Se io potessi scrivere tutto...

By RebeccaValverde

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(Troverete le prime due parti sul mio profilo!) Caterina Sforza nacque nel 1463, figlia illegittima del Du... More

Capitolo251:Temer si dee di sole quelle cose c'hanno potenza di fare altrui male
Capitolo 252: Per me si va ne la città dolente...
Capitolo 253: ...per me si va ne l'etterno dolore...
Capitolo 254: ...per me si va tra la perduta gente.
Capitolo 255: Giustizia mosse il mio alto fattore...
Capitolo 256: ...fecemi la divina potestate...
Capitolo 257: ...la somma sapienza...
Capitolo 258: ...e 'l primo amore.
Capitolo 259: Dinanzi a me non fuor cose create...
Capitolo 260: ...se non etterne...
Capitolo 261: ...e io etterno duro.
Capitolo 262: Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate.
Capitolo 263: Non uccidere.
Capitolo 264: Settanta volte sette.
Capitolo 265: Proprium humani ingenii est odisse quem laeseris
Capitolo266:Impossibile non sia cattivo chi un irrimediabile dramma ha abbattuto
Capitolo 267:ma se i tuoi occhi sono cattivi, sarai totalmente nelle tenebre.
Capitolo 268: La strategia è la via del paradosso.
Capitolo 269: Odero, si potero. Si non, invitus amabo.
Capitolo 270: Nisi caste, saltem caute.
Capitolo 271: Cuius vulturis hoc erit cadaver?
Capitolo 272: La croce mi fa dolente e non mi val Deo pregare.
Capitolo 273: Ma voi siate astuti come i serpenti e puri come le colombe.
Capitolo 274: Io stesso ero divenuto per me un grande enigma
Capitolo 275: Errat autem qui amicum in atrio quaerit, in convivio probat
Capitolo 276: Onorando molti e fidando in pochi
Capitolo 277: Relata refero
Capitolo 278: Rivalitatem non amat victoria.
Capitolo 279: Concordia parvae res crescunt, discordia maxumae dilabuntur
Capitolo 280: Chi può fare i capitoli, può eziandio disfarli.
Capitolo 281: Ell'è tanto utile cosa questa pace!
Capitolo 282: Obtorto collo
Capitolo 283: Fiducia
Capitolo 284: Superbiam iracundi oderunt, prudentes irrident
Capitolo 285: Anche un viaggio di mille miglia comincia con un passo
Capitolo 286: L'ambasciatore di Firenze
Capitolo 287: Potius sero quam nunquam
Capitolo 288: Sii pronto nell'ascoltare, lento nel proferire risposta
Capitolo 289: Ducis in consilio posita est virtus militum
Capitolo 290: Chi fugge dalla battaglia può combattere un'altra volta
Cap.291: Credere alla Fortuna è cosa pazza:aspetta pur che poi si pieghi e chini
Capitolo 292: Tutti torniamo a la grande madre antica
Capitolo 293: Hodie mihi, cras tibi
Capitolo 294: Prendere le misure
Capitolo 295: Il papa ha dieci anime
Capitolo 296:L'anima è immortale, e non possesso tuo bensì della provvidenza...
Capitolo 297: Flectamur facile, ne frangamur
Capitolo 298: Amore cerca di medicare l'umana natura
Capitolo 299: E poiché hanno seminato vento, raccoglieranno tempesta.
Capitolo 300:Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria
Capitolo 301: Qui gladio ferit, gladio perit.
Capitolo 302: Unum quodque verbus statera auraria pendere
Capitolo 303: Un cappello rosso, ma di sangue, voglio!
Capitolo 304: Simone Ridolfi
Capitolo 305: A caccia
Capitolo 306: Chi non sa fingersi amico, non sa esser nemico
Capitolo 307: Non mortem timemus, sed cogitationem mortis
Capitolo 308: Blanditia, non imperio, fit dulcis Venus.
Capitolo 309: Nulli necesse est felicitatem cursu sequi
Capitolo 310: Non semper temeritas est felix
