Capitolo 350: Non exiguum temporis habemus, sed multum perdidimus

Börja om från början
                                    

Piero il Fatuo diede uno sguardo accigliato alla Porta Romana e tremò con ancor più forza. Erano davvero lì da così tanto?

Si appoggiò una mano sull'elsa della spada che portava al fianco. Era indeciso e disperato in egual misura.

Non voleva una ritirata, ma nemmeno una disfatta. Non voleva che gli ridessero dietro in tutta Italia per essersene stato quattro ora davanti a Firenze senza avere il coraggio di forzare l'ingresso in città. Però non voleva nemmeno morire in mezzo al fango, sotto la pioggia fredda di quell'aprile...

"Andiamocene." decretò alla fine, sentendosi un vile, ma sollevato di non dover più affrontare una cosa che lo spaventava tanto come la guerra.

"Come comandate." fece Bartolomeo, trattenendo a stento un sorriso.


Caterina si rigirò nel letto, agitata, senza svegliarsi. Giovanni, che aveva un sonno abbastanza leggero, si destò subito e cercò di capire se la moglie stesse avendo uno dei soliti incubi e se fosse il caso di svegliarla.

Se di solito la Tigre finiva per fare il nome di Ludovico Marcobelli, quella notte iniziò a borbottare qualcosa che aveva a che fare con il figlio Livio.

La stanza era immersa nel tiepido sentore delle braci che si arrossavano nel camino, ma il Medici sentì un brivido freddo lungo la schiena, nel pensare a che tipo di immagini vi fossero in quel momento nella mente della sua donna.

Con delicatezza, la scosse un po', fino a chiamarla con decisione, fino a svegliarla una volta per tutte.

La Contessa farfugliò ancora qualcosa e poi, appena spalancò gli occhi e si trovò davanti Giovanni, si lasciò andare a un sospiro di sollievo, seguito però subito da un'espressione addolorata e abbattuta.

"Perdonami." disse solo, asciugandosi il sudore dal volto e cercando di risistemarsi sul fianco senza infastidire più il marito.

Di contro, il Popolano l'abbraccio stretta a sé, sussurrando: "Mi spiace che tu abbia sempre degli incubi tanto brutti..."

Caterina apprezzò il gesto d'affetto di Giovanni e anche le sue parole, tuttavia si sentiva in difficoltà, soprattutto perché rivedere in sogno la morte di suo figlio le aveva messo addosso una strana agitazione: "Forse dovrei dormire nell'altra stanza..." disse, accennando a muoversi, come se si volesse alzare.

"Non ci provare nemmeno..." la fermò l'uomo, trattenendola a sé con decisione.

"Non posso finire per svegliarti così tutte le notti." disse lei, senza insistere troppo con il tentativo di fuga: "Hai bisogno anche tu di riposare..."

"A me va benissimo così." la mise a tacere il fiorentino, affondando il viso nei suoi capelli e chiudendo gli occhi, ben deciso a riprendere sonno il prima possibile.

Fin dalla prima notte che avevano trascorso insieme, l'ambasciatore aveva capito che Caterina conviveva con fantasmi che di notte si ingigantivano, togliendole la benedizione di un sonno sereno.

Aveva sentito alcuni abitanti della rocca dire che appena dopo la morte di Giacomo Feo, presumibilmente, aveva ricostruito Giovanni, dopo anche la morte di Ludovico Marcobelli, sentire la Leonessa gridare e lamentarsi nel sonno era normale.

Certi, addirittura, l'avevano paragonato al lamento di uno spettro e qualcuno aveva osato suggerire che forse le urla non venivano da lei, ma dall'anima dei morti per mano sua.

Giovanni era un pochino più obiettivo e aveva capito subito che il sonno agitato della Tigre era solo la manifestazione del suo tormento interiore, e aveva deciso fin da subito che vi avrebbe convissuto senza problemi.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Där berättelser lever. Upptäck nu