Guardians

By Reigan10

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[Completa - in revisione] In seguito alla terribile Guerra Rossa avvenuta dieci anni fa, il Continente centra... More

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Capitolo 144
Capitolo 145
Epilogo
Grazie!

Capitolo 20

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By Reigan10

Saga di Gloomport Town

"Signore!" Il ragazzo spalancò la porta dell'ufficio, zuppo di sudore per aver salito di corsa le scale fino all'ultimo piano. "Signore, gli ultimi aggiornamenti sulla spedizione." annunciò, ansimante. L'uomo anziano seduto dietro la scrivania di legno lo guardò, divertito.

"Rilassati, Jeff, ne abbiamo già discusso in riunione, questa è solo la concretizzazione di mesi di lavoro, me l'aspettavo."

Il ragazzo sembrò riprendersi alle sue rassicurazioni. "Ha ragione, signore, mi scusi."

"Ti ho detto mille volte di chiamarmi Joshua, ragazzo." lo riprese l'altro.

"Mi sembrerebbe irrispettoso."

"Sciocchezze, non è dai titoli che si definisce il valore di un uomo. Lo sai che non tutti hanno la fortuna di vedere i propri meriti riconosciuti com'è successo a me."

L'altro non sapeva cosa rispondere. Forse era troppo riverente nei suoi confronti, o semplicemente poco arguto.

Joshua Faraday, presidente del governo Guardians, si alzò. Era un uomo anziano, ma pieno di vita e vigore. Alto sul metro e novanta, con capelli e barba lunghi e canuti, incuteva sicuramente un certo rispetto.

In quel momento si trovava nel suo ufficio all'ultimo piano del palazzo sede del governo, un alto edificio situato nella capitale del Continente centrale: New Spring. O Haru, com'era chiamata prima della guerra, durante il governo Shihaiken.

L'interno dell'ufficio era piuttosto asettico: sulla scrivania di Joshua era appoggiata una piantina d'appartamento, in un piccolo vaso di ceramica scolorito. Alle sue spalle, sul fondo della stanza, vi era una grande vetrata che dava direttamente sulla zona centrale della città, colma di grattacieli, le cui strade affollate erano caratterizzate da un continuo viavai di persone e mezzi di trasporto. Le pareti imbiancate da poco facevano contrasto con il pavimento in parquet piuttosto polveroso e, come ciliegina sulla torta, un piccolo tappeto tondo e arancione, in cui puntualmente Jeff inciampava, era posto davanti alla scrivania.

"Su, fa' vedere quel documento." Joshua lo prese con calma dalle mani di Jeff, un ragazzo dall'aria insicura con capelli biondo cenere e grandi occhi celesti. "Ottimo, quindi la Compagnia Santos & co. ha confermato la sua partecipazione, come da programma. Bel lavoro, Jeff. Va' pure a riposarti."

"Ci sarebbe un'altra cosa, signore. Gli addetti al reclutamento hanno stilato la lista della squadra di Guardians professionisti di indole avventurosa che parteciperanno alla spedizione. Pochi ma capaci, con la presenza di giovani prospetti, come aveva chiesto lei."

Joshua stavolta parve sorpreso. "Non me l'aspettavo così presto. Fammi dare un'occhiata."

Lesse ciò che era scritto sulla lista:

"In vista della spedizione organizzata dal governo Guardians, in collaborazione con la Compagnia Santos & Co., con obiettivo l'esplorazione del Continente dell'est, si comunica di seguito la lista di coloro che ne parteciperanno in prima persona:

Antonio Santos, leader della Compagnia Santos & Co., insieme al personale che quest'ultimo riterrà indispensabile alla spedizione.

Bonny Jordan

Cornelius Grimm

Dorothy Goover

Koyomi Murai

Somber Blacklight

Summer Oshino."

Dopo aver letto, Joshua sembrò soddisfatto. "Aggiungi solo un altro nome, Jeff."

"E quale sarebbe, signore?"

