Akira non sapeva come comportarsi.
La ragazza, che non doveva avere più di sedici anni a giudicare dalle apparenze, la fissava con i suoi dolci occhi gialli, scintillanti nella sera.
I capelli mossi e azzurri dalle sfumature rosse sfavillavano fiammeggianti al buio, sotto il cielo blu avio coperto da nuvoloni grigi che preannunciavano la tempesta.
Tutto in lei ispirava fiducia nella giovane Araumi.
Nonostante l'avesse vista al fianco di Goro in entrambi i loro incontri con la sua maschera da gatto a coprirle il volto, il suo viso trasmetteva una gentilezza che portava istintivamente ad averla in simpatia.
Akira però non abbassò la guardia e la osservò con aria truce e diffidente. "Per quale ragione parlavi con Katsura e Shinobu, cosa vuoi da noi?" Chiese, pronta a difendersi nell'eventualità in cui fosse giunto il loro turno nelle deportazioni.
Lei rise, emettendo un suono mite e leggero. "Comprendo la tua perplessità, dopotutto indosso l'armatura da Guardian. Inizierò col presentarmi: mi chiamo Larina, sono onorata di incontrarti." Larina si inchinò con grazia.
Il tono della sua voce era molto pacato ed elegante, con una parlantina seducente che catturò subito Akira.
"Com'è formale nel rivolgersi agli altri... quasi tradizionale. Dai suoi modi non si direbbe che è di etnia Guardian." Pensò.
"Ti assicuro che le mie intenzioni sono benevole, e ti sarei grata se me le lasciassi esporre." Continuò Larina.
Akira gettò una rapida occhiata ai genitori di Nozomu, che le stavano rivolgendo dei goffi pollici alzati in segno di assenso.
Sembrava che avessero già discusso con la misteriosa donna.
Nell'euforia del gesto a Shinobu caddero anche gli occhiali per terra, non finiti in frantumi solo grazie all'erba soffice e bagnata.
"Va bene." Concesse la ragazza, porgendo Nozomu a Shinobu per farlo stare fermo. "Ti ascolto."
"Grazie infinite." Si chinò ancora Larina. "Verrò subito al dunque. Allora: domani sera ho intenzione di farti fuggire da qui."
"Come?!" Per poco Akira non scivolò dalla sorpresa.
Era un risvolto totalmente inaspettato in un momento così disperato, oramai si era quasi rassegnata al suo destino dopo lo scontro con Goro.
L'unica cosa su cui aveva continuato a scervellarsi era stata come convincere gli invasori a lasciar andare almeno il piccolo Nozomu.
"Ascolta cosa ha da dire, Akira. Possiamo coinvolgere anche Hatori e suo padre nella fuga!" Intervenne Katsura, raggiante.
"È tutto così improvviso." Sussurrò Akira, confusa, abbassando il capo.
"È normale che tu ti senta così, ma sta' a sentire la mia proposta e giudica tu stessa. Questa persecuzione disumana a cui voi Araumi siete sottoposti non è stata approvata da nessuno all'interno del governo, Goro l'ha organizzata di sua iniziativa alle spalle del nostro presidente, Joshua Faraday. Crede che sfruttando le vostre enormi potenzialità per fabbricare armi, costrutti e così via, condurrà i Guardians in uno stato di vantaggio nei confronti dei ribelli in caso di una lunga guerra civile.
Ciò che viene fatto alla tua gente è inaccettabile dal mio punto di vista, nemmeno in tempi come questi bisognerebbe subire certe torture..."
Akira ascoltava sconvolta le parole di Larina: sebbene avesse già intuito che le intenzioni di Goro fossero violente, non si sarebbe mai aspettata che stesse agendo in sordina, praticamente in maniera illegale.
"Ma quindi, questo vuol dire...!" Annaspò la giovane.
