglia comincia con un passo
Capitolo 286: L'ambasciatore di Firenze
Capitolo 287: Potius sero quam nunquam
Capitolo 288: Sii pronto nell'ascoltare, lento nel proferire risposta
Capitolo 289: Ducis in consilio posita est virtus militum
Capitolo 290: Chi fugge dalla battaglia può combattere un'altra volta
Cap.291: Credere alla Fortuna è cosa pazza:aspetta pur che poi si pieghi e chini
Capitolo 292: Tutti torniamo a la grande madre antica
Capitolo 293: Hodie mihi, cras tibi
Capitolo 294: Prendere le misure
Capitolo 295: Il papa ha dieci anime
Capitolo 296:L'anima è immortale, e non possesso tuo bensì della provvidenza...
Capitolo 297: Flectamur facile, ne frangamur
Capitolo 298: Amore cerca di medicare l'umana natura
Capitolo 299: E poiché hanno seminato vento, raccoglieranno tempesta.
Capitolo 300:Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria
Capitolo 301: Qui gladio ferit, gladio perit.
Capitolo 302: Unum quodque verbus statera auraria pendere
Capitolo 303: Un cappello rosso, ma di sangue, voglio!
Capitolo 304: Simone Ridolfi
Capitolo 305: A caccia
Capitolo 306: Chi non sa fingersi amico, non sa esser nemico
Capitolo 307: Non mortem timemus, sed cogitationem mortis
Capitolo 308: Blanditia, non imperio, fit dulcis Venus.
Capitolo 309: Nulli necesse est felicitatem cursu sequi
Capitolo 310: Non semper temeritas est felix
Capitolo 311: Panem et circenses
Capitolo 312: Neminem cito accusaveris, neminem cito laudaveris
Capitolo 313: Tollere nodosam nescit medicina podagram
Capitolo 314: Cras ingens iterabimus aequor
Capitolo 315: Dove ci sono troppe mani, usa la chiave
Capitolo 316: Ex factis, non ex dictis amicos pensent
Capitolo 317: Dove men si sa, più si sospetta
Capitolo 318: Suam cuique fortunam in manu esset
Capitolo 319: ...che è vento ed ombra ed à nome beltade.
Capitolo 320: Ingégnati, se puoi, d'esser palese.
Capitolo 321: Che ti fa ciò che quivi si pispiglia?
Capitolo 322: Ama chi t'ama, e accostati a chi ti s'appressa
Capitolo 323: Idem velle atque nolle, ea demum firma amicitia est
Capitolo 324: Tu ne cedes malis, sed contra audentior ito
Cap 325:Gli strateghi vittoriosi han già trionfato, ancor prima di dar battaglia
Capitolo 326: Non tramonti il sole sopra la vostra ira.
Capitolo 327: Militat omnis amans, et habet sua castra Cupido.
Capitolo 328: Sera nimis vita est crastina
Capitolo 329: Acta est fabula. Plaudite!
Cap. 330: Sempre la confusion de le persone principio fu del mal de la cittade
Capitolo 331: Necessitas ultimum et maximum telum est
Capitolo332:Il mio diletto è bianco e vermiglio, riconoscibile tra mille e mille
Capitolo 333: O luce candidiore nota!
Capitolo 334: Il nuovo Governatore
Capitolo 335: Très braves et vaillans capitaines
Capitolo 336: Felix criminibus nullus erit diu.
Capitolo 337: Martedì Grasso
Capitolo 338: Il Falò delle Vanità
Cap.339:È sul campo di battaglia che si decide la vita e la morte delle nazioni
Capitolo 340: Amor, ch'a nullo amato amar perdona
Capitolo 341: Tum caedes hominum generi, tum proelia nata
Capitolo 342: Mettimi come un sigillo sul tuo cuore
Capitolo 343: De fumo ad flammam
Capitolo 344: Quis legem det amantibus?
Capitolo 345: Maior lex amor est sibi
Capitolo 346: Nessun uomo conosce la certezza e nessun uomo la conoscerà mai
Capitolo 347: È meglio sposarsi che ardere
Capitolo 348: Felix qui quod amat defendere fortiter audet
Capitolo 349: Unde fames homini vetitorum tanta ciborum?
Capitolo 350: Non exiguum temporis habemus, sed multum perdidimus
C351:La dignità non consiste nel possedere onori,ma nella coscienza di meritarli
Capitolo 352: Porte chiuse
Capitolo 353: Nil sine magno vita labore dedit mortalibus
Capitolo 354: Eripere telum, non dare irato decet.
Capitolo 355: Grave ipsius coscientiae pondus.
Capitolo 356: Et veggio 'l meglio, et al peggior m'appiglio
Capitolo 357: L'Amor, che m'è guerrero ed enemico...
Capitolo 358: 14 giugno 1497
Capitolo 359: Permitte divis cetera
Capitolo 360: Hoc volo, sic iubeo, sit pro ratione voluntas.
Capitolo 361: Ride, si sapis.
Capitolo 362: Sangue