"Il mio, naturalmente. Non penserai che io possa perdere un evento così importante per la mia nazione? E poi, in fondo devo cogliere queste occasioni al volo, sono vecchio." concluse in tono ironico.

Peter era steso sul divano, con una rivista a coprirgli la faccia, a sonnecchiare mentre la televisione mostrava alcune immagini del torneo che aveva affrontato quattro mesi prima.

La competizione che, come avevano saputo alcuni giorni dopo la finale e come stavano ricordando nel servizio televisivo, aveva condotto alla morte Lux Brightstar, il temibile assassino professionista.

C'era stata qualche complicazione durante l'intervento, o forse sarebbe stato meglio dire che le ferite erano già troppo gravi di suo. La sua morte era comunque stata considerata accidentale, e non aveva avuto ripercussioni sul vincitore del torneo, se non un breve processo in cui era stato scagionato. Una vita era stata stroncata, senza che nessuno potesse rivendicarla, sebbene si trattasse comunque di quella di un assassino a sangue freddo.

Peter udì la chiave girare nella serratura. "Deve essere Alex." pensò, stancamente.

La sua previsione si rivelò corretta, quando l'amico gli scostò la rivista dalla faccia, scrutandolo dall'alto con un'aria disgustata.

"Da quante ore sei in questo stato? Hai dimenticato che dobbiamo andare a trovare Dorothy?" lo rimproverò. Guardandosi intorno, Alex si innervosì ancora di più a causa delle terribili condizioni del loro piccolo monolocale: Il divano su cui era stravaccato Peter presentava briciole e avanzi di cibo vari, così come il tavolino di legno accanto a esso.

Il pavimento aveva urgente bisogno di essere spolverato e le pareti, già di per sé vecchie, erano un po' bruciacchiate. Evidentemente, Peter aveva di nuovo fatto uso del Kaika a causa della noia.

Unica cosa che sembrava intatta in quella specie di stalla arredata era il comodino su cui era poggiata la TV, probabilmente ritenuta importante dal pigro compagno di Alex.

"Ma che vuoi? Guarda che io sono già andato ieri." rispose Peter.

"Che?! Perché non me l'hai detto? Ci sarà rimasta male per non avermi visto."

"Macché, abbiamo riso e giocato ai videogiochi per ore, quella maledetta è imbattibile con la console. Le ho detto che saresti passato oggi, per questo stamattina ti ha chiamato per invitarti. Immagino non volesse che il suo Alex se ne dimenticasse..." concluse Peter con malizia.

"Sta' zitto, idiota... non c'è niente del genere tra di noi." Alex cercò di assumere un'aria decisa.

"Si, certo, va bene. A ogni modo, com'è andato il lavoro come guardia del corpo?"

Alex sbuffò. "Mah, era di nuovo un paranoico con manie di persecuzione. Altri soldi facili." posò una busta con del denaro sul tavolino.

"È per questo che non accetto questi lavori."

"Magari se li accettassi potremmo permetterci più di un monolocale, stupido."

"Ehi, l'ho scortato quel lattaio nel quartiere difficile, però." si difese Peter.

"Ti ha pagato in latte."

"Il latte è buono."

Alex cominciò ad alterarsi. "Sarà meglio che vada, se non voglio arrivare tardi da Dorothy... e prima che ti faccia a pezzi." recuperò il controllo a fatica.

Peter lo vide uscire di casa ancora un po' corrucciato. "Che ragazzo permaloso..." pensò. Al ragazzo rimasto di nuovo solo rivennero in mente ancora gli eventi del torneo, per qualche motivo non riusciva a fare a meno di rimuginarci in quel periodo.

Ripensò all'espressione omicida di Connor nel momento in cui aveva ferito mortalmente Lux, o peggio, ad Alex quando aveva perso il controllo.

Ciò che avevano affrontato li aveva portati a mostrare lati di loro stessi spaventosi.

In un certo senso, quell'esperienza li aveva costretti a confrontarsi con la brutalità nascosta nel loro animo, ad assuefarsi allo sbigottimento provocato dalla vista di scene cruente in prima persona. Ma non era quello ciò che lo turbava maggiormente.

