Se io potessi scrivere tutto...

By RebeccaValverde

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(Troverete le prime due parti sul mio profilo!) Caterina Sforza nacque nel 1463, figlia illegittima del Du... More

Capitolo 250: nobis,cum semel occidit brevis lux,nox est perpetua una dormienda
Capitolo251:Temer si dee di sole quelle cose c'hanno potenza di fare altrui male
Capitolo 252: Per me si va ne la città dolente...
Capitolo 253: ...per me si va ne l'etterno dolore...
Capitolo 254: ...per me si va tra la perduta gente.
Capitolo 255: Giustizia mosse il mio alto fattore...
Capitolo 256: ...fecemi la divina potestate...
Capitolo 257: ...la somma sapienza...
Capitolo 258: ...e 'l primo amore.
Capitolo 259: Dinanzi a me non fuor cose create...
Capitolo 260: ...se non etterne...
Capitolo 261: ...e io etterno duro.
Capitolo 262: Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate.
Capitolo 263: Non uccidere.
Capitolo 264: Settanta volte sette.
Capitolo 265: Proprium humani ingenii est odisse quem laeseris
Capitolo266:Impossibile non sia cattivo chi un irrimediabile dramma ha abbattuto
Capitolo 267:ma se i tuoi occhi sono cattivi, sarai totalmente nelle tenebre.
Capitolo 268: La strategia è la via del paradosso.
Capitolo 269: Odero, si potero. Si non, invitus amabo.
Capitolo 270: Nisi caste, saltem caute.
Capitolo 271: Cuius vulturis hoc erit cadaver?
Capitolo 272: La croce mi fa dolente e non mi val Deo pregare.
Capitolo 273: Ma voi siate astuti come i serpenti e puri come le colombe.
Capitolo 274: Io stesso ero divenuto per me un grande enigma
Capitolo 275: Errat autem qui amicum in atrio quaerit, in convivio probat
Capitolo 276: Onorando molti e fidando in pochi
Capitolo 277: Relata refero
Capitolo 278: Rivalitatem non amat victoria.
Capitolo 279: Concordia parvae res crescunt, discordia maxumae dilabuntur
Capitolo 280: Chi può fare i capitoli, può eziandio disfarli.
Capitolo 281: Ell'è tanto utile cosa questa pace!
Capitolo 282: Obtorto collo
Capitolo 283: Fiducia
Capitolo 284: Superbiam iracundi oderunt, prudentes irrident
Capitolo 285: Anche un viaggio di mille miglia comincia con un passo
Capitolo 286: L'ambasciatore di Firenze
Capitolo 287: Potius sero quam nunquam
Capitolo 288: Sii pronto nell'ascoltare, lento nel proferire risposta
Capitolo 289: Ducis in consilio posita est virtus militum
Capitolo 290: Chi fugge dalla battaglia può combattere un'altra volta
Cap.291: Credere alla Fortuna è cosa pazza:aspetta pur che poi si pieghi e chini
Capitolo 292: Tutti torniamo a la grande madre antica
Capitolo 293: Hodie mihi, cras tibi
Capitolo 294: Prendere le misure
Capitolo 295: Il papa ha dieci anime
Capitolo 296:L'anima è immortale, e non possesso tuo bensì della provvidenza...
Capitolo 297: Flectamur facile, ne frangamur
Capitolo 298: Amore cerca di medicare l'umana natura
Capitolo 299: E poiché hanno seminato vento, raccoglieranno tempesta.
Capitolo 300:Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria
Capitolo 301: Qui gladio ferit, gladio perit.
Capitolo 302: Unum quodque verbus statera auraria pendere
Capitolo 303: Un cappello rosso, ma di sangue, voglio!
Capitolo 304: Simone Ridolfi
Capitolo 305: A caccia
Capitolo 306: Chi non sa fingersi amico, non sa esser nemico
Capitolo 307: Non mortem timemus, sed cogitationem mortis
Capitolo 308: Blanditia, non imperio, fit dulcis Venus.
Capitolo 309: Nulli necesse est felicitatem cursu sequi
