Capitolo 129

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Somber era immobile ad assaporare l'aria familiare del vialetto percorso da pietrisco e fanghiglia al di fuori del luogo che ormai considerava come una casa. Il dojo del maestro Fujiwara Taiyo, quello dove aveva vissuto per mesi, si era migliorato giorno dopo giorno, aveva stretto legami ed era cresciuto, interrogandosi spesso su sé stesso e il suo futuro.
Ciuffetti d'erba spuntavano dal ciglio dello stretto viale in un guizzo di vitalità. L'ombra proiettata dagli alberi oscillanti nei dintorni rinfrescava la sua pelle e il suo animo, rallegrandogli l'umore come al solito.

In quel paesaggio dominato dalla quiete, al di fuori dell'abitazione rustica ma accogliente in legno e cartapesta immersa nella natura, il giovane uomo ripensava ai giorni in cui era solamente un ragazzo, e passava le sue giornate a sognare il suo divenire insieme agli amici che lo accompagnavano sempre, e ancora oggi possedevano un pezzo del suo cuore.
Con un sospiro, Somber avanzò di un metro, poi due, fino ad arrivare lentamente oltre il cancello principale in ferro un po' arrugginito. Quanto gli era mancato. Era dolorosa, quella gioia che provava. Eppure, così bella.

Ma non poteva lasciarsi abbindolare da quei sentimenti nostalgici: aveva qualcosa di importante da fare, era tornato lì per uno scopo preciso.

Dopo l'ambiguo sogno in cui dopo anni gli era riapparsa Mingtian, la ragazza con cui era praticamente entrato in simbiosi dopo essere venuto in contatto con i resti del suo Kaika, aveva improvvisamente ricordato il volto correlato al suo risveglio nell'ospedale di Gloomport Town in seguito al periodo passato in stasi totale, privo di sensi. Ed era proprio quello appartenente al suo maestro. Avvolto, tra l'altro, da una strana energia verde acceso, qualcosa che era transitata da Somber a lui, prima che si ridestasse.

Se quel qualcosa, come aveva intuito Somber, era la stessa che aveva risvegliato il Kaika di Mingtian, portandola alla morte a causa della superstizione dei marinai con cui viaggiava per il Continente orientale cinquant'anni prima, allora doveva essere divenuta parte anche di lui. E di conseguenza del maestro Fujiwara.

Magari nei suoi alloggi avrebbe trovato qualche indizio utile, un lascito nel quale veniva spiegata l'entità di quella maledizione. Poiché era questo il nome che Somber le affibbiava spontaneamente. D'altronde, non aveva portato altro che guai e dolore.

Con questi pensieri nella testa, lo spadaccino dalla chioma nero-verde si accinse a varcare la soglia d'ingresso al vasto giardino del dojo. A prima vista pareva non esserci nessuno.

"Che strano, il dojo è sgombro?" Sussurrò Somber. I suoi compagni in quel momento erano al fronte, quindi di certo non potevano essere lì. Sperò con tutto sé stesso che se la cavassero, tornando tutti sani e salvi.

D'un tratto, quando attivò il Vision Kaika per valutare se effettivamente non ci fosse nessuno, avvertì una presenza mite alla sua sinistra. Fu allora che, dopo essersi voltato con calma, vide un'armoniosa sagoma femminile appoggiata alla staccionata in quella direzione. Era seduta e le sue gambe penzolavano nel vuoto.

Somber riconobbe vagamente quei capelli grigiastri adornati da due treccine che si univano dietro la nuca. Un paio di occhi blu marino, grandi e dal taglio pronunciato, lo osservavano con fare spaesato.

"Tu sei... Somber, giusto?" Esitò la giovane, una volta che lui si fu avvicinato.

Questo la squadrò da capo a fondo, soffermandosi su quelle iridi così profonde da sembrare due gorghi oceanici che risucchiavano il suo sguardo. Fu allora che ricordò di averla già incontrata una volta, proprio al dojo.

"Sono io." Rispose. "Mentre tu saresti la sorella di Alex, se ben ricordo."

Lei gli rivolse un sorrisetto lieto, le gote tonde lievemente arrossate. "Esatto! Mi chiamo Sybil, è un piacere rincontrarti, Somber."



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