Continuava a balenargli in mente quel sogno inquietante che aveva fatto, l'immagine sfocata di quella ragazza dai capelli indaco, così familiare. Così nostalgica. E quel mostro che era apparso alla fine...

"Cosa vorrà significare?" si chiese Peter, con voce sommessa.

"Che idiota quel Peter! Perché deve sempre fare cosi?" Alex era a pochi passi dall'appartamento in cui Dorothy viveva in affitto. Molto più alto e ben messo del loro monolocale, questo era certo.

Dopo il torneo, a quanto pareva, Dorothy aveva riscosso un certo successo, e di conseguenza riceveva molte richieste come guardia del corpo, assistente per archeologi che visitavano siti pericolosi, e roba del genere. Questo le aveva permesso di poter pagare l'affitto in un appartamento di una zona facoltosa di New Spring. Aveva persino posato per apparire su dei cartelloni pubblicitari.

Anche Somber aveva ottenuto parecchia fama grazie al fatto di essere giunto fino alle semifinali, sebbene preferisse non fermarsi mai troppo tempo nello stesso luogo.

"Quello squilibrato non cambierà mai." pensò Alex, sorridendo.

Quanto a lui e Peter, beh, di certo non era mancato il lavoro, ma niente di paragonabile a Dorothy e Somber. In più, Peter spesso se ne usciva con frasi come io il lunedì non lavoro, facendogli venire voglia di strangolarlo. La verità però, era che senza di lui Alex si sarebbe sentito davvero triste e solo, senza punti di riferimento in quella giungla di cemento.

Giunse all'appartamento e suonò il citofono.

"Sali, Alex!" squittì Dorothy dall'interfono, dopo alcuni secondi.

Lui prese l'ascensore e salì fino al settimo piano, dov'era situata la casa della sua amica. Quando arrivò fuori al portone, quest'ultimo fu spalancato e ne uscì Somber, con la sua solita espressione truce.

"E mi raccomando, non tardare domani sera!" si udì Dorothy urlare al ragazzo dalla chioma scura, da dentro.

"Tranquilla, Goover. Non faccio mai ritardo." rassicurò Somber. "Oh, ciao." disse poi, rivolto ad Alex.

"Ehilà." gli sorrise lui.

"Al! Entra, dai." lo chiamò Dorothy, allegra.

Alex varcò la soglia dell'ingresso, titubante. In quel momento la compagna portava i suoi lunghi capelli bianchi tirati sopra la fronte con una retina, il che rendeva più visibile il suo viso, facendola apparire ancora più bella, se possibile.

Il biondino pensò che il legno dovesse piacerle proprio, dato che sia le pareti che il pavimento erano di quel materiale. A prima vista si notava subito che l'appartamento era molto spazioso, con due piani e un largo corridoio contornato da alcuni quadri raffiguranti paesaggi, che subito dopo l'ingresso si apriva sulla sinistra in un ampio salone, attraverso una porta scorrevole con pannello di vetro.

Continuando dritti invece, si saliva al piano di sopra tramite una rampa di scale: probabilmente lì c'era la stanza destinata agli ospiti.

"Ciao, Dorothy." la salutò Alex.

"Allora io tolgo il disturbo." Somber fece per andarsene.

"Ehi, Somber..." lo fermò Dorothy. "Chi l'avrebbe detto, eh? Noi due stiamo davvero andando bene di questi tempi." affermò, con uno sguardo malinconico.

Somber azzardò un mezzo ghigno. "Già, chi l'avrebbe mai detto..." ripeté. poi andò via, chiudendosi il portone alle spalle.

Dorothy e Alex rimasero soli. Lei che gli sorrideva e Alex che in imbarazzo rispondeva a sua volta con un sorriso educato.

"Aspettami qui, vado a prendere una cosa." mormorò Dorothy.

"O-ok."

