Guardians

By Reigan10

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[Completa - in revisione] In seguito alla terribile Guerra Rossa avvenuta dieci anni fa, il Continente centra... More

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Prologo
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Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
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Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
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Capitolo 15
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Capitolo 18
Capitolo 19
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Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
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Capitolo 35
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Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
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Capitolo 41
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Capitolo 45
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Capitolo 47
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Capitolo 49
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Capitolo 51
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Capitolo 53
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Capitolo 81
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Capitolo 87
Capitolo 88
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Capitolo 91
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Capitolo 93
Capitolo 94
Capitolo 95
Capitolo 96
Capitolo 97
Capitolo 98
Capitolo 99
Angolo Autore
Capitolo 100
Capitolo 101
Capitolo 102
Capitolo 103
Capitolo 104
Capitolo 105
Capitolo 106
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Capitolo 108
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Angolo Autore 2
Capitolo 132
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Capitolo 137
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Capitolo 140
Capitolo 141
Capitolo 142
Capitolo 143
Capitolo 144
Capitolo 145
Epilogo
Grazie!

Capitolo 134

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By Reigan10

Era tarda mattina nel villaggio di Araumi, e lungo una staccionata che percorreva distesi campi ricolmi di svariate coltivazioni autunnali, tre ragazzi si godevano il clima mite sotto un cielo cosparso da sporadiche nuvolette bianche.
Presso le diverse assi di legno l'erba diveniva a tratti più incolta, abbarbicandosi come rampicanti su di esse o sfiorandole. Il venticello ne dettava il ritmo, e così era anche per le chiome dei compagni che beneficiavano di quella quiete.

L'unico i cui capelli non presentavano il classico colorito del popolo omonimo al villaggio, Fujiwara Taiyo, era al centro tra i due suoi amici con cui soleva trascorrere le giornate tra un allenamento e un altro. I suoi unici contatti insieme a Tsuki, le sole persone con le quali fosse riuscito a legare. Per qualche motivo, il resto dei bambini, e talvolta anche degli adulti, avevano sempre guardato con apprensione sia lui che la sua maestra, poiché vivevano isolati ai margini dell'insediamento.

Ma non quei due: una ragazza dal sorriso caldo, in quel momento alla sua destra, e un giovane alto e dall'aria tranquilla sulla sinistra.

Honda e Juntaro.

Non si erano mai fatti problemi a frequentarlo. A loro non era mai importato dei pregiudizi o della paura riguardo la tetra diversità della donna con cui viveva. Erano suoi amici, e rimanevano accanto a lui incondizionatamente.

"Oggi si sta proprio bene, però mi annoio di giocare ancora nei campi." Esordì l'amico, dal taglio di capelli corto e dinamico pettinato verso destra e gli occhi un po' pigri.

"Già, Juntaro ha ragione. Facciamo qualcosa di diverso. Magari visitiamo casa tua, Taiyo?" Propose la ragazza, che invece li portava tirati all'indietro con una retina che mostrava la sua fronte spaziosa e due treccine pendenti dietro la nuca.

Taiyo inarcò le sopracciglia a quella proposta inaspettata. "Casa mia? Non hai... paura di avvicinarti come tutti gli altri, Honda?"

Lei, seduta sopra la staccionata con le gambe penzoloni, scosse la testa con giocosità, sporgendola poi verso il compagno biondo e rivolgendogli un gran sorriso di cuore.

"Affatto! Anzi, ci stavo pensando da un po' e sarei proprio curiosa di conoscere questa Tsuki di cui ci parli così spesso!" Esclamò, le guance tonde e arrossate ad adornare la sua espressione vitale.

"Vale anche per me." Disse Juntaro. "Dopotutto, una persona che fa da maestra a uno scalmanato come te senza chiedere nulla in cambio dev'essere buona per forza. Non avrà mica secondi fini come riportare in vita il clan Fujiwara o robe del genere?" Borbottò con la sua parlantina lenta e trascinata.

Era uno che non badava al tatto quando parlava, ed esternava semplicemente i suoi pensieri senza problemi. Forse fin troppo.

