2. Lirl

158 8 2
                                    


2.

Entravano, dalle alte finestre, poche falci di luce livida, che pareva premonitrice del giudizio finale.

Nel buio pesto, piccole chiazze, di etereo bianco, come farfalline, svolazzavano sul pavimento, zigzagando rapide qua e là.

Suor Diletta le vide comparire improvvisamente.
Poco più avanti di lei, in un movimento scomposto. Al centro del corridoio.

La sua anima colpevole non riuscì nemmeno a recitare una preghiera, solo la sua mente sussurrava a malapena 'Non farmi questo, mio signore. Caccia questo fatasma vomitato dagli inferi. Sono la tua Santa Diletta, moltiplicherò i miei doni. Sono la tua serva fedele, accidenti!'.

"Vade retro satana", urlò d'improvviso in un conato di terrore.

Il fantasma si allontanò rapido, in avanti, e di colpo scomparve di lato, nel muro. Diletta s'infilò nel corridoio a destra e si diede alla fuga.

Plumbea, la calma tornò di nuovo. E anche il fantasma.

Nel denso buio, una minutissima farfalletta bianca ricomparve, questa volta galleggiante più in alto. Fremeva leggermente, mentre si espandeva in due alucce.

Contemporaneamente comparvero altre due macchie scomposte, sul pavimento, che si espansero in due inquietanti piedini. Mentre sotto la farfalletta in alto, comparvero due occhietti lucenti. E piano, piano, si formarono anche un ovale cereo e ai piedini crebbero due pezzettini di gambette.

E poi inaspettate, due manine e..
.. un panino..

Di certo i gigli che tutto guardavano, nel vaso di fianco alla madonnina, non erano creature delle tenebre, come Diletta, e non ebbero paura dell'essere alieno, né dubbi: una bimba, scalza, con un bel fiocco bianco, annodato sopra la testa, stava seduta a terra e sbucava cautamente da una grossa coperta scura.

Con in mano un panino.
I piedini nudi, per non farsi sentire, si aggirava laggiù, avviluppata nella coperta anche sopra la testa e il viso. Solo la frangetta nerissima, il nastro bianco simile a una farfalletta e gli occhietti lucenti spuntavano di tanto in tanto, quando spostava un poco la coperta dalla testa, per sbirciare attorno.

La lana bigia, lunga fino a terra, era un'altra sfumatura d'ombra, nelle ombre, la bimba era quasi invisibile. Ma le sue bianchissime nervose caviglie, in movimento, a tratti si vedevano, sotto il tessuto.

Riflettendo la luce fioca, diventavano diafani insidiosi fantasmi nel buio, e il nastro bianco fra i capelli, una creatura demoniaca: truci trappole per una coscienza sporca.

Si chiamava Lirl, aveva 5 anni, un musetto ostinato, emaciato, pallidissimo. Il corpicino magro, patito.

Dal suo fagottino nero, aveva visto arrivare la sagoma secca di Diletta e riconobbe il timbro della voce gracchiante, che temeva.

'L'arpia maligna è in arrivo?' pensò.

Guardò attenta nel profondo buio. Due distinte sfumature di nero, come due sbuffi di fumo opaco, si muovevano disarmoniche. Riconobbe subito il moto della cornacchia odiosa, nelle ombre notturne. Si erano incontrate spesso di notte, ma Cherubina non lo sapeva.

'Meglio scappare via, vicino al muro. È incapace di distinguermi, là.'
La piccola filò dietro una cassapanca. Pareva un grumo d'ombra nell'ombra, insulso e invisibile, anche alle poche suore che l'avevano incrociata, da quando vagava in segreto.

Scappata via la superiora, Lirl era sgusciata pian piano dalla coperta, per riposare e mangiare qualcosa.

Il visetto aveva un'impronta briosa, ma le guance erano smunte e gli occhi brillanti di una strana luce.

Da tempo faceva queste passeggiate notturne nei corridoi del collegio, non troppo spesso, ma troppo, per una bimba di appena cinque anni.

Intanto, masticando il suo pane stantio, rifletteva 'Forse questo è il corridoio giusto, ma la troverò, la troverò...'

Era arrabbiata e consunta, Lirl.

Vagava in cerca dell'uscita, che non trovava, per scappare a casa. Ma nessuno si era accorto dei suoi viaggi ostinati.

Di notte, aspettava che le suore andassero a dormire e, allo stremo, ma ormai esperta, pattugliava quegli ambienti enormi, paurosi. Consumandosi di stanchezza. Nel frattempo deperiva a vista d'occhio.

All'inizio la superiora era stata avvisata, dalle madri anziane, che bisognava fare qualcosa. Però suor Diletta aveva in odio i problemi da bambini.

"Tutte storie, troppi capricci, le passerà" sentenziò.

Ma Lirl era disorientata, arrabbiata. Sentiva l'ambiente ostile, un carceriere che non le apriva le porte, impedendole di tornare dalla sua mamma.

I suoi fratelli l'avevano portata lì, raccontandole che avrebbe incontrato una nuova zia, in quel posto.

"Un momento, andiamo a chiamarla. Aspetta qui."

Non erano più tornati. Nemmeno un bacio di commiato.

Abbandonata in un luogo d'incubo, senza sapere perché, Lirl si trovava a mezza strada fra la follia e una rabbia distruttiva.

Verso se stessa, credeva di aver fatto qualcosa di male.

Verso i suoi familiari, che non erano venuti più, a scaldare quel cuoricino perso.

E verso la sua mamma, fiamma della sua vita, che l'aveva abbandonata così.

Sotto la sua coperta, fagottino misterioso, il dolore pungeva.

'Mamma perdonami, dobbiamo parlare'. Il pensiero le sbatteva dentro, accartocciandola.

'Perché sono in castigo? Perché mi hai mandato qui? Sono stata cattiva? Cosa ho fatto? Perdonami, adesso basta, ti prego, ti prego, basta! Vieni a prendermi!'

Si mise a piangere, silenziosamente. Rimase accasciata, gravata dalla stanchezza. Scrutò il corridoio, sperando di vedere la figura della mamma correre nel buio, verso di lei, per perdonarla, abbracciarla e toglierla dall'incubo.

Aspettò, le sembrò di vederla, si mosse verso di lei, ma si fermò, controllò ancora.

Poi ingoiò l'illusione.

Si sentì furibonda, odiò la mamma, che non voleva perdonarla, provando un'acre vergogna per questo, e ricadde nell'abisso, che la stava inghiottendo.

Galleggiava in quel brodo malefico, che ribollendo la sballottava, la soffocava ora su ora giù, togliendole quasi il senno, pronto ad annegare la sua identità.

Odiava la mamma, perché l'amava. Ma l'amore prevaleva, spingendola in quelle inquietanti gallerie nere, per ritornare a casa.

Però non sapeva che la mamma era morta.

E nessuno glielo aveva detto.

Helòr - l'Oro di Hellok Where stories live. Discover now