La ragazza tornò dopo poco con un piccolo secchio colorato in mano. "Gelato!" esclamò. "Lo mangiamo insieme?"

"Certo, perché no?"

Si sedettero sul divano tappezzato con lino verde chiaro nel salone, e iniziarono a prenderlo a cucchiaiate con gusto. Non faceva particolarmente caldo, ma la compagnia reciproca e il mix fresco di cioccolato e vaniglia rendevano di sicuro l'atmosfera molto piacevole.

"Io amo il gelato! A Dismal non lo mangiavo mai. Quanto è buono! A te piace?" Dorothy sembrava a suo agio, i piedi appoggiati sull'elegante tavolino accanto al divano.

"Oh, sì. Miss Gilda ce lo faceva mangiare la domenica a Jolly Hall. Era una grande festa. Accidenti, che ricordi..." ribatté Alex, sognante.

"Devono essere stati momenti felici."

"Altroché. Chissà come stanno i miei vecchi amici. Se hanno trovato dei genitori disposti ad adottarli." Alex si interruppe, notando che Dorothy si era un po' incupita. "Oh, scusa, Dorothy. Non dovevo parlarne, tu non hai mai neanche avuto una simile speranza..."

Lei sorrise. "No, tranquillo, Alex. Sono io che te l'ho chiesto." seguì un breve, imbarazzante silenzio dove la giovane parve soppesare qualcosa nella sua mente, e il compagno se ne stava in silenzio con la sua consueta aria frastornata. "Vedi, io non credevo neanche di meritarlo. Un futuro, intendo. Questo appartamento, dei soldi miei, degli amici stupendi come voi. Ma grazie a te, a Peter e a Somber ho capito di valere qualcosa, e che forse anch'io merito di essere felice. Voi siete tutto per me e non vi ringrazierò mai abbastanza."

"Dorothy..." mormorò Alex, addolcito. "Non c'è bisogno che tu lo dic-"

La ragazza gli pose due dita davanti alla bocca, come per zittirlo.

"Non parlare. Voglio raccontarti tutto del mio passato. Le parti più oscure che ho vissuto a Dismal, perché so che non mi giudicherai." sussurrò Dorothy.

Alex tacque e ascoltò la storia della compagna. Si sentì in un certo senso onorato che avesse deciso di aprirsi con lui. Forse scioccamente orgoglioso.

Lei prese un respiro profondo. Poi, iniziò. "Quando avevo dodici anni, ero orfana già da cinque. L'orfanotrofio in cui ero stata lasciata era stato distrutto durante la Guerra Rossa tre anni prima, dunque ho iniziato a vivere per le strade di Dismal. Riuscivo a cavarmela, la gente a volte lasciava un po' di cibo, e quando non lo faceva lo rubavo dai negozi. Passavo molto tempo sul muretto vicino al cancello di un campo di basket. Guardavo i bambini giocare, invidiandoli perché avevano una casa in cui tornare. Quello in cui vivevo era un luogo privo di speranza. Solo vedere Somber ogni giorno riusciva a farmi sentire normale, accettata. Sentivo di poter silenziosamente condividere il mio dolore con lui. Sapere che l'avrei visto anche il giorno dopo, e che si trovava nella mia stessa situazione, mi bastava per riuscire ad andare avanti. Penserai che tutto questo sia terribile, ma lascia che ti racconti ciò che davvero mi distrusse... e mi spinse seriamente a pensare al suicidio."

Alex ascoltava ogni parola attentamente, con il fiato sospeso e un'aria grave sul volto tondo. Non avrebbe mai pensato che il suo passato potesse essere tanto pesante.

