142. Disastro

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142.

Lànghrian, finalmente diventato, con gran gioia, un MFA, (Master of Fine Art/ Directing and Writing), cominciò a fare la spola fra America e casa.

Aveva l'abitudine, dovendo impostare un nuovo film, di occuparsi della sceneggiatura, stando nella pace di casa.
Niente distrazioni, il silenzio dei suoi boschi, gli stimolava la fantasia e le sceneggiature correvano veloci.

In quella notte d'estate, la luna piena era radiosa. Sia lui che Rúnhr, si erano coricati da un po'.
In camera di suo padre, la finestra era aperta, lui, sdraiato guardava la luna. Non riusciva a dormire.

Era agitato. Aveva un masso in testa..
'Un disastro.
Ho fatto un maledetto disastro.'

Núha era di sopra, non dormiva con lui.

Non che contasse molto. Lei non riusciva a perdonarlo e da un po' di giorni, non ne voleva sapere di lui.
Aveva fatto un grosso guaio, un altro dei suoi scatti, ma brutto, impensabile, uno schiaffo morale a Núha.

Si rivoltò nel letto, ormai il peggio era fatto. Ma non riusciva a dimenticarsene.

Qualche giorno prima, aveva chiesto a Lànghrian la cortesia di venire in ristorante per aiutarlo, perché due dipendenti erano malati.
Poi era successo un pasticcio.
Gli era presa un'ira improvvisa, ricordava poco e malamente come era andata.

Ma il fatto era, che la sera, aveva cacciato Núha dalla cucina accusandola di aver picchiato Frill, l'aiuto cuoca.
Impensabile, lo sapeva, eppure in un baleno l'aveva aggredita con urla, male parole, e Lànghrian, entrando in cucina, lo aveva sentito pensando che tutto fosse vero.

"Mamma!..Ma cosa hai fatto..l'hai picchiata! È una cosa vergognosa."
Così, in due, le avevano urlato contro "Fuori! Vattene vai, via!"

Era stato un grosso, prepotente errore.

Lei aveva cercato di parlare, ma non volevano sentire le sue ragioni, coprendo la sua voce sistematicamente, impedendole di esprimersi.
"No, tu non puoi parlare, te ne devi solo andare, fai silenzio..tu adesso te ne vai. Esci, capito? Vattene!" Le avevano detto insieme.

Lei era scioccata, avvolta in quel brutto sogno, aveva abbandonato la cucina.
Ma era stata la violenza dell'attacco, l'astio, il modo in cui le avevano impedito di dire una sola parola, sovrastando la sua voce, a colpirla, ad ammutolirla spiritualmente.

Si domandò come era stato possibile.

Si percepì troppo sconvolta.
Era in un periodo difficilissimo con l'emicrania, che la stava esaurendo.
La grande energia psicologica, che l'aveva sempre trascinata e fatta ritornare al reale, dopo ogni crisi, era stata molto erosa, dalla frequenza impressionante, del dolore emicranico.

Era già mentalmente sfinita, impreparata a una cosa del genere. La sua mente si contorse, alla disperata ricerca di un po' di dolcezza, e del motivo, che aveva generato un trattamento così radicale.

Cercò nel passato, si sentì molto confusa, non trovava risposta, fra mille piccole e grandi discussioni di una vita insieme, non trovava un appiglio, così forte, per meritarsi una tale umiliante offesa. Davanti a tutti.

In pieno panico, per quell'accusa gratuita e spregevole, le sembrò che avessero colto al volo l'occasione, per umiliarla.
Ci doveva probabilmente essere un motivo, compresso a lungo, misteriosamente.
Altrimenti non si capiva perché l'avessero trattata come fosse una stracciona, senza onorabilità.

Prima di uscire dalla cucina, rimase immobile, silenziosa, osservandoli urlare, muta, lontana, come
dall'alto di un film, in un frame irreale del mondo sconosciuto, cercando di rendersi conto, se era proprio vero.

Helòr - l'Oro di Hellok Where stories live. Discover now