Capitolo 310: Non semper temeritas est felix
Capitolo 311: Panem et circenses
Capitolo 312: Neminem cito accusaveris, neminem cito laudaveris
Capitolo 313: Tollere nodosam nescit medicina podagram
Capitolo 314: Cras ingens iterabimus aequor
Capitolo 315: Dove ci sono troppe mani, usa la chiave
Capitolo 316: Ex factis, non ex dictis amicos pensent
Capitolo 317: Dove men si sa, più si sospetta
Capitolo 318: Suam cuique fortunam in manu esset
Capitolo 319: ...che è vento ed ombra ed à nome beltade.
Capitolo 320: Ingégnati, se puoi, d'esser palese.
Capitolo 322: Ama chi t'ama, e accostati a chi ti s'appressa
Capitolo 323: Idem velle atque nolle, ea demum firma amicitia est
Capitolo 324: Tu ne cedes malis, sed contra audentior ito
Cap 325:Gli strateghi vittoriosi han già trionfato, ancor prima di dar battaglia
Capitolo 326: Non tramonti il sole sopra la vostra ira.
Capitolo 327: Militat omnis amans, et habet sua castra Cupido.
Capitolo 328: Sera nimis vita est crastina
Capitolo 329: Acta est fabula. Plaudite!
Cap. 330: Sempre la confusion de le persone principio fu del mal de la cittade
Capitolo 331: Necessitas ultimum et maximum telum est
Capitolo332:Il mio diletto è bianco e vermiglio, riconoscibile tra mille e mille
Capitolo 333: O luce candidiore nota!
Capitolo 334: Il nuovo Governatore
Capitolo 335: Très braves et vaillans capitaines
Capitolo 336: Felix criminibus nullus erit diu.
Capitolo 337: Martedì Grasso
Capitolo 338: Il Falò delle Vanità
Cap.339:È sul campo di battaglia che si decide la vita e la morte delle nazioni
Capitolo 340: Amor, ch'a nullo amato amar perdona
Capitolo 341: Tum caedes hominum generi, tum proelia nata
Capitolo 342: Mettimi come un sigillo sul tuo cuore
Capitolo 343: De fumo ad flammam
Capitolo 344: Quis legem det amantibus?
Capitolo 345: Maior lex amor est sibi
Capitolo 346: Nessun uomo conosce la certezza e nessun uomo la conoscerà mai
Capitolo 347: È meglio sposarsi che ardere
Capitolo 348: Felix qui quod amat defendere fortiter audet
Capitolo 349: Unde fames homini vetitorum tanta ciborum?
Capitolo 350: Non exiguum temporis habemus, sed multum perdidimus
C351:La dignità non consiste nel possedere onori,ma nella coscienza di meritarli
Capitolo 352: Porte chiuse
Capitolo 353: Nil sine magno vita labore dedit mortalibus
Capitolo 354: Eripere telum, non dare irato decet.
Capitolo 355: Grave ipsius coscientiae pondus.
Capitolo 356: Et veggio 'l meglio, et al peggior m'appiglio
Capitolo 357: L'Amor, che m'è guerrero ed enemico...
Capitolo 358: 14 giugno 1497
Capitolo 359: Permitte divis cetera
Capitolo 360: Hoc volo, sic iubeo, sit pro ratione voluntas.
Capitolo 361: Ride, si sapis.
Capitolo 362: Sangue
Capitolo 363: Heu, coscientia animi gravi est servitus!
C364:E tutto 'l sangue mi sento turbato, ed ho men posa che l'acqua corrente...
Capitolo 365: Ego te intus et in cute novi.
Capitolo 366: Amor gignit amorem
Capitolo 367: Praeterita magis reprehendi possunt quam corrigit.
Capitolo 368: Ognuno dovrebbe fare il mestiere che sa
Capitolo 369: Tacitulus Taxim
Capitolo 370: Dica pur chi mal vuol dire, noi faremo e voi direte.
Capitolo 371: Noli me tangere
Capitolo 372: Ipsa sua melior fama
Capitolo 373: Ché voler ciò udire è bassa voglia.
Capitolo 374: Fare del proprio meglio
Capitolo 375: Siamo alle porte co' sassi...
Cap376:Chi non ha ottenuto la fiducia del sovrano, non agisce come suo generale