Capitolo 363: Heu, coscientia animi gravi est servitus!
C364:E tutto 'l sangue mi sento turbato, ed ho men posa che l'acqua corrente...
Capitolo 365: Ego te intus et in cute novi.
Capitolo 366: Amor gignit amorem
Capitolo 367: Praeterita magis reprehendi possunt quam corrigit.
Capitolo 368: Ognuno dovrebbe fare il mestiere che sa
Capitolo 369: Tacitulus Taxim
Capitolo 370: Dica pur chi mal vuol dire, noi faremo e voi direte.
Capitolo 371: Noli me tangere
Capitolo 372: Ipsa sua melior fama
Capitolo 373: Ché voler ciò udire è bassa voglia.
Capitolo 374: Fare del proprio meglio
Capitolo 375: Siamo alle porte co' sassi...
Cap376:Chi non ha ottenuto la fiducia del sovrano, non agisce come suo generale
Capitolo 377: Simul stabunt vel simul cadent
Capitolo 378: Absit iniuria verbis
Capitolo 379: Chi è diffamato, è mezzo impiccato
Capitolo 380: Fors dominatur, neque vita ulli propria in vita est
Capitolo 381: Virgo Intacta
Capitolo 382: Un anno esatto
Capitolo 383: Simpliciter pateat vitium fortasse pusillum
Capitolo 384: Ribellione
Capitolo 385: Cursus honorum
Capitolo 386: Fame
Capitolo 387: Notissimum quodque malum maxime tolerabile
Capitolo 388: Roma locuta, causa finita
Capitolo 389: Carpe diem
Capitolo 391: Che c'è di più dolce del miele? Che c'è di più forte del leone?
Capitolo 392: Nihil necesse est, undique enim ad inferos tantundem viae est
Capitolo 393: Ci vuole pazienza
Capitolo 394: Doppia caccia
Capitolo 395: Omnes eodem cogimur
Capitolo 396: Il titol di più onore è padre e difensore
Capitolo 397: Io son l'Occasione, a pochi nota...
Capitolo 398: 23 maggio 1498
Capitolo 399: Il Vescovo di Volterra
Capitolo 400: Dichiarazione di guerra
Capitolo 401: Mi basta bene l'animo de difendermi
Capitolo 402: Il leone usa tutta la sua forza anche per uccidere un coniglio
Capitolo 403: Invece di maledire il buio è meglio accendere una candela
Capitolo 404: La via dello andare all'Inferno era facile...
Capitolo 405: ...poiché si andava allo ingiù e a occhi chiusi.
Capitolo 406: 21 giugno 1498
Capitolo 407: Miser Catulle, desinas ineptire...
Capitolo 408: Sine pennis volare haud facile est.
Capitolo 409: Incipe, parve puer...
Capitolo 410: Naturae sequitur semina quisque suae
Capitolo 411: Fame da lupi
C412:Da mi basia mille,deinde centum,dein mille altera,dein secunda centum...
Capitolo 413: Acqua lontana non spegne il fuoco
Capitolo 414: Diem noctis expectatione perdunt, noctem lucis metu
Capitolo 415: Fratelli
Capitolo 416: Semel emissus, volat irrevocabile verbum
Capitolo 417: Chi dice che gli è cosa dura l'aspettare, dice el vero.
Capitolo 418: Valiceno
Capitolo 419: Stillicidi casus lapidem cavat
C420: Avvezza i tuoi soldati a spregiare il vivere delicato...
Capitolo 421: Tu quidem macte virtute diligentiaque esto
Capitolo 422: Deos fortioribus adesse
Capitolo 423: Quam magnus numerus Lybissae harenae...
Capitolo 424: Tristis eris si solus eris
Capitolo 425: Hannibal ad portas
Capitolo 426: Arduo essere buono
Capitolo 427: Tramontata è la Luna, tramontate le Pleiadi...
Capitolo 428: È a mezzo la notte...
Capitolo 429: ...trascorre il tempo; io dormo sola.
Capitolo 430: Sit tibi terra levis
Capitolo 431: Contro i tristi tutto il mondo è armato
Capitolo 432: Ordini
Capitolo 433: Et so quello che dico.
Capitolo 434: Nessuno ama l'uomo che porta cattive notizie
Capitolo 435: Impudenter certa negantibus difficilior venia
Capitolo 436: Odi et amo
Capitolo 437: Ambasciator non porta pena
Capitolo 438: Il bere vino puro placa la fame
Capitolo 439: De morte Ioannis Medicis
Capitolo 440: Le ferite sanguinanti spurgano il male
Capitolo 441: Stultitiast, pater, venatum ducere invitas canes.
Capitolo 442: Non fuit in solo Roma peracta die.
Capitolo 443: Il respecto, suspecto, et despecto.
Capitolo 444: Ira et spes fallaces sunt auctores
C445: Perché non si dica mai che uno straniero è stato nostro comandante.
Capitolo 446: Campane a martello
C447:Ma i coraggiosi riflettono sui pericoli al loro sopraggiungere...
Capitolo 448: Non fare il forte con il vino, perché ha mandato molti in rovina.
Capitolo 449: Ottaviano Manfredi