Capitolo 311: Panem et circenses
Capitolo 312: Neminem cito accusaveris, neminem cito laudaveris
Capitolo 313: Tollere nodosam nescit medicina podagram
Capitolo 314: Cras ingens iterabimus aequor
Capitolo 315: Dove ci sono troppe mani, usa la chiave
Capitolo 316: Ex factis, non ex dictis amicos pensent
Capitolo 317: Dove men si sa, più si sospetta
Capitolo 318: Suam cuique fortunam in manu esset
Capitolo 319: ...che è vento ed ombra ed à nome beltade.
Capitolo 320: Ingégnati, se puoi, d'esser palese.
Capitolo 321: Che ti fa ciò che quivi si pispiglia?
Capitolo 322: Ama chi t'ama, e accostati a chi ti s'appressa
Capitolo 323: Idem velle atque nolle, ea demum firma amicitia est
Capitolo 324: Tu ne cedes malis, sed contra audentior ito
Cap 325:Gli strateghi vittoriosi han già trionfato, ancor prima di dar battaglia
Capitolo 326: Non tramonti il sole sopra la vostra ira.
Capitolo 327: Militat omnis amans, et habet sua castra Cupido.
Capitolo 328: Sera nimis vita est crastina
Capitolo 329: Acta est fabula. Plaudite!
Cap. 330: Sempre la confusion de le persone principio fu del mal de la cittade
Capitolo 331: Necessitas ultimum et maximum telum est
Capitolo332:Il mio diletto è bianco e vermiglio, riconoscibile tra mille e mille
Capitolo 333: O luce candidiore nota!
Capitolo 334: Il nuovo Governatore
Capitolo 335: Très braves et vaillans capitaines
Capitolo 336: Felix criminibus nullus erit diu.
Capitolo 337: Martedì Grasso
Capitolo 338: Il Falò delle Vanità
Cap.339:È sul campo di battaglia che si decide la vita e la morte delle nazioni
Capitolo 340: Amor, ch'a nullo amato amar perdona
Capitolo 341: Tum caedes hominum generi, tum proelia nata
Capitolo 342: Mettimi come un sigillo sul tuo cuore
Capitolo 343: De fumo ad flammam
Capitolo 344: Quis legem det amantibus?
Capitolo 345: Maior lex amor est sibi
Capitolo 346: Nessun uomo conosce la certezza e nessun uomo la conoscerà mai
Capitolo 347: È meglio sposarsi che ardere
Capitolo 348: Felix qui quod amat defendere fortiter audet
Capitolo 349: Unde fames homini vetitorum tanta ciborum?
Capitolo 350: Non exiguum temporis habemus, sed multum perdidimus
C351:La dignità non consiste nel possedere onori,ma nella coscienza di meritarli
Capitolo 352: Porte chiuse
Capitolo 353: Nil sine magno vita labore dedit mortalibus
Capitolo 354: Eripere telum, non dare irato decet.
Capitolo 355: Grave ipsius coscientiae pondus.
Capitolo 356: Et veggio 'l meglio, et al peggior m'appiglio
Capitolo 357: L'Amor, che m'è guerrero ed enemico...
Capitolo 358: 14 giugno 1497
Capitolo 359: Permitte divis cetera
Capitolo 360: Hoc volo, sic iubeo, sit pro ratione voluntas.
Capitolo 361: Ride, si sapis.
Capitolo 362: Sangue
Capitolo 363: Heu, coscientia animi gravi est servitus!
C364:E tutto 'l sangue mi sento turbato, ed ho men posa che l'acqua corrente...
Capitolo 365: Ego te intus et in cute novi.
Capitolo 366: Amor gignit amorem
Capitolo 367: Praeterita magis reprehendi possunt quam corrigit.
Capitolo 368: Ognuno dovrebbe fare il mestiere che sa
Capitolo 369: Tacitulus Taxim
Capitolo 370: Dica pur chi mal vuol dire, noi faremo e voi direte.
Capitolo 371: Noli me tangere
Capitolo 372: Ipsa sua melior fama
Capitolo 373: Ché voler ciò udire è bassa voglia.
Capitolo 374: Fare del proprio meglio
Capitolo 375: Siamo alle porte co' sassi...
Cap376:Chi non ha ottenuto la fiducia del sovrano, non agisce come suo generale