"Non che io sappia." Scherzò Taiyo. "E per la cronaca, sono cresciuto con lei, non so molto del mio clan, a parte che non esiste più... beh, comunque se ci tenete così tanto posso chiederle se va bene ospitarvi per pranzo. Conoscendola, sarà d'accordo." Si grattò il capo con indolenza, staccando la schiena dal palo di legno su cui era posato.

Taiyo non ricordava nulla del suo clan d'origine, menzionato da Juntaro. Sapeva solo che era molto potente, ma un'epidemia improvvisa l'aveva sterminato quando era neonato, e lui era l'unico sopravvissuto. I suoi genitori, per non contagiarlo, l'avevano affidato alla famiglia di Tsuki, che era solita visitare il loro villaggio per barattare carni e pelli, come molti nel villaggio di Araumi. Così, Taiyo era cresciuto insieme a lei e la sua famiglia, fino a quando successe qualcosa che privò Tsuki dei suoi genitori.

Taiyo non era mai stato reso consapevole di cosa esattamente fosse accaduto. Né da Tsuki, che pure ricordava poco, né dal resto del villaggio, che a quanto pareva non era incline ad affrontare l'argomento.

L'unica cosa che era riuscito a captare dalle voci era che quella catastrofe non aveva colpito solo la famiglia di Tsuki, e soprattutto che poco dopo i capelli di lei avevano iniziato a cambiare, mischiando al comune blu indaco uno strano verde luminoso.

Non sapeva cosa, ma doveva essere per forza accaduto un fatto grave che aveva a che fare con lei. Nei suoi occhi di tanto in tanto leggeva sempre qualcosa di seppellito in profondità, sotto un abisso di calma esteriore pressoché totale. Qualcosa che somigliava alla paura.

Per quell'episodio adesso tutti evitavano sia lui che Tsuki, che per Taiyo era una vera e propria tutrice oltre a una maestra, nonostante avessero solo otto anni di differenza.
Tutti tranne Juntaro e Honda, che invece amavano vivere le giornate con lui.

Così come la sua misteriosa maestra, anche loro due erano persone davvero rare da trovare al mondo.

"Sono sicura che andrò un sacco d'accordo con la tua insegnante, Taiyo! D'altronde, tra donne ci si capisce. Sono stanca di stare sempre in mezzo ai maschi." Ammiccò con ironia Honda.

"Perché, non sei un maschio anche tu?" Juntaro sgranò le palpebre, facendo finta di essere appena venuto a conoscenza di una verità scioccante.

"Juntaro! Che vorresti dire, eh?!" Sbottò Honda, seccata. "Sei sempre troppo diretto, brutto asociale!"

"Lasciami stare, per favore..."

Taiyo rise di gusto alla scena, avvolgendo le braccia attorno al collo dei compagni, che ricambiarono con ampi e calorosi sorrisi.

Voleva loro bene.

Per lui erano una famiglia, persone che lo accettavano e lo facevano sentire a casa ovunque fosse. Era fiero del fatto che volessero visitare la sua modesta capanna nel verde, dove conservava ogni ricordo più prezioso. Con loro poteva condividerli. Voleva farlo.

"Allora, andiamo. Vi mostro la strada, amici." Affermò, gioioso, incamminandosi insieme ai due verso il sentiero in salita che conduceva sulla collinetta isolata in cima alla quale abitava.



L'ufficio del presidente in carica al governo Guardians era situato all'ultimo piano della sede centrale del governo, che consisteva in un altissimo grattacielo nel quartiere principale della capitale denominata New Spring.

Oltre la spessa vetrata in plexiglass che occupava tutta la parete in fondo alla sala di medie dimensioni, Larina Sadame poteva osservare dall'alto quasi l'interezza del complesso cittadino nel suo frenetico e vivace viavai.

La vita era tornata alla normalità dopo la lenta fine delle guerra, la gente aveva ripreso a muoversi, agire e vivere scandendo il ritmo elevato e talvolta esasperante della quotidianità. Il conflitto era ormai stato lasciato alle spalle, le cellule ribelli ancora pulsanti nel cuore di Southfield erano rare e, soprattutto, deboli.