Capitolo 390: La prova del fuoco

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By RebeccaValverde

Francesco Gonzaga gettava alla rinfusa le sue cose nel bagaglio leggero che avrebbe portato con sé.

Trevisan lo aveva rassicurato, dicendo che Landi non aveva fatto i loro nomi, nemmeno quando si era visto minacciato di morte e che ormai, visto che era stato impiccato dopo un processo sommario, non avrebbe più potuto tradirli.

Il Marchese di Mantova, però, non si sentiva sicuro a restare a Venezia e così aveva subito predisposto per una partenza immediata.

Avrebbe voluto più di ogni cosa tornarsene a casa, da sua moglie, ma temeva un'accoglienza troppo fredda. Dopo le notti insonni che aveva passato, non voleva affrontare Isabella. Non con quell'ennesimo fallimento a pesargli sulle spalle, almeno.

Così aveva deciso di fare prima una puntata a Ferrara, dal suocero. Non gli era mai piaciuto molto, Ercole Este, con la sua rigidità e la sua taccagneria, ma in quel momento non vedeva a chi altro rivolgersi sia per placare sua moglie, sia per cercare un modo di ritornare a galla.

I problemi economici a cui stava per andare incontro per colpa del mancato rinnovo con il Doge, presto lo avrebbero messo in ridicolo, oltre che in difficoltà.

Così aveva dato ordine che da Mantova partissero, nell'arco di un giorno, trecento famigli che gli facessero da seguito alla corte del suocero. Ercole non doveva capire quanto fosse in pericolo la sua stabilità economica.

Senza contare che i soldi ci sarebbero anche stati, se Isabella non li avesse monopolizzati per i suoi folli progetti di abbellimento e arricchimento culturale della corte...

Con un sospiro abbattuto, Francesco buttò anche l'ultimo camicione nel baule e poi lo chiuse con uno scatto. Si passò una mano sulla barba ispida, tenuta lunga da quando era stato a Brescia. Si era convinto che a quel modo, mascherando l'asimmetria del suo volto, le donne avrebbero fatto meno fatica a immaginarlo bello.

Mentre faceva questa valutazione, si trovò a pensare che sarebbe stato meglio rimettersi in ordine e sbarbarsi, una volta di ritorno a Mantova. Non doveva provocare Isabella in alcun modo, nemmeno con un'accortezza come quella. Sveglia com'era, avrebbe capito subito il motivo di un simile cambiamento.


 "Si tratta di una condotta da poco – stava spiegando Ottaviano Manfredi, passandosi una mano tra i lunghi capelli biondi – ma venticinque lance, per ricominciare, non sono male."