Capitolo 377: Simul stabunt vel simul cadent
Capitolo 378: Absit iniuria verbis
Capitolo 379: Chi è diffamato, è mezzo impiccato
Capitolo 380: Fors dominatur, neque vita ulli propria in vita est
Capitolo 381: Virgo Intacta
Capitolo 382: Un anno esatto
Capitolo 383: Simpliciter pateat vitium fortasse pusillum
Capitolo 384: Ribellione
Capitolo 385: Cursus honorum
Capitolo 386: Fame
Capitolo 387: Notissimum quodque malum maxime tolerabile
Capitolo 388: Roma locuta, causa finita
Capitolo 389: Carpe diem
Capitolo 390: La prova del fuoco
Capitolo 391: Che c'è di più dolce del miele? Che c'è di più forte del leone?
Capitolo 392: Nihil necesse est, undique enim ad inferos tantundem viae est
Capitolo 393: Ci vuole pazienza
Capitolo 394: Doppia caccia
Capitolo 395: Omnes eodem cogimur
Capitolo 396: Il titol di più onore è padre e difensore
Capitolo 397: Io son l'Occasione, a pochi nota...
Capitolo 398: 23 maggio 1498
Capitolo 399: Il Vescovo di Volterra
Capitolo 400: Dichiarazione di guerra
Capitolo 401: Mi basta bene l'animo de difendermi
Capitolo 402: Il leone usa tutta la sua forza anche per uccidere un coniglio
Capitolo 403: Invece di maledire il buio è meglio accendere una candela
Capitolo 404: La via dello andare all'Inferno era facile...
Capitolo 405: ...poiché si andava allo ingiù e a occhi chiusi.
Capitolo 406: 21 giugno 1498
Capitolo 407: Miser Catulle, desinas ineptire...
Capitolo 408: Sine pennis volare haud facile est.
Capitolo 409: Incipe, parve puer...
Capitolo 410: Naturae sequitur semina quisque suae
Capitolo 411: Fame da lupi
C412:Da mi basia mille,deinde centum,dein mille altera,dein secunda centum...
Capitolo 413: Acqua lontana non spegne il fuoco
Capitolo 414: Diem noctis expectatione perdunt, noctem lucis metu
Capitolo 415: Fratelli
Capitolo 416: Semel emissus, volat irrevocabile verbum
Capitolo 417: Chi dice che gli è cosa dura l'aspettare, dice el vero.
Capitolo 418: Valiceno
Capitolo 419: Stillicidi casus lapidem cavat
C420: Avvezza i tuoi soldati a spregiare il vivere delicato...
Capitolo 421: Tu quidem macte virtute diligentiaque esto
Capitolo 422: Deos fortioribus adesse
Capitolo 423: Quam magnus numerus Lybissae harenae...
Capitolo 424: Tristis eris si solus eris
Capitolo 425: Hannibal ad portas
Capitolo 426: Arduo essere buono
Capitolo 427: Tramontata è la Luna, tramontate le Pleiadi...
Capitolo 428: È a mezzo la notte...
Capitolo 429: ...trascorre il tempo; io dormo sola.
Capitolo 430: Sit tibi terra levis
Capitolo 431: Contro i tristi tutto il mondo è armato
Capitolo 432: Ordini
Capitolo 433: Et so quello che dico.
Capitolo 434: Nessuno ama l'uomo che porta cattive notizie
Capitolo 435: Impudenter certa negantibus difficilior venia
Capitolo 436: Odi et amo
Capitolo 437: Ambasciator non porta pena
Capitolo 438: Il bere vino puro placa la fame
Capitolo 439: De morte Ioannis Medicis
Capitolo 440: Le ferite sanguinanti spurgano il male
Capitolo 441: Stultitiast, pater, venatum ducere invitas canes.
Capitolo 442: Non fuit in solo Roma peracta die.
Capitolo 443: Il respecto, suspecto, et despecto.
Capitolo 444: Ira et spes fallaces sunt auctores
C445: Perché non si dica mai che uno straniero è stato nostro comandante.
Capitolo 446: Campane a martello
C447:Ma i coraggiosi riflettono sui pericoli al loro sopraggiungere...
Capitolo 448: Non fare il forte con il vino, perché ha mandato molti in rovina.
Capitolo 449: Ottaviano Manfredi

