Capitolo 132

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SAGA DEL CONTINENTE OCCIDENTALE

"Perché viviamo?

Per migliaia e migliaia di anni, esistenze umane si sono susseguite, sbocciando e appassendo coronate da questa domanda a cui nessuno ha mai saputo realmente rispondere.

Le persone vanno avanti, respirano, camminano, procreano fino ad arrivare al proprio limite, spegnendosi senza nemmeno essere consapevoli del senso dietro ogni loro azione. Senza sapere se ne esiste almeno uno.

Come si può descrivere la vita, innanzitutto?

Una forza attiva propria degli esseri animali e vegetali, in virtù della quale essi sono in grado di muoversi, reagire agli stimoli ambientali, conservare la propria forma e riprodurla in nuovi organismi simili a sé.

Ma può essere molto più di questo per chi possiede una ragione.

La vita genera paura nelle persone. Quella istintiva che accompagna in ogni istante, quella che essa venga stroncata, sebbene ciò sia inevitabile. Gli esseri viventi tendono naturalmente a essa.

Ma non hanno idea di cosa sia, o di che scopo abbia.

La vita genera unione. Ogni essere necessita di suoi simili durante il suo percorso. Non si può esistere da soli. Si mettono radici nei cuori degli altri, le vite stesse si intrecciano.

Ma allo stesso tempo non ci si può comprendere appieno l'un l'altro.

Il senso dell'esistenza sfugge a ogni essere umano, sebbene sia illuminato dalla ragione. Potersi porre domande su ciò che non si potrà mai conoscere fino in fondo è davvero una benedizione?

Le persone sono ammorbate da vincoli e catene che imprigionano la loro essenza, della quale sono ignoranti. Qualcosa di così imperfetto è realmente meritevole di continuare a protrarsi?"




Il piccolo Taiyo ansimava mentre il suo fiato si disperdeva a causa della concentrazione massima che aleggiava sul suo viso. Le mani erano tremanti lungo l'impugnatura della sua lama e i tendini tesi per lo sforzo.

Da ore, il bambino continuava a compiere sempre la stessa sequenza di gesti, nella distesa verde che era il suo campo di allenamento.
Sotto gli occhi vigili e pazienti della sua maestra, non faceva altro che alzare la spada di legno sopra la sua testa per poi calarla con decisione verso il basso, davanti al viso. Ogni volta l'aria che l'oggetto ligneo fendeva rialzava appena il suo crine di miele.

Dapprima, l'energia richiesta era stata minima e il ragazzino aveva cominciato a tempestare un bersaglio invisibile di colpi, galvanizzato dal poter usare un'arma anche se innocua. Però, col passare dei minuti, e poi delle ore, la tutrice non accennava a dirgli di smettere e lo rimproverava, invitandolo pacatamente a proseguire ogni qualvolta si fermasse. Così, i muscoli avevano iniziato a bruciargli e il sudore a imperlargli la pelle dorata per l'esposizione prolungata al radioso sole del villaggio di Araumi.

Quello in cui ormai viveva da qualche anno, assieme alla sua insegnante.

"Maestra Tsuki, non posso fermarmi un po'? Mi fanno male le braccia!" Si lamentò il piccolo, con tono acuto e lagnoso.

La ragazza poco più che ventenne sospirò appena col suo leggero respiro, quasi etereo. "Altre cento ripetizioni e abbiamo finito, dai." Lo esortò, senza alzare la voce. Era sempre così condiscendente nei modi, ma allo stesso modo inflessibile, pur non scaldandosi mai.

Taiyo semplicemente non riusciva a protestare quando Tsuki stabiliva qualcosa. Non sentiva proprio l'impulso di farlo, come se lei avesse un naturale carisma, un'indole autoritaria che traspariva anche attraverso la sua calma esteriore.

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