Lorenzo Medici lo guardò di sotto in su. Non gli piaceva la sua pronuncia. Gli ricordava troppo la Romagna. Anche se nel tempo passato in Toscana, l'esule faentino aveva perso un po' di accento, il suo modo di esprimersi riportava alla mente del Popolano la sorte di suo fratello e la donna che Giovanni aveva malauguratamente sposato.

"Mi fa piacere che la Repubblica possa contare su un soldato come voi. Ma adesso, perdonatemi, ho da fare..." cercò di svicolare il fiorentino, passando accanto al Manfredi.

Ottaviano, reagendo d'impulso come faceva sempre, lo agguantò per la manica, inducendolo tanto a fermarsi, quanto a guardarlo sconcertato.

Erano nell'ingresso del palazzo della Signoria, un luogo ben diverso dalle osterie in cui il Manfredi spendeva le notti, eppure quel giovane arrogante pareva non cogliere la differenza.

"Mi ricordo." disse Ottaviano, guardandolo dritto negli occhi.

Lorenzo non capì, così aggrottò la fronte e incurvò le labbra, interrogativo.

"Quando cercavo asilo e voi non me lo avete concesso. Me lo ricordo molto bene." spiegò il faentino, gonfiando il petto.

Il Popolano vide con la coda dell'occhio un paio di suoi concittadini entrare a palazzo e concedergli un freddo saluto con un cenno del capo. Ricambiò, poi tornò a concentrarsi sullo straniero. Con uno strattone si liberò la manica dalla sua presa e poi sollevò il mento, quasi con sfida.

"A parti invertite, non credo che voi avreste usato a me o a mio fratello la gentilezza di ospitarci, o mi sbaglio?" chiese il fiorentino, gelido.

Ottaviano guardò per un lungo momento il volto dell'uomo che aveva davanti. Aveva appena trentacinque anni o giù di lì, eppure pareva già un vecchio. Provò pena per la sua fronte solcata da rughe di preoccupazione e per la linea severa delle sue labbra.

"Vi avrei ospitato solo se foste stati disposti a venire con me all'osteria!" rise Manfredi, cambiando improvvisamente atteggiamento.

Lorenzo prese quella battuta coma una sorta di congedo così, ben felice di potersi sottrarre a quella conversazione, chinò appena il capo e salutò: "State bene, Manfredi."

Il faentino lo guardò andare via, prima di voltarsi per andare negli uffici della Signoria per concludere gli accordi circa la sua condotta.

Anche se erano già lontani, fece in tempo a sentire il Popolano borbottare: "Romagnoli... Pazzi e assassini."


 "Ridolfi ci ha già scritto per dire quanti soldati possono partire da Imola al vostro ordine." disse Cardella, passando la lettera alla Tigre: "Scegliendo tra i migliori, ovviamente, come avete richiesto espressamente."

Caterina ringraziò il cancelliere con un cenno del capo e controllò quello che Simone aveva scritto.

Si stava dimostrando un Governatore molto attento e capace e la natura tranquilla della città di Imola gli aveva permesso di intraprendere le proprie incombenze senza dover badare a eventuali malcontenti popolari.

Aprile era appena cominciato e la Sforza attendeva con ansia il momento del parto. Quella volta non ce la faceva proprio più. Si stancava subito, aveva costantemente mal di schiena e mal di gambe. Il bambino, poi, era di grandi dimensioni e quando provava a muoversi dentro di lei – non stava fermo nemmeno ora che la sua stazza lo impediva nelle sue giravolte – per Caterina era un vero e proprio tormento.

Anche quella riunione straordinaria tenuta con solo alcuni suoi fedelissimi rischiava di essere troncata di netto per via della sua insofferenza.

A peggiorare la situazione, da un paio di giorni Giovanni era stato colto di nuovo dalla malattia della pietra. Nulla di troppo preoccupante, secondo il medico, anche se di certo i dolori colici non erano un piacere.

"Non è detto che sia segno di una recrudescenza della gotta – aveva detto il dottore, la notte in cui il fiorentino era stato male e la Contessa, spaventata, gli aveva chiesto numi – può essere che sia dovuto al cambio di stagione... Ormai siamo a un principio di primavera, gli umori corporali si smuovono e..."

"Cambio di stagione..!" aveva sbuffato la donna, tenendosi la pancia con una mano e osservando di sottecchi il marito che si agitava nel letto tenendosi un fianco: "Fa ancora un freddo boia... Sembra dicembre, altro che principio di primavera..."