Capitolo 250: nobis,cum semel occidit brevis lux,nox est perpetua una dormienda

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By RebeccaValverde

Rodrigo Borja si sventolava il volto con un foglio ancora intonso, mentre leggeva la risposta che Savonarola si era finalmente degnato di fargli recapitare.

Dopo circa dieci giorni da quando era partita la sua lettera da Roma, il domenicano aveva infine preso la sua decisione, tuttavia Rodrigo avrebbe preferito aspettare qualche giorno in più pur di avere una risposta migliore.

Il frate aveva rifiutato la richiesta del papa di recarsi in Vaticano millantando vaghi problemi di salute e promettendo, con tutta la falsità dei diplomatici di mestiere, un incontro in futuro, magari l'anno a venire, se le sue condizione lo avessero permesso.

In compenso, oltre ad aver aggirato in modo tanto altezzoso una precisa richiesta del Santo Padre, Savonarola aveva avuto l'ardire di spedire assieme al messaggio una copia del suo Compendio di Rivelazioni, precisando in calce come quel libro sarebbe stato per Alessandro VI una valida guida spirituale.

Rodrigo lasciò da parte la lettera e si passò tra le mani il volumetto, smettendo per qualche momento di farsi aria.

L'afa dell'agosto romano era pressante e quel giorno, oltre al cielo grigio di nuvole minacciose, non c'era altro se non il caldo.

Aprì il libro e diede una scorsa veloce alle prime pagine. Gli venne subito un grande mal di testa e così non proseguì. Gettò il piccolo tomo in un angolo della scrivania e farfugliò un paio di improperi rivolti al domenicano.

Era di pessimo umore, quel giorno, perché le sue spie gli avevano riferito una voce che non gli piaceva per niente e che, se fosse stata fondata, avrebbe aperto le porte a una mossa che avrebbe sperato di poter compiere un po' più avanti.

Secondo i suoi delatori, Giovanni Sforza, suo genero, l'uomo a cui aveva perdonato la prudenza quasi eccessiva dimostrata durante la guerra solo perché così facendo il signore di Pesaro aveva esposto Lucrecia a meno pericoli del necessario, era un traditore.

O, per lo meno, lo era nei confronti della Santa Sede.

A quanto sembrava, per tutta la durata dell'invasione francese, quale che fosse il momentaneo schieramento scelto dal papa, lo Sforza aveva fatto continuamente il doppiogioco, tenendo informato il Duca di Milano di ogni mossa del Vaticano.

Non sarebbe stato facile scoprire se fosse vero e, per farlo, forse sarebbe stato opportuno scomodare Ascanio Sforza, che, però, da quando era stato incarcerato a Castel Sant'Angelo, non sembrava più molto desideroso di collaborare con Alessandro VI.

Sbuffando d'impazienza, Rodrigo lasciò la scrivania e raggiunse la porta. Attraversò i suoi appartamenti ad ampie falcate e cercò la figlia Lucrecia.

Quando finalmente la trovò, immersa nel profumato verde dei giardini Vaticani, il papa si sedette su una della panche di marmo e si mise a rimirarla, rapito dalla sua figura tanto eterea quanto straordinariamente carnale, e si chiese che fare con lei e con il suo smidollato marito spione.


 "Per avere una tresca e non essere nemmeno capaci a nasconderla..." stava dicendo uno degli avventori della barberia di Bernardi, a voce bassa.

Quello che gli stava accanto, in attesa come lui del proprio turno, sollevò le sopracciglia e fece un cenno d'assenso: "Appunto, dico io..."

Il Novacula fingeva di non ascoltare, irritato come non mai ed estremamente teso.

Da qualche giorno per la città sembrava essersi riacceso l'interesse per la figura del Barone Feo, forse, da quello che aveva potuto intuire, per via di certe chiacchiere messe in giro niente meno che dal Conte Ottaviano, che di quel periodo si era fatto un frequentatore abbastanza assiduo del lupanare più in vista della città.

Anche se le sue visite alle donne della casa dovevano restare riservate, tutti sapevano che un simile cliente non poteva passare inosservato.

