Capitolo 66

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Dismal era un sobborgo molto degradato, situato a nord del Continente centrale.

All'interno dei suoi bassifondi regnava l'anarchia più totale: bande di teppisti e delinquenti giravano per i quartieri spogli e rovinosi senza ostacoli o freni, diversi orfani bazzicavano qua e là in cerca di viveri e beni primari per sopravvivere un giorno in più, dimenticati da tutti.
Persino in tempi di dopoguerra e rinascita, quella zona era completamente ignorata e lasciata a sé stessa, così come le persone che vi abitavano.

Per questo motivo a Dismal si consumavano traffici illegali e attività criminali di ogni genere, era un paradiso per la malavita, dato che nessuno, nemmeno il governo, era disposto a fare qualcosa per migliorare le condizioni della cittadina.

Durante uno dei tanti pomeriggi assolati in quei bassifondi, un trovatello dai capelli e gli occhi nerissimi si aggirava per un largo marciapiede pieno di fosse e sassolini, con uno sguardo spento sul viso tondo e roseo.
Alla sua destra c'era un campetto da basket, il cui perimetro era segnato da una serie di sbarre arrugginite e rossastre, roventi per l'esposizione ai raggi solari, in cui diversi bambini giocavano insieme, sudando e urlando.

Il ragazzino ignorò completamente la scena, senza nemmeno provare ad accostarsi a essi.

Poco più avanti però, scorse una figura che attirò maggiormente la sua attenzione.
Notò, appoggiata al muretto basso davanti alle sbarre, una piccola e incredibilmente esile ragazzina dalla pelle candida, i capelli bianchi e un paio di grandi e intensi occhi dorati, osservare con rassegnazione i bambini che si divertivano.

L'orfano riuscì a sentire il suo stomaco brontolare anche da dieci metri di distanza e capì che si trattava di una bambina sola, affamata e abbandonata, proprio come lui.

Dopo aver calibrato il rischio di farsi scoprire da lei, decise di passarle davanti velocemente e lasciare ai suoi piedi un mezzo panino che teneva in tasca, trovato tra gli avanzi di un bidone fuori da un bar.

"Eh?"

La ragazza parve accorgersene troppo tardi, lui era già distante quando alzò gli occhi per guardarlo.
Distinse solo la sua schiena e metà del suo viso, nel momento in cui per un attimo il ragazzo voltò lievemente il capo verso la sua direzione, con aria furtiva.

L'orfanella osservò, titubante, il mezzo panino ai suoi piedi, avvertendo i morsi della fame. "È stato lui...?" Mormorò con la sua vocina.

Dopodiché, senza tanti complimenti, iniziò ad addentare quel generoso regalo con gran furore.


Con il passare delle giornate, la scena si ripeteva: il ragazzo passava furtivo davanti a lei, la quale faceva finta di non notarlo, seduta sul muretto all'esterno del campo da basket, e lasciava del cibo o dei vestiti che aveva rubato in giro sul marciapiede.

Ogni volta la bambina scrutava la schiena del benefattore allontanarsi a passo veloce, e lo ringraziava tacitamente.
L'altro si voltava di novanta gradi e le rivolgeva un sorrisetto complice, che lei puntualmente ricambiava.

Nonostante fosse afflitta da una profonda solitudine, in quell'abitudine condivisa con il ragazzino orfano trovava conforto.
Sentiva che il suo peso era in parte condiviso e avvertiva maggiore leggerezza.

"Anche lui non ha un posto dove tornare a fine giornata, qualcuno che può chiamare mamma, papà, fratello o sorella. È solo al mondo, proprio come me." Pensava l'orfana ogni volta che lo rivedeva.

Un giorno come un altro, il ragazzo non trovò nulla da mangiare e non incappò in alcun vecchio indumento.
Decise di non passare dinanzi al solito luogo, così da non deludere la sua compagna.
Passeggiò, scoraggiato e senza meta, per una zona isolata piena di siepi che delimitavano varie abitazioni tradizionali e dojo.

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