Passata comunque la paura del primo momento, il Medici aveva convinto Caterina a non restare al suo capezzale per tutto il giorno e la Leonessa, dopo un po', aveva accettato e si era concentrata di più sugli affari di Stato.

Dopo un paio di riunioni del Consiglio, pur vergognandosi un po' per quello che aveva deciso di fare, aveva preso in mano la situazione, determinata a rompere gli indugi che l'influenza diplomatica del marito le aveva messo in corpo fino a quel momento.

"Non sarà rischioso lanciare questo ultimatum a Firenze?" chiese Luffo Numai, che aveva appena finito di rileggere la missiva ufficiale che la sua signora voleva inviare all'attenzione del Gonfaloniere di Giustizia.

In sostanza, la Tigre comunicava alla Signoria una decisione irrevocabile, almeno da parte sua: o accettavano la condotta per Ottaviano, alle precise condizioni da lei specificate, oppure Imola e Forlì si sarebbero rivolte altrove, offrendo i propri servigi ad altre fazioni.

"Rischioso?" chiese la Sforza, sollevando un sopracciglio: "Rischioso è aspettare. Sono mesi che attendiamo che scoppi questa dannata guerra. È come quando è sceso in Italia re Carlo..."

Le ultime parole sprofondarono tutti i presenti nei ricordi. Se i Capitani stavano tornando con la mente ai giorni turbolenti in cui l'esercito era stato sempre all'erta, i Consiglieri rimembravano l'incertezza politica e l'ansia nell'avere i francesi ospiti in città, anche se per poche ore.

La Contessa, invece, nel ricordare il tragico periodo che aveva portato il suo Stato nel centro dello scacchiere politico italiano, rendendola ago della bilancia e vera iniziatrice degli scontri, non riuscì a fare altro che rivedersi davanti Giacomo, risentendo le sue parole balbettate, le sue incertezze e rivivendo il profondo smarrimento che aveva provato nel saperlo capace di tradirla...

Caterina chiuse un momento gli occhi, con forza, poi, battendo un pugno sul bracciolo della poltrona che era stata di suo marito, esclamò: "Gli daremo tempo fino a fine aprile, per decidere, esattamente come ho scritto. Se per maggio Ottaviano non avrà la condotta, allora ci rivolgeremo a Milano. O a Venezia."

Quell'ultima affermazione indusse gli uomini nello studiolo a guardarsi l'un l'altro, tesi. Cambiare fronte a quel modo avrebbe comportato molte cose, prima tra tutte l'accelerazione delle ultime pratiche matrimoniali della giovane Bianca Riario. Luffo Numai si schiarì la voce. Lui, più di altri, sapeva quanto quella cosa sarebbe costata alla sua signora.

"Ma vostro marito..." cominciò a dire Cesare Feo, seduto alla scrivania.

"Mio marito non ha potere decisionale, qui." specificò la Sforza, ben felice, a conti fatti, di non essere incorsa negli stessi errori in cui era incappata con Giacomo.

Non dare alcuna carica ufficiale a Giovanni le avrebbe permesso fino alla fine di decidere in prima persona cosa fare e con chi allearsi. Se anche solo gli avesse concesso un piccolo titolo, il rischio di vedersi di nuovo prevaricare sarebbe stato tangibile.

Anche se il Medici era un uomo molto diverso dal suo predecessore, nel vivere sempre in mezzo agli uomini la Tigre aveva capito che il potere era un pericolo, una specie di droga, capace di trasformare in belve feroci anche gli agnellini più mansueti.

"Come dite voi." concesse il castellano: "Ma potrebbero esserci attriti, se..."

"Non fasciamoci la testa prima di rompercela." intervenne Mongardini che, pur non essendo un falco in politica e diplomazia, si fidava ciecamente della Contessa: "Prima vediamo che ci dice Firenze, e poi se ne parlerà."

"Appunto." convenne Caterina, con uno sbuffo: "Adesso spedite quella missiva e nel frattempo continuate a preparare l'esercito. Se Firenze dovesse accettare, con mio figlio dovrà partire uno squadrone più che preparato, se non vogliamo fare una figuraccia. E se Firenze non dovesse accettare, ci servirà comunque un ottimo esercito per non farci schiacciare dal primo assalto..."