"Proprio così, dato che questo genocidio in piena regola non è autorizzato ufficialmente dalle autorità belliche e amministrative del nostro governo, nessuno vi inseguirebbe se fuggiste di nascosto. Ho già organizzato una piccola scorta che vi proteggerà fino ai confini di River Town, da lì potrete mimetizzarvi tra la gente della città, iniziando una nuova vita. Posso farvi partire domani all'imbrunire." Spiegò Larina.
"E gli altri abitanti?" Domandò Akira, affranta dall'idea egoistica di abbandonare tutti per il suo tornaconto.
O forse non abituata a essere lei quella a venire aiutata da terzi, per una volta.
"Mi dispiace, non posseggo abbastanza uomini da salvare tutto il villaggio, e in più la cosa sarebbe troppo plateale. Finiremmo in uno scontro aperto." Rispose Larina con sguardo triste, come se volesse scusarsi per non poter compiere una tale impresa. "Ma ti assicuro che farò del mio meglio per far sì che questa assurdità giunga al termine." Promise poi.
"È necessario, purtroppo, ma almeno la nostra famiglia e quella di Hatori sopravvivranno! Non essere troppo altruista, Akira. Il tuo è un comportamento lodevole, ma ti condurrà alla rovina." Aggiunse Katsura in tono grave.
Akira parve ancora titubante, ma nella sua mente si fece strada sempre più la volontà di vedere Hatori al sicuro, così come la sua famiglia adottiva e Nozomu.
Avrebbe finalmente potuto rendere coloro che amava felici, e tirarsi indietro per degli estranei che per lei tali rimanevano, nonostante appartenessero allo stesso villaggio, sarebbe stata come una mancanza di rispetto verso il loro legame.
Aveva deciso, il suo compito era proteggere solo chi si era guadagnato la sua fiducia e l'aveva sempre amata in modo sincero.
"D'accordo, mi fiderò di te, Larina. Domani attenderò qui il tuo arrivo." Concluse Akira.
Larina la irradiò con un sorriso luminoso. "Hai fatto la scelta giusta, vedrai che andrà tutto per il meglio. Ora, se permettete, dovrei andare prima che qualcuno inizi a sospettare della mia assenza."
La donna si voltò, dirigendosi verso l'uscita dell'orto immenso, con il mantello blu elettrico ondeggiante nel vento.
"Aspetta!" La chiamò Akira. L'altra girò il capo di novanta gradi per ascoltare. "Tu chi sei, perché lo stai facendo? Non sei fedele ai Guardians? Tutto questo ti metterebbe solo in pericolo!"
Sebbene fosse vero che le azioni di Goro non erano riconosciute dalle autorità, corrispondeva a verità anche il fatto che avrebbero portato grandi vantaggi ai Guardians per il futuro tumultuoso del Continente centrale.
Inoltre, se l'avessero scoperta, per lei la situazione si sarebbe fatta sicuramente spinosa, e questo per aiutare un gruppo di sconosciuti.
Larina mostrò un debole ghigno che ad Akira parve molto triste.
"Io sono fedele all'umanità. Nella mia vita, troppo spesso e con troppa facilità ho visto compiere azioni disumane. Non posso più permetterlo."
In seguito, Akira informò immediatamente uno stupefatto Hatori della faccenda, buttandolo giù dal letto.
Il ragazzo, titubante in un primo momento, decise infine di fidarsi di Akira come aveva sempre fatto. Anche per essere capace di far sfuggire suo padre, un uomo anziano dai capelli radi e la salute cagionevole, dalla persecuzione di Goro e i suoi seguaci.
Fu così che la sera del giorno seguente, i due, insieme ai loro cari, si riunirono nell'orto dell'abitazione di Katsura e Shinobu, attendendo Larina.
Durante tutto il corso della giornata Akira e Hatori erano stati di ronda per il villaggio di Araumi, assicurandosi che non ci fossero movimenti sospetti o possibili spie; ad Akira ancora sembrava un atto vile quello di fuggire di nascosto per salvarsi, lasciando indietro tutti gli altri.
La sua indole buona e gentile le impediva di ignorare persino chi era sempre stato freddo nei suoi confronti, allo stesso tempo però, comprendeva di non avere altre opzioni disponibili.