Capitolo 377: Simul stabunt vel simul cadent
Capitolo 378: Absit iniuria verbis
Capitolo 379: Chi è diffamato, è mezzo impiccato
Capitolo 380: Fors dominatur, neque vita ulli propria in vita est
Capitolo 381: Virgo Intacta
Capitolo 382: Un anno esatto
Capitolo 383: Simpliciter pateat vitium fortasse pusillum
Capitolo 384: Ribellione
Capitolo 385: Cursus honorum
Capitolo 386: Fame
Capitolo 387: Notissimum quodque malum maxime tolerabile
Capitolo 388: Roma locuta, causa finita
Capitolo 389: Carpe diem
Capitolo 390: La prova del fuoco
Capitolo 391: Che c'è di più dolce del miele? Che c'è di più forte del leone?
Capitolo 392: Nihil necesse est, undique enim ad inferos tantundem viae est
Capitolo 393: Ci vuole pazienza
Capitolo 394: Doppia caccia
Capitolo 395: Omnes eodem cogimur
Capitolo 396: Il titol di più onore è padre e difensore
Capitolo 397: Io son l'Occasione, a pochi nota...
Capitolo 398: 23 maggio 1498
Capitolo 399: Il Vescovo di Volterra
Capitolo 400: Dichiarazione di guerra
Capitolo 401: Mi basta bene l'animo de difendermi
Capitolo 402: Il leone usa tutta la sua forza anche per uccidere un coniglio
Capitolo 403: Invece di maledire il buio è meglio accendere una candela
Capitolo 404: La via dello andare all'Inferno era facile...
Capitolo 405: ...poiché si andava allo ingiù e a occhi chiusi.
Capitolo 406: 21 giugno 1498
Capitolo 407: Miser Catulle, desinas ineptire...
Capitolo 408: Sine pennis volare haud facile est.
Capitolo 409: Incipe, parve puer...
Capitolo 410: Naturae sequitur semina quisque suae
Capitolo 411: Fame da lupi
C412:Da mi basia mille,deinde centum,dein mille altera,dein secunda centum...
Capitolo 413: Acqua lontana non spegne il fuoco
Capitolo 414: Diem noctis expectatione perdunt, noctem lucis metu
Capitolo 415: Fratelli
Capitolo 416: Semel emissus, volat irrevocabile verbum
Capitolo 417: Chi dice che gli è cosa dura l'aspettare, dice el vero.
Capitolo 418: Valiceno
Capitolo 419: Stillicidi casus lapidem cavat
C420: Avvezza i tuoi soldati a spregiare il vivere delicato...
Capitolo 421: Tu quidem macte virtute diligentiaque esto
Capitolo 422: Deos fortioribus adesse
Capitolo 423: Quam magnus numerus Lybissae harenae...
Capitolo 424: Tristis eris si solus eris
Capitolo 425: Hannibal ad portas
Capitolo 426: Arduo essere buono
Capitolo 427: Tramontata è la Luna, tramontate le Pleiadi...
Capitolo 428: È a mezzo la notte...
Capitolo 429: ...trascorre il tempo; io dormo sola.
Capitolo 430: Sit tibi terra levis
Capitolo 431: Contro i tristi tutto il mondo è armato
Capitolo 432: Ordini
Capitolo 433: Et so quello che dico.
Capitolo 434: Nessuno ama l'uomo che porta cattive notizie
Capitolo 435: Impudenter certa negantibus difficilior venia
Capitolo 436: Odi et amo
Capitolo 437: Ambasciator non porta pena
Capitolo 438: Il bere vino puro placa la fame
Capitolo 439: De morte Ioannis Medicis
Capitolo 440: Le ferite sanguinanti spurgano il male
Capitolo 441: Stultitiast, pater, venatum ducere invitas canes.
Capitolo 442: Non fuit in solo Roma peracta die.
Capitolo 443: Il respecto, suspecto, et despecto.
Capitolo 444: Ira et spes fallaces sunt auctores
C445: Perché non si dica mai che uno straniero è stato nostro comandante.
Capitolo 446: Campane a martello
C447:Ma i coraggiosi riflettono sui pericoli al loro sopraggiungere...
Capitolo 448: Non fare il forte con il vino, perché ha mandato molti in rovina.
Capitolo 449: Ottaviano Manfredi