Quando la riunione si sciolse, la Leonessa andò subito nella stanza che condivideva con il marito.

Giovanni stava molto meglio. Era steso a letto, in abiti da camera, il viso finalmente disteso e gli occhi concentrati sulle pagine di un libro.

Senza dire una parola, la Sforza gli si mise in fianco, appoggiandogli la testa sulla spalle e la mano sul petto.

Il fiorentino chiuse il volume che stava leggendo e la guardò un po'. Non sapeva che avesse, ma era certo che qualcosa la preoccupasse più del solito.

Non fece domande, però. Ormai da molto tempo aveva capito che era meglio aspettare che fosse lei a dire cosa l'angustiasse.

Infatti, dopo qualche momento, rompendo il silenzio immobile della stanza immersa nella pace di quel pomeriggio gelido d'aprile, Caterina sospirò e disse: "Ho scritto alla Signoria. Ho detto che hanno fino a fine aprile per decidersi sulla condotta di Ottaviano. Ho detto che o accettano le mie condizioni, o non se ne fa nulla."

"E farai davvero così?" chiese Giovanni, mentre già immaginava come suo fratello avrebbe preso quel mezzo colpo di testa.

Mesi di attenzioni diplomatiche rischiavano di andare persi per un'unica lettera. Semiramide, con tutti i mezzi sotterfugi che aveva messo in piedi per convincere Lorenzo a propugnare la condotta del Riario, di certo non l'avrebbe presa bene...

"Sì." confermò la donna, stringendosi appena di più al marito.

Il Popolano annuì in silenzio, poi domandò: "Quindi se Firenze non dovesse accettare ci schiereremo con Venezia, contro la mia città?"

Caterina non rispose, ma il modo in cui si aggrappò ancora di più a lui gli fece capire che aveva indovinato.

"Hai fatto bene." disse Giovanni, sorprendendo non poco la moglie che, per qualche istante, si era aspettata di vederlo andare su tutte le furie: "A volte bisogna fare come fai tu."

"Cioè?" chiese la donna, mettendosi seduta e fissando il marito.

Il viso del Medici era pallido, provato dalla recente acuzie di coliche renali. Anche se aveva espulso i calcoli senza troppi problemi, la febbre e il dolore lo avevano provato molto. Mentre faceva quella valutazione tra sé, quasi dimentica del discorso che stavano facendo, Caterina allungo una mano e gli accarezzò la fronte, spostando qualche ricciolo castano.

Il Popolano apprezzò quel gesto, ma andò avanti per la sua strada: "Agire d'impulso e mostrare gli artigli. La diplomazia, a volte, fa solo perdere tempo e non porta nemmeno a casa il risultato."

"Allora approvi la mia decisione?" chiese la Tigre, cercando gli occhi chiari del marito con i suoi.

L'uomo deglutì un paio di volte e poi asserì: "Sì. Io sono con te fino alla fine."

"Anche se ciò volesse dire trovarti contro la tua Firenze?" chiese la Sforza, non volendo in realtà sapere la risposta.

Giovanni ci pensò, per un paio di minuti che alla moglie parvero secoli, e alla fine soffiò: "Anche se ciò volesse dire trovarmi contro Firenze."

Il peso della sua affermazione colpì molto la Leonessa che, il cuore che batteva all'impazzata, si riversò sul marito, per dargli un profondo bacio.

Il pancione, però, la impedì nei movimenti in modo tanto goffo che entrambi scoppiarono a ridere, stemperando in parte la tensione di quel momento.

"Lo sai che quando arriverà la guerra, restare accanto a me significa restare a vivere in una rocca, come un soldato, e quasi sicuramente trovarsi in qualche battaglia che potrebbe portarci anche alla fine..." sussurrò la Contessa, rimettendosi accanto a lui, le dita di una mano intrecciate a quelle già un po' rovinate del Popolano.

"Anche in tempo di pace viviamo in una rocca come i soldati." soppesò Giovanni, con leggerezza e con un sorriso: "E poi, io da bambino, quando vivevo con mio padre e mio fratello in campagna, ero molto rustico, sai? Mi piace, in fondo, questa vita... È stata Firenze, ad affinarmi un po'. Ma stare accanto a te, mi sta facendo tornare com'ero all'inizio..."

"Ed è un bene o un male?" chiese la donna.