Quando finalmente Larina fece capolino nel cortile dal cancelletto della staccionata, interrompendo il continuo rimuginare della ragazza, iniziava a fare freddo e una leggera pioggerella punzecchiava i volti pallidi dei sei fuggitivi.
"Siamo pronti? Non penso ci abbiano seguiti, i miei uomini sono sulle pendici delle montagne alle spalle del villaggio. Vi basterà seguire il sentiero lungo il crinale a ovest." Esordì Larina, sbrigativa, mantenendo comunque la sua serenità contagiosa.
Solo vederla, splendida e maestosa nel suo lungo mantello, tranquillizzò Akira.
Hatori dal canto suo era arrossito non appena l'aveva vista arrivare.
"È perfetta..." pensò, sognante.
Larina se ne accorse e gli lanciò un'occhiata divertita con tanto di occhiolino.
L'altro abbassò la testa, incapace di sostenere lo sguardo, un sorrisetto nervoso stampato sul volto.
Notando la sua reazione, Akira non riuscì a fare a meno di pensare che sembrasse proprio uno stupido, e per completezza gli rifilò anche una gomitata nel fianco.
"Ahi! Ma si può sapere perché l'hai fatto?" Protestò lui.
"Sta' zitto." Mise il broncio Akira.
"Che hai così all'improvviso?"
"Niente." La ragazzina diede le spalle, gelida, al confuso Hatori e diresse la sua attenzione verso Larina. "Tu non vieni?" Le domandò, preoccupata.
La donna le appoggiò una mano sulla spalla. "Mi piacerebbe, ma a breve inizieranno i trasporti odierni e devo esserci, affido tutti a te. So che sei forte e che puoi farcela Akira, ti ho vista sfidare Goro l'altro giorno. Il tuo coraggio è stata la ragione principale per cui ho deciso di aiutarti, per questo sono sicura che riuscirai a risolvere tutto e vivere insieme alle persone che ami."
Commossa, Akira l'abbracciò d'istinto. "Grazie! Grazie per tutto quello che fai per noi!" Mormorò con la faccia affondata nella sua pancia.
Percependo il contatto con l'esile corpo di Akira, le braccia magre avvolte attorno alla sua vita, Larina pensò che in fondo si trattava pur sempre di una bambina in cerca di certezze in un mondo spietato, nonostante mostrasse una maturità unica per la sua fascia d'età.
Ancora una volta promise a sé stessa di fare tutto il possibile perché scene come quella non si manifestassero più sotto ai suoi occhi, e strinse forte Akira, gli occhi chiusi in una smorfia di dolore misto a una strana gioia agrodolce.
"Dobbiamo andare, Akira." La chiamò Shinobu mentre si sistemava gli occhiali con due dita.
Katsura, con Nozomu addormentato tra le sue braccia materne, fissava le due con un sorriso amaro.
Hatori invece sorreggeva suo padre, il quale faceva del suo meglio per non essere troppo di peso per lui.
Quando Akira si staccò da Larina con gli occhi strabordanti che trattenevano a stento le lacrime, le regalò un'ultima espressione grata e poi si voltò per incamminarsi con gli altri verso ovest, dove si trovava la via che passava tra le montagne dalle vette innevate.
Si girò un'ultima volta verso la loro benefattrice prima di allontanarsi troppo, ma Larina era già sparita, lasciando deserta quella che per anni Akira aveva chiamato casa.
Il gruppo di sei persone dunque lasciò il villaggio e, come aveva spiegato la loro benefattrice, si incamminò verso il confine a ovest, ognuno di loro coperto da dei mantelli blu scuro con cappuccio per non dare nell'occhio.
Shinobu procedeva davanti a tutti, seguito da Katsura e Nozomu, Hatori con suo padre e infine Akira, che chiudeva la fila.
Dopo quasi un'ora di cammino tra vaste lande pianeggianti oltre le abitazioni, raggiunto il punto in cui la vegetazione pianeggiante della valle di Araumi iniziava a inclinarsi verso l'alto, il gruppo imboccò un sentiero inizialmente molto stretto e impervio tra numerosi abeti.
