Capitolo 94

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"Bene, siamo arrivati. Questa sarà la tua nuova casa, Takeshi. Ti piace?"

Le iridi del ragazzino brillarono per un momento di una luce in esse ridestata, rimasta spenta, in stasi fin troppo a lungo, nella breve e tortuosa vita che aveva vissuto fino a quel momento.

O meglio, fino a quando aveva afferrato la mano ruvida ma paterna di quell'uomo così bizzarro in kimono verde, così atipico nella frivolezza dei suoi modi, contrastante con la postura regale e calma che lo contraddistingueva.

La sua era un'indole particolare e mai vista prima, un'esistenza fuori dagli schemi.

Questo era stato forse il motivo principale per cui Takeshi aveva deciso di seguirlo: la percezione di quell'essenza unica.
Non aveva bisogno di essere salvato, ma solo di essere guidato.
E in quell'uomo, di nome Fujiwara Taiyo, probabilmente avrebbe trovato ciò che nel suo inconscio cercava.

Il sentiero gremito di ghiaia e coperto da verdi alberi che davano una sensazione di fresco e pulito, il giardino ampio e curato con bonzai insieme a diverse pianticelle sparse in giro, la struttura simmetrica del dojo che da quel giorno in avanti sarebbe stato il suo rifugio, riempirono il giovane spadaccino di un'euforia mai provata prima.

Fu in quel momento che Takeshi scoprì il significato del termine gioia.

"È un bel posto." Si limitò ad acconsentire, provocando una risata gioviale di Taiyo.

L'esile bambino, perfino per la sua età, che restava sempre aggrappato alle vesti del suo maestro si sporse un attimo oltre le gambe di quest'ultimo per scrutare Takeshi con i suoi occhioni neri, che annegarono in quelli azzurri dell'altro.
Poi arrossì e guardò subito altrove.

"Karasu è un timidone." Squittì Taiyo. "Credo voglia solo diventare tuo amico. Spero che andrete d'accordo, così come per gli altri miei allievi." Sorrise.

Takeshi sbuffò, pulendosi l'orecchio con il mignolo in un atteggiamento indolente.
"Non ho problemi a condividere il mio cibo." Disse, pigro e distaccato.

Taiyo gli assestò un lieve colpetto sulla schiena per dargli una spintarella in avanti, verso il dojo.

"Coraggio, allora." Mormorò, dolce.



Oltrepassato il basso cancelletto d'ingresso, dopo pochi passi mossi lungo il cortile rigoglioso e fiorente, lo sguardo di Takeshi fu catturato dal colore sgargiante della liscia chioma appartenente a un ragazzo, seduto con le gambe oscillanti sul pianerottolo rialzato che circondava l'abitazione. Si trattava di un rosso piuttosto vivido, come se una cascata di rivoli insanguinati stesse discendendo lungo le guance coriacee del giovane.
Portava un kimono simile a quello del maestro Fujiwara, rosso anch'esso, ma più tenue.

Quando indirizzò lo sguardo su Taiyo e Karasu, sterzando poi verso il bambino estraneo dai capelli azzurri, il suo volto flemmatico fu attraversato da un accenno di stupore. Si alzò in piedi, incuriosito, e accorciò la distanza tra lui e quel nuovo interessante arrivo.

"Maestro, lui chi è?" Domandò, gli occhi verdi fissi su Takeshi.

"Un nuovo studente, sii cordiale con lui, Saito." Rispose Taiyo, sempre con un sorrisetto compiaciuto stampato in faccia.

"Sono Isao Takeshi. Ho nove anni, molto piacere." Mugugnò il novello allievo, diffidente.

"Io sono Saito. Okajima Saito. Hai pressappoco la stessa età mia e di Karasu! Sono sicuro che andremo d'accordo!" Cinguettò Saito, tutto pimpante ed esuberante per via della potenziale nuova amicizia.

Takeshi strabuzzò gli occhi.
"Vuoi dire che quel pidocchietto che vive nella gonnella del vecchio ha i miei stessi anni? Non ci credo manco se mi fai leccare l'erba." Affermò. "Cos'è che fareste poi, qui? La Raccolta Relitti Umani?"

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