133. Alla stazione

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133.

Era buio pesto.
Núha corse giù per le scale, indossò giaccone e cappello a tesa larga, di Rúnhr.
Senza accendere luci, immobile sulla soglia di casa, sondò il buio. Niente, tutto era dormiente, nessuna ombra sospetta.

A passo spedito raggiunse la macchina. Si guardò in giro di nuovo, salí e partì.
Percorse il primo tratto della grande strada sterrata, stando attenta alle macchine, che la sorpassavano, girando la testa in senso opposto, bavero alzato, per impedire di essere vista in viso, nessuno doveva capire che era una donna.

Imboccò il secondo tratto, della lunga strada asfaltata, il più pericoloso.
Strada lunga e magnifica di giorno, fra i boschi fitti, collegava la zona selvaggia alla città.

Di notte, si trasformava.
In molti sentieri le puttane erano in attesa. I clienti attendevano in piccole file. Purtroppo era la sola strada che arrivava alla stazione della ferrovia. Doveva per forza percorrerla.

Rúnhr era a letto, guardando la televisione. Lei in giro, in quell'azzardo pericoloso, per arrivare alla stazione a mezzanotte, a prendere Lànghrian, che tornava dalla scuola di regia.

Le faceva male andare in giro in macchina, in quei luoghi di boschi, in strade buie ed isolate, pericolose. Si sentiva offesa.

Mentre Rúnhr se ne stava a letto, guardando la televisione, lei rischiava qualche brutta aggressione. Si camuffava in un giaccone e cappello da uomo, ma se qualcuno si fosse accorto che era una donna? Se la macchina avesse avuto un guasto, proprio lì?

Rúnhr avrebbe almeno potuto accompagnarla.
Si era sentita molto oppressa, da subito, per quel comportamento, di puro dispetto. 

"Io non ho nessuna intenzione di andarlo a prendere alla stazione di notte," aveva detto subito, lui "non collaborerò a questa follia di diventare regista."

"Va bene, andrò io"
"È pericoloso, di notte, lì"

"Lo so, ma non ho nessuna intenzione di fare il tuo gioco ingiusto. Ho intenzione di collaborare alla sua follia"

"Mi fai il verso? Tu non ti muovi di qui"
"Collabora con me, allora. Facciamo un po' per uno"
"No"

Che senso aveva sfoggiare un'irritazione violenta, perché suo figlio voleva diventare regista? E punire lei, perché non lo aveva ostacolato, costringendola, ogni giorno feriale, a fare quel tragitto, a mezzanotte, per andarlo a prendere al ritorno da scuola, in stazione.

In fondo, cosa faceva di male Lànghrian? Si dava un gran da fare a studiare all'università, ma anche a studiare regia.

Núha, in macchina, alla stazione, in attesa del treno, si rodeva per questa cosa.

Quel giovanotto, bellissimo come suo padre, stava  facendo i salti mortali, in quegli anni. Frequentava l'università, da tre anni. Contemporaneamente, alle 16, andava alla sessione serale di un corso di regia cinematografica, ad altissimo livello. La laurea di bachelor, che ne derivava, era internazionale.
Stava andando benissimo, in entrambe le cose.

Inoltre, il sabato e la domenica, se non doveva studiare, aiutava con i cavalli, per rabbonire suo padre.
Per fortuna aveva fatto amicizia con qualche compagno, così, almeno, se poteva, si svagava nel week end.

Rúnhr aveva preso il suo corso di regia con stizza, da subito. Creava un sacco di difficoltà, perché era stata scavalcata la sua opinione. 
Lui aveva fatto molta pressione, ma suo figlio aveva fatto di testa sua.

Molto responsabilmente, ottenuta la maturità, in silenzio, si era iscritto alle selezioni del concorso statale bachelor, di regia. Núha ricordava bene quel che era successo.

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