Capitolo 93

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Il metallo cozzava crepitante, in uno sfolgorio sordo che echeggiava nella valle umida attorno ai due spadaccini. Braccio contro braccio, i muscoli tesi fino allo stremo sull'impugnatura delle lame a imprimere una spinta verso l'avversario, i loro corpi tesi sostenevano uno sforzo considerevole per resistere alla furia nemica.

Gli occhi azzurri di Takeshi ardevano in quelli corvini di Karasu, come infinite volte era accaduto in passato, nei loro giorni da alleati, da rivali e da amici.
I denti brutalmente digrignati, i capelli svolazzanti nell'aria putrescente.

Un ultimo movimento repentino di entrambi sancì la fine della loro disputa basata sulla forza fisica, e i samurai furono divisi, equidistanti l'uno dall'altro, piegati su un ginocchio.

"Finalmente, Takeshi, oggi potrò porre fine all'insulto che la tua esistenza rappresenta. La mia spada spazzerà via tutto il dolore che hai provocato." Sibilò Karasu, un ghigno malefico stampato sul viso scavato.
Le sue occhiaie nere lo rendevano ancor più cupo e sinistro di quanto già non apparisse da sé, nell'impermeabile lungo e scuro che indossava.

"La tua spada è intrisa d'odio, Karasu. Non può e non potrà mai spezzare la disperazione che invece risiede nella mia, e lo stesso vale per me nei tuoi confronti. Le nostre lame in fondo sono deboli nello spirito, nell'anima, proprio come ci ripeteva sempre il maestro Fujiwara." Replicò Takeshi, il volto percorso da nient'altro che rassegnazione.

"Rivangare il passato non è da te, vecchio mio, di solito sei così ostinato nel nascondere le tue colpe in una coppa di sakè o dentro i tuoi insulsi e illusori legami." Karasu passò a un'espressione più amara. "Gli insegnamenti del maestro non serviranno a evitare la nostra reciproca distruzione. Una lama d'odio e una di disperazione: il sentiero a cui possono condurre è uno solo, l'unica incognita è quale delle due desisterà prima al peso del rimorso."

Takeshi gli puntò contro la punta della spada dall'elsa azzurra, uno sguardo deciso nelle iridi splendenti come una stella poco prima della sua esplosione. Poco prima di tramutarsi in un abisso nero che risucchia ogni cosa al suo interno, ciò che Karasu era divenuto già da tempo ormai.

"Non resta che mettere le due anime a confronto, allora." Sentenziò la guardia, dando il via all'ultimo duello dei due guerrieri un tempo compagni d'arme.

Per un brevissimo istante, mentre entrambi correvano come predatori a caccia l'uno verso l'altro, sfregando nello slancio le punte delle armi sull'erba muschiosa, le loro sagome parvero identiche a quelle di anni prima, nel periodo in cui indossavano i kimono da allievi di spada ed erano alti almeno la metà. La loro anima più libera, il loro cuore più leggero.



Si scontrarono ancora in un impatto risonante delle loro lame, terminando in un vero e proprio turbinio di fendenti, ognuno di essi scagliato con rapidità e precisione prossime al divino.

Il suono dei loro attacchi e affondi bloccati o deviati riecheggiava nell'atmosfera che li attorniava, ma Takeshi e Karasu non ascoltavano, non potevano.
Erano capaci solamente di osservare il polso del rispettivo avversario, i movimenti dell'elsa fatta oscillare dal braccio nemico, la ferocia negli occhi di entrambi.

Si trattava di un'autentica tempesta di spade.

Un colpo verticale di Takeshi sfiorò il sopracciglio di Karasu, che era riuscito a schivare un attimo prima di venir accecato; si avvertì con chiarezza il rumore dell'aria tagliata dal fendente.

Karasu reagì subito, schiantando l'elsa della sua spada, carica di Hardening Kaika, nello stomaco dell'altro, per poi piantargli il fodero sul mento con un rapido movimento dal basso verso l'alto.

Takeshi dal canto suo rispose con un calcio laterale dritto al fianco destro dello sfidante, il quale si piegò su sé stesso per un momento.
Riuscì poi a evitare, attraverso una schivata all'indietro, un tentativo di decapitazione di Takeshi, ritrovandosi ferito solo superficialmente sul petto.

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