Ciononostante, le vittime mietute dalle violenze che per circa quattro anni si erano susseguite durante la Seconda Guerra Rossa non potevano essere completamente dimenticate. A Larina, assorta dall'altro lato del vetro, non sembrava giusto. Non poteva accettarlo, era impossibile passare oltre e basta senza rivolgere almeno un pensiero all'umanità che dall'uomo stesso era stata calpestata, ancora una volta.

Non era in grado di affrontare come se nulla fosse la successione a colui che aveva dato la vita nel confitto, tentando di porvi termine come molti altri. Il presidente Joshua Faraday.

Un uomo come lui, un pilastro che semplicemente con la sua nomea era stato per anni in grado di mantenere un fragile equilibrio nel continente e nei rapporti con l'estero, poteva davvero essere sostituito con tale facilità?

Sarebbe stata all'altezza? Avrebbe fallito? Un'altra guerra sarebbe per caso scoppiata in futuro, senza che lei fosse riuscita a impedirlo?

Ricordava che Faraday era sempre stato mosso da buone intenzioni, ideali positivi. Durante la prima occupazione dei Guardians nel Continente centrale, intendeva portare benessere e migliorie in ogni campo, in maniera pacifica. Così come aveva avviato la spedizione nel Continente orientale, anni dopo, con la convinzione di colonizzare un luogo che credeva fosse vuoto.

Alla fine, anche un uomo saggio e previdente come lui, con decenni d'esperienza alle spalle, era stato colto alla sprovvista da imprevisti, malcontenti o condotte discutibili di vari individui con cariche importanti come Goro Konno, autore di grandi atrocità.
Persino il suo occhio onnipresente si era lasciato sfuggire parti cruciali dell'insieme.

Larina sospirò, sorseggiando il suo caffè appena fatto e voltando gli occhi verso la scrivania vuota al centro della camera.

Era terrorizzata al solo pensiero di occuparla. Presto o tardi la sua carica sarebbe stata ufficializzata, i voti sembravano essere per la maggioranza dalla sua parte, e aveva paura di deludere tutti.

Ma, allo stesso tempo, credeva nel suo progetto, e voleva assumersene la responsabilità in prima persona.
Una tratta commerciale con il Continente orientale, ora che la nuova regina Huô si era dimostrata propensa al riguardo assieme alla sua omonima principessa. I rapporti con il regno di Lyam, a sud, consolidati dal matrimonio tra Saito, nuovo ministro degli affari esteri, ed Estrella Rojas.
Tutto ciò poteva seriamente condurre a una lunga epoca di pace, che Larina auspicava dal profondo del suo cuore.

Aveva visto troppa morte, troppo dolore inflitto alle persone nella sua vita. Lei era sempre stata dalla parte dell'umanità, aveva sempre cercato la quiete, e ora poteva riuscire a realizzare quel suo desiderio quasi utopico, anche solo temporaneamente. Anche se fosse stata una fugace parentesi nella crudele storia del mondo.

Larina si avvicinò alla scrivania e raccolse il documento poggiato su di essa, scostato dalla pila di altre scartoffie che quell'impacciato segretario a lei simpatico di nome Jeff le aveva portato pochi minuti prima.

Lesse ancora una volta il contenuto nella sua mente:

"Si comunica di seguito la lista definiva in merito ai Guardians professionisti d'indole avventurosa che prenderanno partw alla spedizione per il Continente occidentale, organizzata e presieduta dalla Compagnia commerciale Santos&Co.

Alex Hill
Sybil Hill
Dorothy Goover
Emily Park
Somber Blacklight
Peter
Karen Gazinsky
Saito Okajima
Connor Gray
Satyria Smith
Ater Shade."

Gli ultimi tre nomi erano stati aggiunti solo nelle successive ristampe, per l'avviso in ritardo che Amber aveva inviato al governo.
Larina sospirò ancora e si sgranchì le spalle. Quella spedizione rappresentava l'ultimo vero pericolo al futuro di serenità mondiale a cui ambiva.

"Spero che riusciate nella vostra impresa, ragazzi. Me lo auguro con tutta me stessa." Sussurrò, le labbra dischiuse come petali di viola. "E soprattutto spero che non ne soffrirete troppo, quando farete ciò che dovrete."