Il Conte, poi, pareva prodigo di chiacchiere, quando era in dolce compagnia, e così le notizie e le dicerie si erano sparse a macchia d'olio e la relazione presunta – perché Bernardi continuava a sostenere con tutti che tale era – tra la Contessa e il Governatore di Forlì era tornata di gran moda tra i pettegoli.

In molti si erano ritrovati interessati al cursus honorum folgorante del giovane, mentre altri si erano concentrati di più sugli ultimi fatti, in particolare sui lavori al fossato, ormai del tutto abbandonati dal Barone e ripresi in mano dalla Contessa.

"Fosse stata solo una tresca – si intromise con un mezzo ghigno Filippo Delle Selle, che era appena entrato nella bottega, ma aveva fatto in tempo a sentire le ultime frasi – una roba da vedova allegra, intendo..." e lasciò spegnere la voce con fare d'ovvietà.

Cadendo nella sua trappola retorica, il cliente che ne aveva parlato per primo, domandò: "Se fosse stata solo una tresca...?"

"Ebbene – riprese Delle Selle, sedendoglisi accanto e guardando di sottecchi il Novacula, che fingeva in modo poco convincente di non essere in ascolto – se fosse stato solo il capriccio di una giovane vedova, ce lo saremmo tolti dai piedi già da molti anni."

Gli altri convennero e così Filippo affondò il colpo: "Senza di lui, la metà delle tasse e degli inconvenienti di questa città non sarebbero mai esistiti."

"Spiegatevi meglio." lo invogliò il cliente che era appena stato sbarbato.

Delle Selle sospirò, mentre Bernardi stringeva i denti e ritornava ad affilare il rasoio in vista del secondo avventore: "Pensateci bene..." cominciò e poi passò a elencare tutte le colpe – le reali e le presunte – del Barone Feo.

Filippo si sentiva un po' in torto a sfruttare a quel modo la situazione, ma più si addentrava con gli altri congiurati verso la conclusione del loro piano delittuoso, più si rendeva conto che andasse fatta terra bruciata attorno al Feo.

Il fratello del Barone, Tommaso, era ancora molto ben voluto in città e c'era il rischio che qualche pazzo, fomentato magari da qualche famiglia nobile minore ostile alla Contessa, si mettesse contro di loro volendo vendicare lo stalliere ripulito.

Così il Delle Selle si era messo d'impegno, di comune accordo con il Conte Riario, per mettere in giro ancora più voci contro Giacomo Feo, sperando di inimicargli tanto il popolo da non lasciare nemmeno un suo sostenitore in tutta Forlì.

Ovviamente l'uomo sperava, a congiura terminata, di ottenere un premio maggiore rispetto agli altri, proprio grazie al suo impegno, ma per quello ci sarebbe stato tempo dopo. Per il momento doveva solo fare bene il suo compito.

Bernardi ascoltava le parole infervorate di Filippo e, mentre delle gocce gelate di sudore gli scendevano lungo la schiena, si disse che avrebbe dovuto parlarne il prima possibile con la sua signora, perché aveva una pessima sensazione e non riusciva a farsela passare.


 "Bianca, ricordati che adesso sei una donna sposata." la voce di Ottaviano, glaciale e pungente, raggiunse la sorella come una lama tra le coste.

La ragazzina, che stava ridendo con un paio di guardie, si voltò subito verso il Conte, che, vestito di seta scura, con i capelli castani inanellati come lo erano stati quelli del padre, pareva un mostro arrivato dagli inferi.

"Perdonatemi." fece Bianca ai due soldati, congedandosi piegando lievemente le ginocchia a mo' di riverenza, e poi si concentrò sul fratello: "Ma che cosa vuoi da me?" gli domandò a voce bassa e a denti stretti.

Mancavano un paio di giorni a Ferragosto e faceva un gran caldo, tuttavia la figlia della Contessa pareva incurante dell'afa e passava gran parte delle sue giornate all'aperto, intrattenendosi con gli abitanti della rocca oppure passeggiando con le balie dei fratelli più piccoli.

Ottaviano, invece, rifuggiva tanto l'esterno quanto le persone che abitavano a Ravaldino, disertando le riunioni del Consiglio e sfuggendo il più possibile alla madre e agli altri fratelli.