"Quando ero piccolo ero felice, malgrado tutto." soffiò il Medici, le labbra carnose che si sollevavano in un sorriso pacato: "Quindi direi che è un bene."


 Bartolomeo sospirò, guardando la mappa stesa davanti a sé, sul tavolino da campo. Il suo sgabello era scomodo, ma si trovava molto meglio lì che nella casa dei Baglioni.

Appena aveva portato a termine la schifosa farsa delle nozze, aveva subito messo in chiaro il fatto che la sua unione con la loro famiglia avesse na connotazione molto più politica e militare che non certo sentimentale.

Calcando la mano sulle condizioni che la sua amata Bartolomea, a suo tempo, aveva fatto accettare a Giampaolo, Bartolomeo era riuscito a farsi dare i soldati necessari per riconquistare Montecchio e per assediare Altobello da Canale, che si era asserragliato coi suoi in una rocca che nulla aveva potuto contro la furia di d'Alviano.

Poter tornare a combattere, lo aveva fatto tornare a respirare. Mentre era sul campo, intento solo a pensare a restare in vita e a uccidere gli altri, Bartolomeo aveva potuto dimenticare tutto il resto.

Adesso, però, la questione si faceva seria. Stava aspettando il cognato, che aveva accettato di andare al suo padiglione quella sera, per discutere di una cosa importante.

Anche se aveva ripromesso di lasciare gli Orsini al loro destino, in realtà non riusciva a dimenticare quella che era stata la sua unica famiglia per anni. E nemmeno loro, malgrado la sua partenza improvvisa e le sue seconde nozze, erano riusciti a dimenticarsi di lui, anche se forse solo per convenienza.

I Colonna avevano ripreso a infastidire gli Orsini, forse anche per colpa dell'instabilità creatasi a Roma dopo il divorzio di Lucrecia Borja e Giovanni Sforza. Bartolomeo voleva combattere al loro fianco. Per farlo, però, voleva essere certo che Baglioni fosse d'accordo.

"Mio bravo cognato!" esclamò Giampaolo, entrando nella tenda a braccia spalancate: "Allora, perché mi avete fatto venire fino a qui? Credevo che sareste tornato a Perugia per godervi ancora un po' la vostra bella mogliettina..."

Disgustato da quelle parole, a maggior ragione perché uscite dalla bocca di Baglioni, Bartolomeo indicò la mappa e disse: "Gli Orsini mi pagheranno bene, se combatterò per loro contro i Colonna, e questo potrebbe andare a vantaggio anche della vostra famiglia. A voi sta bene?"

Giampaolo fece qualche domanda, per capire meglio. Da un lato non gli piaceva l'idea che quel nuovo cognato già si allontanasse da Perugia per combattere con quelli che gli erano stati parenti fino al giorno prima. Tuttavia, malgrado la sua poca eloquenza, l'Alviano gli illustrò un piano che andava solo a vantaggio dei Baglioni e così alla fine dovette accettare.

"Ma sia chiaro – sottolineò Giampaolo, prima di lasciare il padiglione – voi adesso siete mio cognato. Non siete più il cognato di Virginio Orsini. Anzi, del defunto Virginio Orsini."


 "Io sono pronto a mandare i miei frati nel fuoco!" gridò Girolamo Savonarola, che stava predicando in San Marco, in modo tale da venire incontro al volere della Signoria, che lo aveva bandito dal Duomo: "Nel fuoco! Per questa mia verità! Quello che predico!"

I presenti, assiepati all'inverosimile, trattennero il fiato. Alcuni si misero in ginocchio a pregare, altri iniziarono a inneggiare al domenicano.

Appena qualche giorno prima di quel 6 aprile, Savonarola era stato pubblicamente sfidato ad affrontare la prova del fuoco.

Girolamo ci aveva pensato a lungo e alla fine aveva ben pensato, sfruttando il popolo bue che ancora lo seguiva, di estendere questa sfida a tutti i domenicani del suo convento, facendo credere così di essere ancor più certo della propria attendibilità. Predicando a quel modo, si era detto, nessuno lo avrebbe accusato di volersi tirare indietro per paura, anzi.

"Tutti i miei frati!" continuò a gridare, aggrappato al pulpito, le guance tanto scavate da farlo sembrare uno scheletro: "E schiere e schiere di fanciulli e di donne e di secolari! Tutti nel fuoco per difendere questa verità! Che la fede non teme la fiamma!"