L'immagine di Fujiwara Taiyo le invase la mente, accostando la luminosità contagiosa che aveva sempre trasmesso alle verdi tenebre da cui era stato inglobato, come una lucciola che annega in un lago di notte.

Ciò non fece altro che renderla ancora più inquieta, e al contempo inciderle più forza per affrontare il futuro incerto.



L'ingresso di Jolly Hall era esattamente come Emily lo ricordava.

Mentre lo osservava, al centro tra Peter e Alex, i suoi occhi sembravano grandi ed espressivi come quand'era ancora una bambina che insieme ai suoi due amici d'infanzia giocava sull'erba del giardino, al di fuori di quello stesso portone austero.

Sia quello che lo stesso cortile adesso le apparivano molto meno ampi rispetto alla prospettiva di anni prima.

Emily l'avrebbe voluta rivivere, quell'esistenza priva di veri problemi, di preoccupazioni. Almeno per un giorno, così da dimenticare tutto ciò che aveva visto negli ultimi mesi, ogni orrore. Ogni sua perdita.

Ancora le faceva male pensare a Takao e Soyo.

E sapeva che per Somber doveva essere lo stesso, ma non era ancora riuscita a parlagli seriamente, così aveva deciso di andare a trovare Miss Gilda per rassicurarla sulla sua incolumità, assieme ai due vecchi amici con cui ora era lì, a riallacciare i rapporti sospesi, ma non perduti.

Quello mai.

Poteva considerarsi fortunata ad avere la possibilità di farlo nonostante fosse stata una ribelle, e tra le più pericolose. Ma forse era proprio per questo che il governo Guardians aveva deciso di concederle un'altra possibilità.

Usa i tuoi nemici più potenti, rendili tuoi alleati dopo averli sconfitti.

Questo era da sempre il loro modo di prevenire qualsiasi tentativo di ribellione. Dopotutto, era facile adattarsi, lasciarsi andare, una volta che avevi perso tutto ma ti era concesso ancora vivere, stanco e ferito.

Yuki Miyamoto, proprio a causa di questo discorso, era entrato a far parte della Squadra d'Esecuzione Guardians, dopo la guerra. E sempre per quel motivo, Emily non poteva affatto biasimarlo. Non c'era più niente per cui combattere, a parte la propria vita e i propri ricordi.

Proprio per quelli si trovava davanti al gran portone, tremante per le emozioni interiori che ancora non era in grado di controllare del tutto. Certe tendenze non sarebbero cambiate mai davvero, si ritrovò a pensare, mentre Peter le rivolgeva uno di quei suoi sorrisi pieni di confidenza che lei aveva sempre tanto ammirato.
Così come la calma che Alex riusciva a trasmetterle anche solo standole accanto, nella sua completa compostezza.

"Ci siamo: Jolly Hall." Disse con un fil di voce la ragazza. "Non so con quale faccia io possa presentarmi dopo essere fuggita e aver combinato tutti quei casini..." si colpevolizzò, afflitta.

Peter le scompigliò rapidamente le ciocche di carbone, sicuro nella gestualità. "Non essere così flemmatica, Emy, o miss Gilda si incupirà. Sappiamo com'è bacchettona!" Scherzò. "Pensa che io mi sono fatto vivo solo dopo tre anni, e con una telefonata! Se dovessimo fare a gara a chi l'ha fatta preoccupare di più, direi che ce la giocheremmo." Sorrise.

Un sorriso genuino, che rallegrò all'istante Emily.

Sebbene lei fosse di indole emotiva, raramente sapeva lasciarsi andare come Peter. Era più schematica, persino nel controllare ciò che provava. Lasciava fluire spesso liberamente le sue emozioni, ma non lasciava mai che prendessero il controllo. E si sorprendeva di come il compagno invece ci riuscisse senza vacillare. Era così forte da spaventarla, quasi. Oltre che affascinarla.