"Sei sposata con Astorre Manfredi, questo lo sai anche tu." ricordò Ottaviano, prendendo la sorella per un braccio e riportandola verso l'interno della rocca, come a volerla allontanare anche fisicamente da certe tentazioni: "Farti vedere mentre parli amabilmente con giovani e aitanti soldati non farà altro che coprire te e anche me, che sono tuo fratello, di vergogna."

"Sei sempre esagerato." lo rimbrottò Bianca, cercando invano di liberarsi dalla sua stretta: "E poi anche nostra madre si intrattiene spesso coi soldati e nessuno ci vede nulla di male!"

Ottaviano strinse ancora più forte, mentre sibilava: "Tu non sei nostra madre e comunque nemmeno lei dovrebbe fare certe cose."

Il giorno prima, il Conte, Cesare e Bianca erano usciti per una nuova battuta di caccia assieme alla madre e al Barone Feo e Ottaviano ne era rimasto molto contrariato.

Anche se sapeva quanto fosse importante ai fini della buona riuscita del loro piano, per poco non aveva perso il controllo.

Come la prima volta, fin dal primo mattino il gruppo si era abbastanza disgregato. Bianca era rimasta con Cesare e i due si erano messi a discutere di alcuni libri che avevano letto entrambi, mentre Ottaviano aveva cercato di cacciare qualcosa senza riuscirci.

La Contessa era sparita dalla vista di tutti dopo poco e a breve anche il Barone si era eclissato.

Il Conte, non riuscendo a resistere alla sua morbosa curiosità, pur intuendo, o meglio, sentendo nel profondo, quello che avrebbe visto, si era messo a cercarli con circospezione, certo che li avrebbe trovati insieme.

E così era stato.

Aveva dovuto camminare a lungo, tentando di non far rumore e aguzzando la vista, pronto a cogliere ogni minimo segno del loro passaggio.

Alla fine, ben distante da dove erano rimasti Cesare e Bianca, Ottaviano aveva finalmente trovato sua madre e lo stalliere.

Li aveva visti vicini a un grosso tronco, riparati dall'ombra della chioma verde della pianta.

Si era nascosto, accovacciandosi silenziosamente dietro a un cespuglio e, quasi trattenendo il respiro, si era messo a sbirciare.

Li aveva osservati per qualche lungo momento e aveva visto che si parlavano fittamente, ma non era riuscito a comprendere nemmeno mezza parola.

Poi aveva visto sua madre accarezzare il viso del suo amante, smettendo di parlare. Lei lo aveva baciato e poi, prima che Ottaviano realizzasse quello che i due avevano intenzione di fare, la Contessa aveva tirato a sé lo stalliere e aveva iniziato a sciogliegli i lacci del giustacuore blu scuro decorato di fili d'oro.

Oltraggiato e scosso, come se quella vista fosse stata un nuovo schiaffo in pieno volto, il Conte si era allontanato, badando bene a non farli accorgere della sua presenza.

Mentre tornava dai fratelli, Ottaviano si era reso conto che la cosa che l'aveva ferito di più non era stata tanto avere l'ennesima conferma di quello che c'era tra sua madre e lo stalliere, ma vedere come fosse proprio lei ad avere l'iniziativa.

Ricordava troppo bene il modo in cui sua madre rifiutava e allontanava suo padre. Vederla accettare, anzi, vederla cercare con tanta voluttà quell'uomo che con la loro famiglia non c'entrava nulla, né per estrazione sociale né per valore, lo avviliva e lo faceva infuriare.

"Farai bene a stare al tuo posto, a ricamare o a leggere." disse Ottaviano, lasciando finalmente Bianca, mentre nella sua testa il ricordo della battuta di caccia si faceva ancora più vivo, facendolo quasi impazzire.

La sorella non ebbe la forza di ribattere a tono, troppo offesa dal comportamento del fratello.

La stanza in cui l'aveva portata era una delle più buie della rocca e una delle più spoglie. Era come metterla in punizione.

Prima che Ottaviano si allontanasse, Bianca ebbe la forza di dire: "Tanto con Manfredi sono sposata solo per metà! Se non lo vorrò, nostra madre ha detto che straccerà il contratto di nozze!"

Il Conte voltò appena il viso verso di lei, una luce cattiva nelle pupille: "Ah!" esclamò: "E tu le credi?"

