Epilogo

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UN ANNO DOPO

Era il tramonto, e Peter si trovava disteso sul tetto, come spesso faceva, a guardare il cielo e pensare.

Faceva piuttosto caldo, anche per una torrida giornata di fine estate. Le tinte arancioni e oro del cielo via via si scurivano sempre più, mentre gli ultimi residui di luce piovevano sul prato verde e curato del dojo del maestro Fujiwara, donandogli sprazzi di accesa vitalità.

Il luogo che considerava una vera e propria casa, e in cui era cresciuto piantando il seme per diventare l'uomo che era adesso, quel giorno era più bello che mai. Amava quella pace, più di ogni altra cosa. Quel rifugio sicuro, quell'angolo felice nel mondo, lontano dal dolore, dalle guerre, dall'odio.

"Ecco dov'eri, dovevo aspettarmelo da uno sfaticato come te. Sei pronto per stasera? Non sarebbe giusto far aspettare quelle due." Il ragazzo che lo aveva interrotto lo squadrò con quell'aria esasperata che assumeva sempre quando Peter cincischiava, dandosi all'ozio più puro.

Quando non si trattava di azione e adrenalina legate a situazioni mortali era incredibilmente pigro, e questo infastidiva alquanto Alex, soprattutto se avevano impegni da svolgere.

"Vieni sempre a rompere, eh? Ovvio che sono pronto, non farei attendere Lily e la piccola per nulla al mondo!" Affermò con un sorrisetto gaio il ragazzo, fissando l'amico nelle iridi della sua stessa tonalità, ma più chiara, più dolce.

"Ma se sei in canottiera e pantaloncini... per di più ci hai pure dormito, con quelli. E pensare che prima sei andato a comprare il latte vestito così! Sbrigati, dai, anche Dorothy è pronta."

Ma, vedendo lo sguardo un po' assorto del compagno, Alex intuì che nella sua testa albergasse ancora il ricordo degli eventi di un anno prima. Dell'amico che avevano perduto, nella loro ultima avventura.

D'altronde, anche a lui capitava fin troppo spesso di pensarci senza riuscire più a fermarsi. All'ultimo sorriso del ragazzo che era sempre stato fedele ai suoi legami, nonostante tutto.

Somber.

Oppure al calore trasmesso dal volto gioviale e gentile del loro maestro, la cui immagine iniziava a sfocarsi nei suoi ricordi, idealizzati dalla felicità di quel passato appartenente a tanti anni prima.

Fujiwara Taiyo.

Alex si sedette accanto al suo migliore amico da che avesse memoria. Gli assestò un paio di leggere e affettuose pacche dietro la schiena e gli sorrise lievemente, con la sua innata sensibilità.

L'altro si lasciò andare a quel silenzio confortante che si venne a creare tra loro, pregno di tutto ciò che condividevano, le avventure, i sentimenti vissuti anno dopo anno, le amicizie. Le lacrime. Non c'era bisogno di parlare, per rievocare ogni singola cosa. E dimenticare, perdonare, accettare. Rinascere insieme, come sempre.

"Mancano anche a me." Sussurrò alla fine Alex, affondando il mento sulle ginocchia, gli occhi dischiusi e rivolti verso il basso in un sorrisetto malinconico.

Coloro che se n'erano andati: Somber, Taiyo, Karen, Amber e tutte le persone care che avevano perduto negli anni, rivivevano ogni giorno dentro di loro. Rendevano chiaro nelle loro menti che la morte era inevitabile, in qualunque momento e modo arrivasse, ma proprio per questo il valore che attribuivano alla vita, la volontà di renderla bella e piena di ricordi gioiosi e persone speciali era ancor più grande.

Perché alla fine era quello tutto ciò che contava, durante gli anni che talvolta parevano così vuoti, così fragili.

Amare la propria vita era l'unico vero significato dell'esistenza umana.

Un piccolo tonfo alle loro spalle li fece voltare, e il viso impaziente della nuova arrivata in volo ricordò loro di essere in ritardo, le ciocche lisce e candide oscillanti al vento che le incorniciavano i tratti delicati, le iridi auree sormontate da ciglia di neve, la pelle pallida e levigata.

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