"Un giorno, mentre vagavo per le strade in cerca di cibo, un'auto molto lussuosa si fermò vicino a me. I finestrini posteriori oscurati si abbassarono e un uomo corpulento mi chiese se avessi fame. Io ne avevo così tanta che non riuscii nemmeno a sospettare qualcosa, accettai di farmi portare in un ristorante. L'uomo, di cui non conobbi mai il nome, mi parlò della sua comunità filantropa in cui aiutava le persone in difficoltà. Specialmente i bambini. Evviva! Sono salva!, pensai, ingenuamente. Dopo una notte capii dagli sguardi dei bambini che vivevano nella sua tenuta, che quella non era una comunità filantropa. Era un deposito di schiavi. Ero diventata una schiava. Un uomo orribile mi comprò, mi portò a casa sua e iniziò a trattarmi male, a sottopormi alle più terribili umiliazioni... ad abusare di me. Più volte, quando voleva. Gli piaceva torturarmi, si eccitava quando provavo dolore e gli imploravo di smetterla." Le iridi di Dorothy furono attraversate da un lampo feroce, mentre ricordava.

"Una notte sgattaiolai in camera sua, presi la pistola che teneva nel cassetto, forzando la serratura, e gli sparai. Premetti il grilletto tante volte fino a ridurgli la testa a una massa irriconoscibile. Dopodiché, scappai, tornando a Dismal e conservando la pistola. La tenni con me per uccidermi a causa del senso di vuoto totale che ormai provavo, ma non ci riuscii, non ne avevo il coraggio. Sono rimasta a Dismal fino a quando ho notato su un muro il manifesto del concorso, dove ho incontrato te e Peter, e ho ritrovato Somber. Il resto lo sai." Dorothy concluse la sua storia con un'espressione triste ma anche tranquilla sul viso. Pareva quasi essersi liberata di un peso.

"Dorothy... mi dispiace così tanto." Alex non sapeva cosa dire. Sentiva gli argini nei suoi occhi venir meno, lottando strenuamente per trattenere le lacrime.

"Non dispiacerti, Alex. Grazie a te, durante il torneo della South Arena ho imparato che il vero coraggio non sta nel togliersi la vita, ma nel continuare a vivere. Mi hai insegnato ad accettarmi per come sono, e a non pensare mai di non essere degna di possedere qualcosa che desidero. Ti ho detto tutto questo perché mi fido ciecamente di te, e so che non mi tradirai mai. Ti sarò sempre grata." Lei gli sorrise e Alex avvertì un calore propagarsi lungo tutto il suo corpo.

Dorothy si avvicinò. "Ti dispiace se resto un po' appoggiata a te?" Si stese, la testa sulle sue gambe.

"No. Resta quanto vuoi." rispose Alex, abbandonandosi alla sensazione piacevole che il contatto con lei gli trasmetteva.

Rimasero così per un po'. Dorothy distesa su di lui, gli occhi chiusi e un sorriso sereno sul volto, mentre Alex giocherellava con i suoi capelli candidi e lisci come fili di cotone.

"Ma cos'è davvero lei per me?" si chiese il ragazzo.

La città di New Spring di sera, vista dall'alto di un grattacielo, era uno spettacolo mozzafiato. Le persone simili a insetti e le centinaia di luci catturavano lo sguardo, istigando quasi a buttarsi di sotto e unirsi a loro.

Connor osservava quello scenario vertiginoso, seduto al limitare del tetto sul quale si era appollaiato, come un rapace che osserva le sue prede da una rupe.

"Ti piacciono ancora le altezze, vedo."

L'uomo si voltò: alle sue spalle c'era Satyria, uno dei volti a lui più familiari.

"Come hai fatto a trovarmi?" le chiese.

"Sei sempre stato uno a cui piace arrampicarsi in alto. E poi, riesco a percepire il tuo Kaika anche se lo sopprimi."

"Sottovaluto sempre la tua capacità di percezione dell'aura, sembra. Allora, cosa vuoi oggi, dopo avermi pedinato fin qui? Lo sai che non ho intenzione di unirmi alla tua organizzazione."

"Non è per questo." rispose Satyria, accomodandosi vicino a lui. "Il governo Guardians sta preparando una spedizione per il Continente dell'est, la loro nave salperà al molo di Gloomport Town domani sera. Ho pensato che a te potesse interessare un'avventura del genere, so che dopo il torneo hai concluso ben poco."