"Certo." rispose Bianca, la voce un po' tremante, mentre i suoi occhi si abituavano alla penombra di quell'orribile stanzetta.

"E credi che rinuncerebbe all'alleanza con Faenza solo per un tuo capriccio?" la incalzò Ottaviano, voltandosi di nuovo verso di lei: "Ora non paghiamo più i pedaggi e i commerci sono alleggeriti, senza più dazi. Credi davvero che lei rinuncerebbe a questo e a tutti gli altri privilegi che ha ottenuto solo perché a te Astorre non piace?"

"Non parlare così." sussurrò Bianca, atterrita, mentre il fratello le si avvicinava inesorabile.

"Sei solo una bambina." concluse Ottaviano, guardando la sorella di sottinsù, facendosi forte della sua poca differenza d'età e della sua maggiore statura.

La ragazzina abbassò lo sguardo, la gola secca e le lacrime pronte ad affiorare per quell'ulteriore beffa a cui suo fratello la stava sottoponendo.

Se solo fosse stata più simile a sua madre, pensava, avrebbe trovato il coraggio e la forza di ribellarsi a lui e di rimetterlo al suo posto.

Ma lei non era come sua madre.

Ottaviano attese ancora un momento, poi, quando fu certo che Bianca non avrebbe più detto nulla, girò sui tacchi e, le mani dietro la schiena, se ne tornò a vagare nelle ali più deserte della rocca, rimuginando sui suoi fantasmi.


 Virginio Orsini era riuscito a sganciarsi dall'ingombrante incarico presso Francesco Gonzaga e aveva raggiunto Bologna, per parlamentare con Giovanni Bentivoglio.

Si era trattenuto in città per pochi giorni e poi era ripartito subito alla volta di Milano, dove il Moro e degli emissari di Venezia lo stavano attendendo per ridiscutere la sua posizione.

Quando raggiunse il palazzo di Porta Giovia, Virginio si sentì improvvisamente agitato. Sapeva che, benché fosse Orsino il capofamiglia reale degli Orsini, il Duca e i veneziani si sarebbero rivolti a lui come se quell'incarico ingrato fosse il suo.

Gli avrebbero probabilmente chiesto di rispondere delle mosse azzardate di sua sorella Bartolomea e, di rimando, di quelle di suo cognato Bartolomeo d'Alviano.

Così, quando entrò nella sala delle udienze e vide dinnanzi a sé il panciuto Ludovico Sforza e un manipolo di variopinti veneziani, Virginio ebbe un momento di smarrimento.

All'inizio gli fecero domande quasi di circostanza, chiedendo maggiori informazioni su quanto accaduto a Fornovo. A quel genere di quesiti Virginio si era preparato a dovere e seppe rispondere senza indugio anche alle questioni più spinose.

Quando si sarebbe atteso di sentirsi rivolgere le domande peggiori, quelle in merito alla condotta dei suoi familiari, Virginio trasecolò nell'udire, invece, le parole del Moro.

Il Duca, annusando l'aria con il peculiare naso, alzò le spalle in modo plateale e annunciò: "Noi, di comune accordo con il Doge Barbarigo, rappresentato qui dai suoi ambasciatori – e a quelle parole i veneziani vestiti con colori accesi e stoffe preziose accennarono con il capo in segno di compiacenza – abbiamo deciso di ritenervi libero. Avete servito i nostri nemici, ma alla fine siete stato importante per la nostra causa. Dunque vi riteniamo nostro amico e libero da ogni impegno, per il momento. Potete tornare a casa."

Virginio deglutì un paio di volte e poi, ancora incredulo, buttò un ginocchio a terra e, appoggiandosi una mano stretta a pugno sul cuore, si congedò: "Ringrazio il buon cuore delle signorie vostre. Sarò sempre un vostro fedele servo."


 "Il ti... titolo... Di... Que... Questa sua... o... opera..." la voce balbettante di Giacomo si inceppava ogni due o tre sillabe, risuonando incerta tra le pareti del Paradiso, mentre la sua fronte si corrugava per lo sforzo di leggere quelle poche righe che erano appena arrivate da Firenze.

