Cap 325:Gli strateghi vittoriosi han già trionfato, ancor prima di dar battaglia

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Il più grande aveva di nuovo parato un colpo del maestro d'armi, ma quella volta il polso della mano che teneva la lama aveva ceduto e di conseguenza anche l'altro s'era storto e così Galeazzo, pur avendo respinto l'assalto, si era trovato disarmato.

Mentre il suo maestro lo sgridava per quell'errore, che in battaglia avrebbe potuto costargli la vita, la Tigre guardò di sottecchi Giovanni: "Volevate comunicarmi qualcosa in particolare?"

Dal siparietto che avevano tenuto davanti all'oratore milanese, i due non si erano praticamente più parlati a tu per tu. Da un lato l'ambasciatore avrebbe voluto rivangare quell'episodio, dall'altro non ne voleva più sapere nulla.

Dal canto suo, quel giorno la Contessa aveva per la mente molti pensieri funesti. Uno di quelli che le opprimevano il petto con più forza riguardava una lettera che Raffaele Sansoni Riario le aveva appena spedito.

Il Cardinale, con le sue solite frasi allusive e centrifughe le aveva fatto capire che il papa voleva che lei lasciasse una volta per tutte lo Stato a Ottaviano.

A parte il fatto che ormai Caterina, da tempo, aveva già deciso che il suo primogenito non avrebbe mai ereditato la sua carica né il suo Stato, quello che le dava più fastidio era il tentativo di Rodrigo Borja di imporsi su di lei, nascondendosi, per altro, dietro a quel codardo di Raffaele.

Il suo Stato era in territorio di pertinenza vaticana, lo sapeva benissimo, ma lei sottostava anche alla legge imperiale e suo zio era il Duca di Milano. Così come il papa non osava far la voce grossa con Rimini, che era al servizio di Venezia, così non avrebbe dovuto permettersi di mettere il suo naso prominente negli affari di una Sforza.

"Ho saputo che per Natale ci sarà un banchetto." esordì Giovanni, mettendosi accanto a lei, le braccia appoggiate al davanzale e le mani che sfioravano la neve che continuava a turbinare leggera oltre la finestra.

"Nulla di che, sia chiaro." annuì Caterina: "Solo un po' di cibo di qualità migliore del solito e un po' di musica."

"Direi che è un buon programma." fece il Medici.

"Voi ci sarete, vero?" chiese allora la Leonessa, puntando involontariamente gli occhi sulle dita lunghe e agili del Popolano.

Le gote di Giovanni si colorirono appena e confermò: "Certo. Non potrei mai mancare."

Detto questo, l'uomo restò in silenzio, senza sapere come continuare la conversazione, già abbastanza felice di quello che si era sentito dire.

Quel giorno, poi, i suoi dolori erano sotto controllo e la crisi che aveva temuto sembrava scongiurata, almeno per il momento.

Le due cose, sommate, lo rendevano tanto lieto da dimenticarsi quasi di quello che stava accadendo a Firenze.

Caterina era tornata a concentrarsi sui suoi figli e così anche l'ambasciatore cominciò a seguire con maggior attenzione le peripezie dei due bambini.

Bernardino era ancora troppo piccolo, per lasciar intravedere chissà quali doti di guerriero, però, ogni volta che spettava a lui l'attacco, sapeva tirar fuori una rabbia che lo rendeva abbastanza temibile, compatibilmente con il suo visetto da angelo e i suoi movimenti ancora goffi.

Galeazzo, invece, mancava di precisione, ma sembrava instancabile e assai cosciente degli occhi materni che lo fissavano per giudicarlo.

"Galeazzo..." sussurrò Giovanni, lasciandosi trasportare dai suoi pensieri e parlando prima di trattenersi: "Non so come la pensate voi, ma secondo me è un nome che riecheggia subito un'idea forte di nobiltà. È un nome adatto a un capo."

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now