Capitolo 321: Che ti fa ciò che quivi si pispiglia?

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By RebeccaValverde

Achille non riusciva a credere che suo fratello fosse scappato dalla battaglia senza nemmeno sincerarsi se lui fosse ancora vivo o meno.

Si era anche perso il momento esaltante della vittoria. E, cosa non trascurabile, sparendo a quel modo l'aveva fatto preoccupare.

Quando non l'aveva trovato da nessuna parte, una volta messi in fuga i malatestiani, Achille era tornato al campo, lasciando un momento al suo vice il compito di riorganizzare la città e scrivere al governo faentino per spiegare che i Martinelli erano stati scacciati, e aveva cominciato a cercare anche lì.

Uno degli scudieri l'aveva sentito chiamare a pieni polmoni il fratello e così gli si era avvicinato e gli aveva fatto sapere ch ePalmerio aveva preso un cavallo e se n'era andato.

"Dove?" aveva chiesto allora Tiberti.

Il ragazzo aveva detto di non saperlo e aveva aggiunto che Palmerio era ferito a una gamba e al volto.

Achille, allora, aveva cominciato a smaniare, domandandosi che ne fosse stato di lui. Già pensava che forse potesse giacere morto per strada, quando arrivò una staffetta con un messaggio, scritto da una grafia che non conosceva, che riportava le parole di Palmerio.

'Sono scappato a Forlimpopoli. Raggiungimi lì.' aveva fatto scrivere.

"Messer Palmerio Tiberti – sottolineò la staffetta con sollecitudine – mi ha detto di consegnare il messaggio solo se avessi trovato ancora uomini della Sforza al campo, altrimenti di andarmene per la mia strada facendo finta di niente."

Achille aveva dato una moneta al giovane e poi si era messo a ragionare.

Prima di tutto, doveva contare le perdite, in modo da poterne rendere conto alla Contessa, una volta di ritorno a Forlì, e poi doveva prendere accordi vantaggiosi per suo fratello.

Anche se era scappato a Forlimpopoli, appena si fosse rimesso, Palmerio avrebbe dovuto riprendere il suo posto.

'Ho rischiato la vita e ho perso la stima della mia signora pur di salvargli la città e l'onore. Che venga almeno a prenderseli.' pensò con rabbia Achille.


Caterina stava leggendo con concentrazione la lettera che Tiberti le aveva fatto recapitare da Civitella.

Achille le aveva scritto che la città era finalmente tornata nelle mani della sua famiglia, che le perdite, tutto sommato, erano state moderate, che i soldati di Rimini e dei Martinelli erano scappati e anche che Palmerio, suo fratello, era stato gravemente ferito ed era andato a rifugiarsi, su suo espresso consiglio, a Forlimpopoli.

La Contessa aveva seri dubbi sul fatto che fosse stato Achille a far andare Palmerio a Forlimpopoli, tanto più che Piero Landriani le aveva mandato una staffetta per dirle che il fratello Tiberti fuggiasco era stato soccorso da un cerusico al quale aveva confessato di essere scappato a gambe levate dal cuore della battaglia senza neppure conoscerne l'esito.

Infine Achille assicurava che sarebbe tornato in città al più presto, ma non prima di aver sistemato l'organizzazione di Civitella.

A Caterina quell'ultima parte non piacque per niente. Non era una richiesta, ma una semplice costatazione. Quasi per certo, lei avrebbe concesso comunque volentieri qualche giorno in più al Capitano Tiberti, ma avrebbe preferito che lui avesse avanzato una richiesta formale, piuttosto che prendersi una simile libertà.

Era quasi sera e la Tigre era rimasta nelle sue stanze per gran parte del pomeriggio, ragionando su come comportarsi con Tiberti, quando fosse tornato in Forlì.

Aveva anche avuto la mezza idea di mandare a prendere suo fratello Palmerio e tenerlo a Ravaldino a mo' d'ostaggio, ma poi le era parsa una misura eccessiva.

Doveva tenere a freno la propria rabbia repressa ed evitare che sfociasse in violenza per motivi tanto infimi. Se Achille Tiberti aveva peccato di disinvoltura, forse l'aveva fatto senza avvedersene.

Era necessario parlargli a quattr'occhi, prima di decidere se e come punirlo.

Bevendo un paio di calici di vino, sistemandosi davanti al camino acceso, Caterina stava aspettando che fosse abbastanza tardi per andare a mangiare senza incontrare nessuno. Si sentiva troppo carica di pensieri, per sopportare le chiacchiere inutili a cui altri commensali avrebbero potuto costringerla.

Quando qualcuno bussò alla porta chiusa, la donna fece un suono infastidito e chiese: "Chi è?"

"Ho un messaggio da Milano per voi, mia signora." rispose la voce del castellano.

Corrucciandosi, nel sentire la provenienza della missiva, Caterina andò ad aprire, prese la lettera e poi liquidò subito Cesare Feo, ringraziandolo per la solerzia che dimostrava sempre.