Mentre un boato raccoglieva le sue parole, Savonarola rincarò: "Chi è pronto ad affrontare la prova del fuoco per me, lo dica adesso!"

Come un'unica voce, tutta la folla che invadeva San Marco gridò in risposta a quell'appello. C'era chi si offriva in prima persona, chi sgomitava per farsi notare, chi ancora offriva, oltre a se stesso, i propri figli e familiari.

"Domani!" sbraitò Girolamo, sentendo qualche goccia di sudore freddo sulle tempie: "In piazza dei Signori! Domani affronteremo la verità!"


 Giovanni si rigirò nel letto, in dormiveglia. Lui e la moglie non si erano coricati da molto. Avevano mangiato abbastanza presto, poi si erano ritirati perché Caterina non aveva voglia di intrattenersi coi figli nella sala delle letture.

Erano saliti in camera, avevano letto un po' e poi, senza averlo davvero programmato, da un bacio erano andati oltre e si erano amati come capitava quasi ogni sera. Dopo, assonnati e stanchi, avevano preso sonno e, fino a quel momento, nessuno dei due si era ancora risvegliato.

Il Medici, il viso affondato nel cuscino, sentì vagamente la moglie muoversi accanto a lui. Non molto lucido, perché ancora addormentato, pensò confusamente che stesse avendo uno dei suoi soliti incubi.

Stava per risprofondare nel sonno sordo che segue una lunga giornata, quando sentì la voce della moglie dire qualcosa con tono strozzato.

Il tempo di aprire gli occhi e cercare di orientarsi e il Popolano si rese conto che nel letto c'era qualcosa di umido che prima non c'era. Guardò Caterina e nel buio della camera – non totale solo grazie alle fiamme che ancora ardevano nel camino – la vide con il viso contratto in un'espressione di dolore che passò quasi subito.

"Che succede?" chiese l'uomo, mettendosi seduto.

"Mi si sono rotte le acque..." disse piano la Sforza, una mano sul ventre, mentre il respiro si faceva di nuovo irregolare e una nuova contrazione la faceva gemere di dolore: "Vai a chiamare la levatrice e il medico..."

Giovanni deglutì, improvvisamente del tutto sveglio e teso come la corda di un arco. Schizzò fuori dal letto e corse alla porta.

"Mettiti qualcosa!" lo riprese la moglie.

Il Medici si rese conto solo in quel momento di essere ancora completamente nudo. Afferrò le brache dall'inginocchiatoio a cui le aveva appoggiate un paio d'ore prima e le infilò.

Con addosso solo quelle, corse fuori dalla stanza e andò subito a cercare un servo. Quando lo trovò, lo afferrò per le braccia e gli ordinò di correre a chiamare la levatrice.

Dopodiché, la corsa che si faceva complicata per colpa delle sue gambe, il fiorentino arrivò alla porta del medico di corte.

Bussò più volte e quando finalmente l'anziano arrivò ad aprire, in abiti da camera, Giovanni esclamò: "Per Dio, venite! Mia moglie sta per partorire!"

Il dottore lo guardò un istante, gli occhi ancora cisposi di sonno, l'espressione un po' interrogativa che indugiava sul vestiario scarno del fiorentino. Appena colse il senso delle sue parole, però, li strabuzzò, di colpo vigile e attento e annuì frenetico.

Tornò un momento in stanza e ne uscì con la sua borsa: "Presto, portatemi da lei!"

Svegliato dal trambusto, anche Cesare Feo si affacciò dalla sua stanza e guardò verso il Medici, che stava scortando il dottore in fondo al corridoio.

"Che succede?" chiese, aggrottando la fronte nel vedere la corsetta incerta del vecchio medico e quella claudicante dell'ambasciatore, e pensando che fosse una scena quasi comica: parevano due sciancati intenti a fare una gara di lentezza.

"Sto per diventare padre!" esclamò, esaltato, il Medici e di colpo, il lampo entusiasta che gli illuminò il viso, fece cambiare del tutto l'impressione del castellano.

Non vedeva più due sciancati che si confrontavano in una gara inutile, ma un vecchio medico così attaccato alla sua signora da correre, malgrado l'età, e un uomo innamorato che se ne fregava perfino della sua malattia, per quanto era felice.

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