"A ogni modo, è bello sapere che alla fine, tra tutte le peripezie e il passare degli anni ci siamo ritrovati tutti qui, nel nostro posto d'origine." Affermò Alex, gaio.
Sorrise a Emily, che ricambiò di buon grado. Quasi non riconosceva il ragazzino tutto pelle e ossa da proteggere all'orfanotrofio. Adesso sembrava addirittura il contrario.

"Già, sono felice anch'io. Grazie, ragazzi... per non aver malgiudicato le mie scelte passate." Borbottò la giovane, imbarazzata.

"Tutti noi compiamo scelte basate su ciò a cui diamo la priorità. Non c'è nulla di sbagliato a seguire quello che l'istinto ci suggerisce, poiché rispecchia i nostri veri desideri interiori. Non hai nulla di cui scusarti, Emily." La rasserenò Peter, ricordando tutto ciò che aveva compiuto per scoprire la verità sui suoi genitori. E ciò che aveva fatto una volta esserne venuto a conoscenza.

Emily non ebbe il tempo di stupirsi di quella sua inaspettata saggezza, perché il portone di ingresso si aprì, lasciando passare la luce esterna, che fluiva tra gli alberelli bassi al di fuori del cancello blu, sul viso severo ma allo stesso tempo gentile della direttrice.

Miss Gilda.

"Bentornata, Emily." La salutò subito con un'espressione benevola che si aprì sul volto serio, addolcendolo proprio come la ragazza rimembrava.

Nulla era cambiato davvero lì, in quell'angoletto di mondo a lei caro, e questo la rendeva felice.



Si accomodarono tutti all'interno, attorno al tavolino in soggiorno accostato a una finestrella da cui subentrava la fresca brezza del verde paesaggio naturale in cui l'orfanotrofio era immerso.
L'arredamento era rustico e accogliente, i vari mobili in legno di mogano erano sempre gli stessi, solidi e affidabili nonostante la longevità. Il pavimento produceva ancora quello scricchiolio così familiare che trasmetteva loro all'istante il sentore di trovarsi a casa.

Per e Alex e Peter quel posto, insieme al dojo del loro maestro, era l'unico che potessero davvero chiamare tale.

Mentre per Emily nessun altro luogo era suo pari in fatto di nostalgia, di affetto.
Jolly Hall sarebbe sempre stato l'emblema della loro infanzia e, di conseguenza, di quella spensieratezza ormai perduta.

Miss Gilda poggiò sul tavolo le tazze di tè allo zenzero che inebriò le narici dei giovani col suo aroma frizzantino. Il tepore della tazza tra le mani riscaldò subito loro la pelle e l'animo.

"È tutto identico a prima, miss Gilda." Commentò Emily, un sorriso malinconico ad adornarle il volto. Teneva le maniche della felpetta che indossava alzate fino ai palmi delle mani, in modo da non scottarsi col calore emanato dalla tazza e godere al massimo del suo tepore. "Sono... sono dispiaciuta di essere sparita senza dir nulla. Mi dispiace davvero tantissimo..." il labbro inferiore prese a tremarle. Aver tradito la fiducia della dolce tutrice le faceva male.

Peter e Alex avevano fatto lo stesso, era vero, ma prima almeno erano riusciti a salutare miss Gilda.

La direttrice fece ondeggiare il dorso della mano con ampi gesti, come a dirle che non importava più, oramai. "L'importante è che tu stia bene, Emily. Posso capire che degli orfani vogliano andare alla ricerca delle loro origini, anche se devo ammettere che voi tre siete casi più unici che rari con la vostra malsana tendenza a cercarvi i guai..." bofonchiò, aggiustandosi le spesse lenti nere. "Per fortuna, Alex aveva promesso che ti avrebbe trovata e riportata qui, e pare che abbia mantenuto la parola. È davvero un ragazzo affidabile, dopotutto." Accennò un risatina di quelle che spesso aveva mostrato in passato, quando i loro comportamenti puri e infantili la divertivano. Per lei che li aveva visti crescere, probabilmente sarebbero rimasti sempre un po' bambini a cui badare.