Di nuovo sola, spezzò il sigillo con impresso lo stemma sforzesco e lesse in fretta le parole vergate dalla mano grezza di suo zio Ludovico.

Annunciava la morte della sua figlia illegittima, Bianca Giovanna, e la prima reazione della Tigre fu non tanto di tristezza nel sentire della giovane vita spezzata, quanto di spaesamento nel vedersi resa partecipe di una simile notizia direttamente dalla mano di suo zio.

Una cosa del genere l'avrebbe capita se fosse morto uno dei suoi fratelli, o Beatrice, la moglie del Duca. Ma Bianca Giovanna... Lei non l'aveva vista nemmeno una volta.

Man mano che leggeva, però, comprese cosa avesse davvero spinto il Moro a scriverle e come sempre non represse un sorriso amaro nel notare come suo zio fosse ancor più attento di lei a curare la ragion di Stato anche se colpito da una tragedia improvvisa come la morte di una figlia.

'Ho avuto modo di sentire strane storie su voi e sull'ambasciatore di Firenze – aveva scritto Ludovico, cambiando improvvisamente argomento a circa metà lettera – e sul fatto che si intrattenga con voi più di quanto sia lecito per un ambasciatore qualunque. So che avete camere adiacenti, cosa direi sconveniente già di per sé, e pare che a volte non rientriate a sera ognuno nella propria, ma entrambi nella stessa. Ben lungi da me, nipote cara, immischiarmi negli affari vostri e dirvi ancora una volta che per una donna al potere scegliersi un favorito in modo tanto liberale spesso porti a brutte conseguenze, come voi avete già provato sulla pelle vostra. Tuttavia, se questa vostra cosa andasse a essere un pretesto per far volgere a voi il favore di Firenze, allora potrei permettermi di ricordarvi la parentela che ci lega e i debiti mai saldati nei miei confronti.'

Caterina terminò di leggere e appoggiò la lettera alla scrivania, appena sotto la luce della candela.

Si portò una mano alle labbra, pensierosa. Quella volta, a differenza di com'era accaduto quando una fuga di notizie aveva fatto sì che Ludovico venisse a sapere della sua storia con Giacomo, le voci erano del tutto infondate. Eppure il Moro pareva credervi e sembrava pure aver dato al tutto una connotazione politica molto precisa. Proprio quello che la Leonessa temeva potesse accadere, se avesse davvero concesso più spazio nella sua vita a Giovanni.

Strappando la lettera in mille pezzi e gettandola nel fuoco, la Contessa prese il mantello pesante e uscì.

Attraversò in fretta il ponte, lasciando detto alle guardie che stavano accanto al portone che sarebbe tornata tardi, e poi passò per le strade di Forlì, sfidando la neve che cadeva in grossi fiocchi, fino ad arrivare alla bottega di Bernardi.

Il barbiere stava chiudendo i battenti proprio in quel momento, quasi scopando fuori l'ultimo cliente che continuava a parlare tra sé, e così lasciò entrare la sua signora direttamente dalla porta della barberia.

Quando serrò le imposte, la pregò di seguirlo in casa, dove mise sul fuoco la cena.

"Che cosa si dice di me e Giovanni Medici?" chiese Caterina a bruciapelo, togliendosi il mantello e mettendosi al tavolo, gli occhi verdi puntati sulla schiena un po' curva del Novacula che si affaccendava a cercare del vino di discreta qualità da offrire alla Contessa.

L'uomo si bloccò un momento e poi riprese a muoversi, parlando con un tono casuale che alla Tigre non piacque per niente: "Che volete che si dica... Certo, il matrimonio tra madonna Feo e messer Ridolfi ha fatto molto parlare di Firenze e dei fiorentini, ma nulla di più..."

"Avete capito cosa voglio sapere." lo fermò Caterina, senza ammettere altre digressioni.

Bernardi portò in tavola il fiasco di rosso che aveva accuratamente scelto e, versandone un po' alla Leonessa, strinse i denti e infine vuotò il sacco: "Si dicono molte cose, sapete. È l'unico ambasciatore straniero che abbia il permesso di vivere alla rocca. È giovane, di bell'aspetto e non è sposato. Vi hanno visti spesso parlare assieme, e a volte siete stati notati anche in città. Si è saputo che l'avete portato a caccia con voi, qualche tempo fa... Voi ormai avete una certa nomina e così..."