Caterina, che era convinta – vista la calma con cui la staffetta aveva recapitato il messaggio – che non fosse nulla d'urgente, aveva lasciato al marito il compito di leggere ad alta voce, nella speranza di spronarlo a esercitarsi un po'.

Trovando molta difficoltà, Giacomo aveva trascurato in modo quasi imperdonabile i suoi esercizi di lettura e scrittura negli ultimi tempi e la moglie ne era rimasta molto contrariata.

Così il Barone, tenendo con ambo le mani il pezzo di carta, si stava sforzando per non sfigurare completamente davanti alla donna che amava, ma il risultato non era dei migliori: "È Com... Compen... Compendi..."

Caterina, non sopportando più quell'incedere incerto e spezzettato, si alzò di scatto, smettendo di spalmarsi la crema sul viso, e strappò di mano la lettera a Giacomo.

L'uomo finse di non essere troppo risentito per quello scatto, benché il carattere spesso intemperante della moglie fosse tra le poche cose – assieme alla sua propensione per il linguaggio scurrile quando era arrabbiata – che faticasse a digerire.

La Contessa lesse velocemente il contenuto del messaggio: "Il domenicano Savonarola ha pubblicato una nuova opera, il diciotto di questo mese d'agosto. Il titolo di quest'opera è Compendio di Rivelazioni e pare che una copia sia stata inviata anche al Pontefice."

Sollevando gli occhi dalla lettera, Caterina notò la vergogna malcelata nello sguardo di Giacomo, così cercò di farsi perdonare per la sua poca pazienza.

Lasciò il messaggio sulla sua piccola scrivania, accanto al barattolo della crema: "Scusami. È solo che..."

"Lascia perdere." fece subito il Barone, le labbra che si sforzavano di formare un sorriso: "La colpa è mia, è uno strazio sentirmi leggere."

Caterina preferì non aggiungere altro, temendo di non riuscire a trattenersi e finire per essere offensiva.

Prese il panno che aveva appoggiato all'inginocchiatoio e si frizionò per qualche istante il volto, mentre ragionava sul contenuto del messaggio.

Savonarola stava rischiando molto. Un Compendio di Rivelazioni poteva significare la sua consacrazione come la sua discesa verso l'eresia. Di certo era una mossa da disperati. O da arroganti.

Siccome Giacomo non accennava a rasserenarsi, Caterina lasciò perdere Savonarola e il suo Compendio.

La sera era abbastanza fresca e forse il giorno seguente avrebbe piovuto. La finestra del Paradiso era spalancata e si sentiva il frinire insistente dei grilli e delle cicale, mentre una lieve brezza scompigliava un po' i capelli del Barone, che si era messo davanti alle imposte aperte, forse per sfuggire momentaneamente alla moglie e al suo giudizio.

Senza trovare un modo migliore per rassicurare il suo uomo, la Contessa gli si avvicinò e gli passò una mano sulla schiena. Sotto la leggera stoffa della camicia da camera, la pelle di Giacomo era calda e piacevole.

Lasciandosi la notte alle spalle, il Barone si voltò verso la moglie e per un istante eterno i loro occhi si specchiarono alla fioca luce della luna e delle candele accese nella stanza.

Colta da un'improvvisa e inspiegabile paura, Caterina si tuffò tra le braccia del marito e lo strinse a sé. Giacomo fece altrettanto, afferrando con tanta forza la moglie che, se fosse stata fatta di un'altra pasta, di certo gli avrebbe chiesto di far più piano.

Sciogliendosi riluttanti dal loro abbraccio, la Contessa e il Barone si scambiarono un lungo bacio e Caterina invogliò il marito a coricarsi assieme a lei.

Mentre Giacomo cominciava a spogliarla, la donna sussurrò: "Ho cercato un precettore per nostro figlio. Lo faremo tornare alla rocca a fine settembre."

Il Barone, esaltato da quella resa della moglie, a cui tante volte aveva chiesto quando di preciso avrebbe potuto richiamare a Ravaldino Bernardino – o Carlo come lui lo chiamava ormai da un po' tempo – si fermò un attimo e poi, con un sorriso trionfante come non ne faceva da mesi, ricominciò a darsi da fare e a Caterina non restò altro che assecondarlo e godersi quella breve parentesi di pura felicità.


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