Emily si voltò verso il ragazzo biondo con un ghignetto complice. "Già, Alex a volte è proprio incredibile." Ricordò la sua forza soverchiante al fronte, mista alle parole eloquenti con le quali era quasi riuscito a farle dubitare delle sue scelte. La furbizia era diventata una vera e propria arma per lui nel tempo, nonostante nel quotidiano fosse sempre stato piuttosto ingenuo.

"Con quella sua lingua tagliente di sicuro qualcosa ottiene sempre, anche se preso nei momenti tranquilli è un agnellino impaurito nel novanta per cento dei casi." Aggiunse Peter, sarcastico.

L'oggetto di quelle adulazioni si grattò il capo, imbarazzato. "Dai, non guardatemi tutti, mi mettete in soggezione..."

"Che vi avevo detto? Un agnellino..." confermò Peter.

"Comunque sia, spero tu abbia trovato ciò che cercavi nel frattempo, Emily." Affermò Gilda, fissandola con vigore da sotto le lenti e catturando la sua attenzione.

La ragazza assunse un'aria frustrata, infastidita. Non era riuscita a scoprire di più su quello strano sogno che l'aveva spinta a partire, in cui vedeva oltre la sua mano tesa verso il cielo una pioggia di frecce nere precipitarle addosso, fischianti.

"Avrei voluto dirtelo, ma tu eri già fuggita quando controllai gli archivi dell'orfanotrofio per ricordare informazioni su chi ti avesse lasciato qui." Continuò Gilda.

A quel punto, Emily alzò un sopracciglio, incuriosita come Peter e Alex ai suoi lati. Gli occhi le si spalancarono fino a diventare grandissimi a quelle potenziali rivelazioni.
"Che intende? Ha scoperto qualcosa?" Chiese con la bramosia nella voce.

Gilda sospirò. "Sì, Emily. Pare che tu sia stata trovata da qualcuno su un campo di battaglia, qualcuno che poi ti ha portata qui. Tua madre, testimoniava l'uomo, era una guerriera ribelle e morì sotto un mare di frecce per proteggere te, dopo un'imboscata nemica a sorpresa nell'accampamento dove era stanziata. Credo tu sia nata in guerra e lei stesse cercando di crescerti al meglio delle sue possibilità, senza rinunciare a combattere per ciò in cui credeva. Mi dispiace che tu lo sappia solo adesso."

Emily restò impietrita di primo acchito da quelle informazioni che caddero su di lei come quelle frecce erano piovute su sua madre.

Non conosceva nemmeno il suo nome, ma ora che quel sogno acquisiva un senso, ora che invece poteva chiamarlo per ciò che era, ovvero ricordo, sentiva di provare profonda ammirazione per la donna che l'aveva protetta con la sua vita. Si sentì fiera di aver avuto una madre così forte, per quanto sconosciuta.

"Grazie, miss Gilda. Le sono grata per aver deciso di condividere con me tutto questo..." Sentì gli occhi farsi lucidi, e una sorta di peso scivolarle via dal petto.
Ora poteva davvero ricominciare daccapo senza rimorsi, lo sentiva.

E l'avrebbe fatto insieme ai suoi due più vecchi compagni che adesso le stringevano con affetto le spalle. Oltre che con Somber, l'unico legame rimastole dai tempi bellici, che l'avevano formata.

La conversazione continuò così per circa altri venti minuti nella tranquillità generale, prima che i tre ragazzi salutassero la loro tutrice. All'esterno, dei bambini giocavano ad acchiapparella, e li guardavano curiosi con i loro occhioni innocenti.

Ricambiando i loro sguardi, Peter, Alex ed Emily pensarono che erano fortunati a poter vivere in quel luogo avvolto dall'amore. Che non fosse affatto scontato, e l'avevano imparato con l'esperienza nel crudele mondo a cui erano sopravvissuti, talvolta a stento.

"È ora di correre a prepararci, e magari allenarci un po'." Concluse Peter, osservando i nuvoloni neri provenire da ovest, e oscurare parzialmente il cielo. "Fra tre giorni partiremo."

Gli altri due sospirarono, ma gli sorrisero, forti del coraggio scaturito da anni di avventure e del legame che sentivano di aver ritrovato.

"Sì, andiamo." Disse Alex.

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