"Una certa nomina..." sussurrò la Contessa, massaggiandosi le tempie.

Bernardi sentì un caldo improvviso colorirgli il collo, ma decise che quello era il momento di dire la sua e che forse non gli sarebbe capitata un'altra occasione: "Le voci corrono, mia signora, e non tutti gli uomini sanno stare zitti, anche se vengono minacciati. Dovreste scegliere con maggior cura gli uomini che portate nelle vostre stanze. Ci sono quelli che non vedono l'ora di vantarsi per una conquista del genere, e non sono pochi."

Il Novacula socchiuse gli occhi, temendo di sentire da un momento all'altro la Contessa esplodere in una sfuriata esemplare. La donna, invece, rimase in silenzio e non disse quasi più una parola fino a quando ebbero finito di mangiare.

"Volete che smentisca le voci? Posso provarci, se è una cosa che..." si propose Bernardi, ma Caterina scosse il capo.

Alzandosi e finendo il vino che ancora aveva nel calice, la signora di Forlì sospirò: "Non perdete tempo a smentire una voce di cui tutti sono già certi. Il popolo sa essere molto più cocciuto dei muli, quando si mette in testa certe cose. Anche davanti all'evidenza, non cambierebbero idea..."

"Ma le voci sono vere?" chiese il barbiere, porgendo il mantello che la donna stava indicando e aiutandola a indossarlo.

Caterina si avvolse con cura nella cappa bordata di pelo e poi scoccò uno sguardo freddo allo storico: "Se davvero avessi la protezione di Firenze alle spalle, credete che sarei ancora qui a perdere i miei giorni dietro alla costruzione di un mastio difensivo?"

Bernardi scosse piano il capo e l'accompagnò alla porta. Si offrì di scortarla fino alla rocca, ma lei rifiutò.

"Ho ancora delle cose da fare e preferisco farle da sola." spiegò, sibillina.

E così al Bernardi non restò che fissarla mentre si allontanava nel buio di quella notte di neve.

Quando arrivò a Ravaldino, Caterina aveva avuto tutto il tempo della strada percorsa a passi lenti per ragionare su quello che il barbiere le aveva detto.

Il suo primo impulso fu quello di presentarsi da Giovanni Medici e riferirgli tutto per vedere come avrebbe reagito.

Gli avrebbe anche detto della lettere di Ludovico. Avrebbe fatto in modo di scoprire se davvero c'era, nel suo chiaro interessamento per lei, qualcosa che andava oltre la semplice attrazione tra un uomo e una donna. Avrebbe scoperto se quello strano fiorentino fosse manovrato o meno da qualcuno, magari dal fratello, che voleva infilarlo nel suo letto in modo da poterla poi manovrare come un fantoccio.

Poi, però, non ne ebbe il coraggio e preferì scegliere una delle sue solite scappatoie. Voleva liberarsi la mente, ancora per qualche ora.

Aveva già bevuto a sufficienza, e non aveva più intenzione di prendere le sue pozioni. Non era stato facile, ma almeno da quelle si stava disassuefacendo e non vedeva che senso avrebbe avuto riprendere da capo.

Così si aggirò con casualità dalle parti degli alloggi dei soldati. Benché fosse molto tardi, ne trovò parecchi ancora svegli, benché non di guardia. Quel freddo pareva avere il potere discacciare il sonno.

Ne scelse uno che stava alla rocca da qualche tempo. L'aveva già notato un paio di volte, ma poi l'aveva sempre evitato, vedendo nel suo impiego fisso a Ravaldino un pericolo.

Era un giovane taciturno e, malgrado non avesse un viso particolarmente armonioso, aveva un fisico prestante e ben delineato.

Non trovando di meglio, si accontentò di quello e si ripromise di farlo trasferire il prima possibile.

La Contessa restò un momento contraddetta, quando si rese conto che, fin dalle prime battute, l'uomo pareva già sapere che tipo di richiesta gli sarebbe stata avanzata, ma non andò per il sottile e lo portò ugualmente nella sua stanza.

Se tutti la dipingevano come una mangiatrice di uomini, che badava solo ai propri istinti più primordiali, ebbene, avrebbe fatto in modo di non deludere tutti i chiacchieroni che sembravano non aver di meglio da fare che sparlare di lei.


Juan Borja aveva aspettato per giorni, prima di attaccare il castello di Bracciano, per poi finire a sferrare il primo colpo quando cominciava a cadere qualche fiocco di neve e a ghiacciare all'alba.