"E perché dirlo a me? I tuoi Vulture non sono interessati?"

"Naturalmente lo siamo. Ci imbucheremo e sbarcheremo sul continente. Tu potrai nasconderti sulla nave e esplorarlo per conto tuo, come un fantasma."

Connor si grattò la testa, poco convinto. "La cosa mi puzza, Satyria. Potrebbe essere una trappola per costringermi a unirmi a voi."

"Non sei cosi importante per noi, Connor. E non ti ingannerei mai, lo sai." Per un attimo, Satyria sembrò offesa dall'implicazione dell'uomo.

"Sì, lo so."

"Inoltre, ho sentito che parteciperanno anche Dorothy Goover e Somber Blacklight. Un motivo in più per unirsi alla festa, non credi..?"

Connor sembrò più deciso. "D'accordo, mia cara, ci farò un pensiero. Proverò a imbucarmi dal lato opposto del porto rispetto al vostro, così il tuo irascibile capo non mi darà problemi. A proposito, non hai paura che scopra che tu riveli i vostri piani a me?"

"Non lo scoprirà." rispose con sicurezza Satyria.

A quel punto, il mercenario parve convincersi per il tono sicuro della donna misteriosa. "E brava la mia piccola Satyria! Mi trovi anche delle cose da fare, eh?" esclamò, provando a stringerla a sé con un abbraccio inclusivo.

Satyria gli sferrò un diretto in piena faccia e si voltò per andarsene, senza più degnarlo di uno sguardo.

Connor ridacchiò, mentre lei scendeva, simile a un corvo in picchiata, dal grattacielo.

"Amo le donne difficili..."

Satyria, allontanatasi dal grattacielo, si recò al punto di incontro con i suoi compagni: uno spiazzo dal terreno brullo e roccioso ai confini della città. Arrivò a destinazione, trovando il leader dei Vulture lì ad aspettarla.

"È tardi, Satyria Smith." iniziò. Intorno a lui c'erano dei cadaveri.

Anzi, non erano cadaveri, erano ancora vivi, notò la donna. Ma quegli uomini erano costretti a terra e immobilizzati dall'uomo di fronte a lei: Asmodeus Karasu, leader dei Vulture. I suoi capelli corvini e lunghi fino alle spalle, gli occhi neri e segnati dalle occhiaie e il lungo impermeabile scuro lo facevano mimetizzare alla perfezione nel paesaggio notturno.

"Ho avuto un contrattempo, capo. Mi dispiace."

"Sai bene che Connor Gray non è un membro del nostro gruppo, vero, Satyria? Se tu dovessi parlargli di qualsiasi cosa ci riguardi senza permesso, lo considererei un tradimento non solo all'organizzazione, ma anche a me." Piegò il braccio in avanti, contraendo la mano. Dalle persone a terra che lo circondavano fu emesso un rumore sordo di ossa spezzate. Ora sì che erano morti. "E sai bene che punizione riservo ai traditori." concluse Karasu.

"Non gli ho parlato." mentì lei, ostinata, mantenendo il sangue freddo.

"Meglio così, allora. Forza, seguimi. Andiamo dagli altri."

"Chi erano?" chiese Satyria, riferita alle persone che Karasu aveva appena assassinato.

"Mercenari. Credevano di poter riscuotere la taglia sulla mia testa attaccandomi in gruppo. Idioti, come se tante formiche potessero attaccare un corvo senza che esso le divori."

Satyria rispettava Karasu, e lo ammirava anche. Incuteva timore ma lei non aveva paura di lui, tutti all'interno dell'organizzazione lo vedevano come una guida, qualcuno che li avrebbe condotti al loro obiettivo. E quello scopo era chiaro e comune, il fuoco di Satyria acceso dal dolore subito in passato non si era ancora spento.

Non le importava se Connor si era arreso, non avrebbe mai perdonato il governo Guardians per averle portato via tutto: assieme ai suoi compagni, lo avrebbe distrutto, con o senza di lui.

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