Capitolo 89

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La dolce brezza primaverile accarezzava i ramoscelli contorti degli alberi, ricoperti dal verdeggiante fogliame frusciante, su cui sporadiche formiche nere zampettavano a ritmo regolare e alcuni pigri scoiattoli riposavano, scrutando l'ambiente coi loro occhietti scuri.

Seduto su di un ramo in cima a un albero più defilato, all'interno di un giardino ampio e curato, un ragazzino faceva oscillare le esili gambe nel vuoto, con i capelli verde scuro che vibravano nell'aria.
Fissava l'orizzonte con le iridi gialline, l'espressione sul suo viso era lo specchio della noia che provava in quel momento.

"Ti piace arrampicarti sempre in alto, eh?"

Il giovane voltò il suo sguardo pigro sull'argentina voce proveniente dal basso, che lo aveva interpellato.
Apparteneva a una bambina, poco più giovane di lui, dai capelli ramati raccolti in una lunga coda laterale, e un paio di grandi e cadenti occhi violetti.

"Secondo me lo fai apposta per non giocare con me." Continuò la piccola, imbronciata. "Lo sai che non riesco ad arrivare fin lassù!"

L'altro parve per un attimo divertito dall'impotenza della compagna, dalla sua impossibilità di raggiungerlo. Poi, notando l'aria corrucciata che si ampliava sempre più sul suo visetto ovale, sospirò e decise di assecondarla.

"Ma che dici?" Ridacchiò. "Dai, vieni anche tu. Ti do una mano, Satyria."

"Grazie, Connor." Rispose ironica la ragazza, come a dire che apprezzava che si fosse miracolosamente scomodato per lei.

Il ragazzo discese di qualche metro, poi le tese il braccio, che lei afferrò saldamente, e la fece salire con lui sulla vetta dell'alto acero.
"È venuto qualcuno a far visita all'abbazia?" Chiese Connor, tanto per spezzare il silenzio.

Satyria scosse la testa con fare giocondo. "Mh-mh! Oggi nessuno. Viene sempre meno gente." Rispose.

"Meno male. Odio che degli estranei entrino lì." Sbottò lui con occhi socchiusi.

"Sei troppo chiuso." Ribatté Satyria. "Non fanno nulla di male, chiedono solo al Padre di accoglierli per poco o di guarirli da qualche ferita. Sono disperati."

"Beh, il Padre è troppo generoso. I deboli in questo mondo dovrebbero fare meno affidamento sui forti, se ne approfittano e lui dovrebbe capirlo." Connor girò il capo di lato in modo quasi capriccioso.

Satyria trovava sempre spassosa quella sua maniera di comportarsi, infantile anche per un ragazzino di nove anni, ben due più di lei che invece era sempre più posata e matura, aperta al prossimo e a punti di vista differenti. Pur considerando alla fine il suo quello più arguto e intelligente, solitamente con ragione.

"Ti ricordo che ha accolto anche noi... anche te, quel giorno." Sussurrò, confidenziale.

"È stato stupido anche quella volta. Così come a insegnare il Kaika a me, oltre che a te. Avrei potuto ucciderlo." Disse, senza mezze misure, Connor.

Satyria sbuffò, e gli porse la mano callosa per le numerose arrampicate quotidiane insieme al compagno. "Dai, aiutami a scendere. Tra poco dovremo allenarci, vorrei imparare almeno le basi del Kaika questo mese." Affermò.

I due avanzarono e, pochi metri in avanti rispetto all'acero, trovarono la graziosa abbazia dal tetto spiovente, tutta in mattoni rossastri incastonati tra loro, in cui vivevano.
La croce troneggiava in cima alla modesta struttura, cercando quasi di raggiungere il cielo con la sua parte più alta.
Lateralmente all'abitazione, sulla sinistra, vi erano due piccole panchine di legno appoggiate alla parete, che spiccavano dalla corta erbetta, divise da una fontanella arrugginita da cui ci si procurava l'acqua.

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