Era servita una lettera di suo padre, per convincerlo a darsi da fare. Papa Alessandro VI non era stato molto comprensivo, nella sua missiva. Dava un ultimatum al figlio, dicendogli che non c'era motivo di prendersela così comoda e di distruggere gli Orsini una volta per tutte, prima di rendersi ridicolo. Gli diceva anche che Carlo Orsini stava scendendo verso sud, diretto probabilmente contro di lui, benché fosse rimasto bloccato lungo il cammino da qualche scaramuccia. Era dunque il caso di sbrigarsi, prima di vedersi piombare addosso un vero esercito.

In effetti Juan aveva atteso così tanto che, addirittura, su idea di Bartolomea Orsini, Bartolomeo d'Alviano aveva fatto in tempo a condurre una sortita, con un centinaio di cavalleggeri, contro Tonio Savelli, vicino a Roma.

Questi, con quattrocento cavalieri, stava scortando dei pezzi d'artiglieria e un brigantino – che proseguiva via Tevere – che sarebbero stati portati fino ad Anguillara Sabazia, per l'assedio.

Bartolomeo aveva costretto i papalini alla resa e li aveva mandati in fuga, prendendosi quella piccola soddisfazione e non solo.

Dopo poco, era stato di ritorno al castello di sua moglie.

Bartolomea, che stava di vedetta sui camminamenti assieme alle sue guardie, gli era corsa incontro non appena l'aveva visto tornare.

Juan Borja era stato così sciocco da interrompere l'assedio per la notte e così gli uomini degli Orsini erano riusciti a rientrare come nulla fosse.

"Allora?" chiese la donna, prendendo il marito per un braccio e guidandolo subito verso l'interno del castello, per sfuggire al freddo pungente della notte.

"Stavo per catturare Cesare Borja." disse Bartolomeo, guardandola in modo strano.

Bartolomea smise per un momento di camminare, acquietando anche il rumore di ferraglia che la seguiva ovunque per colpa delle spade che portava ai fianchi: "Vieni con me." disse e andarono assieme nella loro camera.

Sicura che almeno lì nessuno li avrebbe disturbati – visto che avevano dato chiaramente ordine di non aprire la porta della loro stanza, soprattutto di notte, a meno che non ci fosse qualche motivo gravissimo, come lo sfondamento delle porte da parte dei papalini – Bartolomea guardò di nuovo il marito e gli chiese, confusa: "Che significa che stavi per catturare Cesare Borja? Lui non è un guerriero, dunque quando..?"

"Stavamo per tornare verso Bracciano – spiegò Bartolomeo, iniziando a togliersi l'armatura che sotto la neve lo aveva fatto dannare – quando siamo passati sul Monte Mario e lì ci siamo imbattuti in un gruppo di cacciatori."

"Andare a caccia quando in giro si sta combattendo..." sbuffò Bartolomea, che proprio non capiva certi capricci da nobile, mentre il marito si controllava gli abiti sporchi di fango, umidi di neve e macchiati di sangue, cavandoseli man mano

"Tra loro c'era Cesare Borja. L'ho riconosciuto subito, con quel suo muso lungo e gli abiti rossi da prelato vaticano..." disse l'uomo, ormai rimasto in brache, stivali e camicione di lana: "Ho convinto i nostri ad attaccare. Li abbiamo uccisi tutti, cacciatori e paggi, ma Cesare mi è scappato. L'avevo anche disarcionato, ma quello è riuscito a divincolarsi come un'anguilla e mi ha dato un pugno in testa che mi ha fatto perdere i sensi."

Bartolomea restò molto colpita da quel dettaglio. Suo marito era un bestione, difficile da abbattere con un misero pugno.

"Tutti hanno paura di questo Juan – sussurrò Bartolomeo, mesto, gli occhi incavati puntati contro le candele che illuminavano la stanza – ma per quello che ho visto io, è suo fratello Cesare quello di cui si dovrebbe avere davvero paura. Nelle sue pupille si agita l'inferno."

Bartolomea si sistemò accanto al marito, che si era lasciato cadere sul letto, esausto. Gli strinse una mano e poi lo guardò. Ancora una volta sentì il bisogno di dirgli tutto quanto, tutto quello che aveva costruito nell'ombra per lui. La rete di sicurezza che aveva meticolosamente teso per far sì di dargli una possibilità di vivere, se lei fosse morta.