Il suolo era secco e cosparso da friabili foglie morte dai colori che sfumavano dal marrone chiaro al granata, scuriti dal velo notturno.
Man mano che proseguivano, la strada si allargava e la pendenza diveniva sempre più elevata, mentre il paesaggio boschivo attorno si ampliava e il fruscio dei cespugli dovuto al passaggio di piccoli animali selvatici iniziava a essere più frequente.
Lungo la strada, a guidare i sei si stagliavano degli alti e imponenti torii: delle costruzioni tradizionali simili ad archi, formati da due colonne verticali sulle quali era poggiato un grande palo orizzontale.
Erano fatti in pietra, avevano un colore vermiglio e si susseguivano costantemente a una distanza di circa tre metri l'uno dall'altro.
Evidentemente, pensò Akira, quel sentiero era già stato utilizzato in passato, e il fatto che fosse attraversato dai torii ne era la prova. Ciò la tranquillizzò in quanto significava che sicuramente sarebbero sbucati in una zona non troppo selvaggia, dove non avrebbero corso particolari pericoli.
O almeno era ciò che sperava.
Hatori intanto camminava lentamente a fianco di suo padre.
"Ce la fai, papà? Non è troppo in pendenza la via?" Chiese il ragazzo.
"Tranquillo, non sono messo così male." Scherzò il padre con la sua voce gioviale.
Akira osservò la scenetta con un sorriso amorevole, mantenendo gli occhi sempre aperti per ogni evenienza.
"Ma quando arriviamo? Mi sono stancata di camminare!" Si lagnò Katsura dopo un'ora di cammino silente, con i capelli ancora più scompigliati del solito per l'umidità dell'aria nel bosco.
"Larina ha rivelato solo che avremmo trovato i suoi uomini dopo il sentiero, non ha mai specificato quanto fosse lungo il percorso." Ribatté Akira, causando un gemito annoiato della donna.
"Forza, lascia pure a me Nozomu." Shinobu sfilò con delicatezza il neonato dalla braccia della moglie, che gli sorrise affettuosamente.
Dopo qualche altro minuto, finalmente scorsero un'apertura a pochi metri da loro, dove i torii e gli alberi facevano posto a una larga radura.
Accelerarono, e una volta superato l'infinito passo tra le montagne che avevano attraversato, sbucarono davanti a uno spiazzo formato da uno stradone roccioso che deviava verso sinistra, attorniato in entrambi i lati dalla fitta vegetazione.
"Dove siamo capitati?" Si chiese Hatori, pensieroso. "Non sono mai stato al di là delle montagne dietro il villaggio."
"Guardate là!" Katsura saltellava di gioia mentre indicava loro un gruppo di cinque persone vestite con mantelli simili ai loro, ma dal colore beige nel marroncino, che si mimetizzavano con l'ambiente.
Erano tutti armati con delle katane ricurve, diverse da quelle dritte tipiche dei guerrieri Guardians.
Due di loro sembrarono accorgersi della presenza dei sei fuggitivi e si approcciarono a Shinobu.
Katsura e Akira lo affiancarono per accogliere i loro nuovi alleati.
"Salve, voi siete gli scocciatori?" Chiese un ragazzino indolente che non doveva avere più di tredici anni.
"Pagliaccio, ti sembra il modo presentarsi? Perdonate il mio amico, non sa vivere." Rispose il ragazzo accanto a lui, apparentemente della stessa età.
I due calarono i cappucci, mostrando i loro volti.
Quello pigro aveva capelli cespugliosi e azzurri, più scuri di quelli degli Araumi, con occhi da pesce lesso dello stesso colore.
L'altro invece aveva sia capelli che occhi nerissimi, e un volto gentile e rassicurante.
"Piacere." Salutò, sorridente, quest'ultimo. "Io mi chiamo Karasu, mentre l'idiota qui vicino è Takeshi."