Capitolo 125

40 6 144
                                    

Antonio si rigirava la lettera tra le mani, rileggendo a tratti ciò che vi era scritto con sguardo spento negli occhi castani privi di luce. Ciò che spesso aveva temuto nel corso di quegli ultimi anni, dopo aver conosciuto la ragazza che gli aveva inviato quel messaggio, ora si stava avverando.

Sul pezzo di carta c'erano solamente delle coordinate appartenenti a un posto vicino Dismal, in cui ora l'uomo si trovava, e la firma del mittente.

Dorothy Goover.

Nel momento stesso in cui l'aveva incontrata, anni prima, nella testa di Antonio era immediatamente balzata l'immagine di sua madre. Milly. Erano due gocce d'acqua.
La colpa, feroce, si era fatta largo al suo interno, un senso di oppressione che con tanta fatica aveva soppresso nei meandri più profondi di sé stesso in seguito alla guerra in cui combatté. E non solo. Le battaglie al fronte, i soldati Guardians periti per la sua lama erano solamente lo strato superficiale di un'orrida massa composta di orrori che come una malattia era cresciuta dentro di lui, minacciosa.

Ciò che aveva commesso al servizio dei ribelli dello Shihaiken circa quattordici anni prima era terribile, e l'omicidio dei genitori di Dorothy era solo uno degli atti peggiori. Non tanto per la gravità del crimine, quanto per il vuoto indescrivibile che aveva provocato in lui.

Per le sensazioni che mai prima di allora aveva provato, scaturite dal suo incontro breve ma inaspettatamente intenso con Milly Goover.

"Sei arrivato." Una voce roca, colma d'astio, lo sorprese alle spalle, nel largo cortile fatiscente di una vecchia abitazione crollata decenni prima.

Le erbacce infestavano il perimetro della zona, costituito da quattro isolette di aiuole anch'esse rovinate dal tempo e dall'incuria, d'un amaro verde scuro. Dove i due si trovavano l'uno dirimpetto all'altra, in piedi, l'asfalto brullo sferragliava sotto al sole cocente di mezzogiorno.

Antonio si voltò verso Dorothy e la guardò negli occhi. Erano tristi, notò. Dubitavano, chiedevano spiegazioni ma allo stesso modo erano schiavi di una rabbia a lungo inespressa. E proprio per questo, ancora più radicata e violenta.

Solo guardare il suo viso, identico a quello della madre di cui l'aveva privata, lo condusse a ricordare ogni dettaglio di quella grigia giornata dove parte della sua moralità morì senza possibilità di ritorno.




Le due figure rese oscure dalla penombra scaturita dai raggi solari erano immobili davanti a una piccola abitazione isolata, cinta da muretti che contornavano un grazioso giardino. Le loro vesti lunghe svolazzavano al ritmo del vento e gli sguardi duri nonché stanchi per il viaggio erano dischiusi, fissi di fronte a loro.

Avevano affrontato un itinerario per giungere fino alla zona più esterna della cittadina di Dismal, dove erano stanziate villette e abitazioni fuori mano occupate da persone più abbienti rispetto alla media del posto, per svolgere un compito assegnato loro dal generale dell'Esercito Shihaiken in persona: Sendai Masamune.
In quella casa vivevano i bersagli che erano stati mandati a eliminare.

"È questo il posto? Accidenti, sembrava non si arrivasse più! Ho proprio voglia di sgranchirmi i muscoli!" Il più alto e grosso del duo, un energumeno avvolto dalla manta grigia, si abbassò il cappuccio mostrando i suoi ondulati capelli biondo scuro che cascavano sul collo spesso e venoso.

"Jansen, a dire il vero vorrei che mi lasciassi questo compito." Replicò il più basso, dalla pelle olivastra e gli occhi vispi. "Il generale Masamune ha affidato a me l'incarico, dopotutto. Tu dovevi solo accompagnarmi."

"Che palle che sei, Santos!" Sbuffò col suo vocione Jansen Dolberg. "Almeno vedi di fare un lavoro pulito, questi qui non dovrebbero essere novellini da due soldi. Soprattutto la donna." Avvisò.

GuardiansDove le storie prendono vita. Scoprilo ora