Quei discorsi sui Borja la stavano mettendo alle strette. Se non fosse stato Juan, forse sarebbe stato Cesare a decretare la fine degli Orsini. O uno o l'altro, ormai il destino aveva deciso e Bartolomea non voleva più aspettare.

Tuttavia, ancora una volta, si tramutò in una donna debole e preferì accantonare quel pensiero. In fondo gli attacchi di Juan Borja per il momento erano stati facili da respingere. Al primo segnale di vero allarme, avrebbe confessato tutto a suo marito.

Malgrado l'ingombro delle spade che portava al fianco, Bartolomea riuscì ad accoccolarsi accanto a Bartolomeo e lo strinse a sé con un braccio.

"Dobbiamo ammazzarli tutti – sussurrò l'uomo, ricambiando l'abbraccio e baciandola – dal primo all'ultimo Borja. Faremo solo un favore al mondo."

"Adesso stai zitto e togliti questi vestiti. Sono ancora sporchi di sangue." disse allora Bartolomea, slacciandogli il cinturone e insinuando una mano sotto al camicione di lana.

La signora di Bracciano ormai aveva una certa età, eppure sentiva ancora un forte desiderio per quell'uomo che, così tanto più giovane di lei, l'aveva sposata quando era all'apice della sua scalata alla carriera militare, quando, malgrado il suo aspetto infelice, avrebbe potuto avere qualunque donna.

Visto che sentiva il tempo concessole venire meno sempre più velocemente, Bartolomea voleva sfruttare ogni minima occasione per stare con lui e provare ancora i brividi che lui solo era riuscito a darle.

Così, quando Bartolomeo restò senza nulla addosso, l'Orsini si slacciò il cinturone e gettò le spade in terra, abbandonando ancora per un po' il campo di battaglia e isolandosi con suo marito nell'illusione di una vita in cui esistevano solo loro due.


Caterina guardava senza parlare l'uomo che si stava rivestendo. Aveva avuto ragione: benché non fosse una gran bellezza in viso, aveva un corpo degno di una delle statue antiche di cui il Medici sembrava così desideroso di parlare.

Forse, malgrado la giovane età, era fatale per un soldato sottoposto al regime di addestramento che lei stessa aveva deciso avere un fisico del genere.

L'uomo aveva finito di allacciarsi la giubba e sembrava improvvisamente imbarazzato. La camera della Tigre era illuminata solo dal camino, la cui fiamma stava ormai morendo, e dal riverbero chiaro che la notte di neve faceva trapelare dalla finestra.

"Allora... Ecco... Io me ne vado..." sussurrò incerto quello, che già era rimasto stranito nel vedersi cacciare dal letto non appena la Contessa aveva deciso che così doveva fare.

"Sì, andatevene." confermò la donna, standosene al caldo, sotto alle coperte.

Il soldato annuì e poi, con circospezione, si grattò la barba scura e schiuse piano la porta e poi, con un ultimo sguardo a Caterina, celata fino alle spalle dal copriletto, se ne andò.

La Contessa attese qualche istante, a occhi chiusi, immersa nei suoi pensieri. Poi, lottando contro il freddo che nemmeno il camino sembrava più riuscire a combattere, andò in fretta alla porta e la chiuse a chiave.

Non doveva mancare molto all'alba, e non voleva che nessuno la disturbasse di prima mattina, magari entrando in camera per rassettare. Aveva abituato le serve troppo bene. Di norma, appena il sole si levava, anche lei si alzava e lasciava libero il suo alloggio affinché venisse risistemato.

Quella volta, invece, voleva prendersela un po' con calma. Era stanca, si sentiva spossata, e l'inattesa focosità di quell'amante occasionale le stava facendo anelare come non mai qualche ora di sonno pesante e ininterrotto.

Così, sperando che almeno per quella volta i suoi consueti incubi non la tormentassero troppo, la Tigre si raggomitolò sotto le coperte e affondò il viso nel cuscino.

Così facendo, però, avvertì con troppa forza l'odore dell'uomo che se n'era appena andato e tanto fu sufficiente a pungolare la sua memoria, riportandole alla mente un odore molto diverso, quello di Giacomo.

In uno slancio di irritazione, gettò a terra il guanciale e si mise supina. Chiuse gli occhi e, oltre ogni più rosea previsione, mentre il pensiero la faceva tornare indietro di qualche anno, riuscì ad addormentarsi subito.



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