"Ehm, ecco, scusate..." Peter si rivolse alle due guardie durante il viaggio, dopo all'incirca una mezz'ora di passo sostenuto.

"Mmh?" fece, interrogativo, Takeshi, coi suoi ciuffi arruffati che balzavano qua e là mentre camminava.

"Insomma, i vostri nomi e quello del maestro Fujiwara... sono molto diversi dal mio o quello dei miei amici. Per caso fate parte degli eroi spadaccini del governo Shihaiken che hanno combattuto nella Guerra Rossa?"

"Eroi? Non dire stronzate ragazzo, gli eroi salvano le persone, in guerra non ho fatto altro che ucciderle. A stento sono riuscito a salvare me stesso." rispose Takeshi.

"Ehi, non essere duro con lui." lo ammonì Saito. "Sì, siamo superstiti del massacro della Guerra Rossa, se è questo che volevi sapere. Cinque anni fa, quando il conflitto è finito e il governo Guardians si è stabilito nel Continente centrale al posto del governo Shihaiken, noi, il maestro e molti altri della nostra etnia ci siamo dovuti adeguare. Così abbiamo trovato diverse mansioni all'interno del nuovo ordinamento, perché le nostre abilità facevano comunque comodo. Il maestro fa da insegnante a giovani con tendenze suicida come voi, io e Takeshi sappiamo solo brandire la spada, così abbiamo deciso di diventare guardie."

"Non che la cosa ci piaccia." aggiunse Takeshi. "Ma era la scelta più logica da fare."

"Non vi capita di sentirvi in trappola? Di voler fare qualcosa?" chiese Dorothy, incuriosita.

"Col tempo ho capito che preferisco di gran lunga la vita alla morte, il suono del ruscello che scorre limpido vicino casa mia a quello del sangue torbido che sgorga. Ho l'opportunità di vivere facendo quello che so fare meglio. Pochi possono dire lo stesso in questo mondo." affermò Takeshi, lievemente malinconico in volto.

Dorothy pensò che sembrasse un'idiota, ma che desse anche l'impressione di essere molto maturo. Quell'uomo aveva qualcosa nel suo atteggiamento che lei riconosceva vividamente. La ricerca continua di luce, in un mare di oscurità, di disperazione. Ma quella disperazione era roba di cui era difficile sbarazzarsi.

 Ma quella disperazione era roba di cui era difficile sbarazzarsi

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Arrivarono a destinazione al tramonto. Nessuno aveva più parlato granché durante il resto del viaggio, ma ai quattro amici era andato bene così: si sentivano ancora molto scossi dopo gli ultimi avvenimenti del concorso, e grazie alla calma dell'ambiente rurale circostante erano riusciti mano a mano a tranquillizzarsi e a sentirsi al sicuro.

Peter osservò il luogo in cui si sarebbero allenati da lì in poi: era un vecchio dojo di legno, nello stile del vecchio regime, con un ampio cortile delimitato da una staccionata. A prima vista, quel luogo sembrava uscito direttamente da uno di quei vecchi fumetti di samurai che il ragazzo amava leggere all'orfanotrofio.

La struttura in armonia col paesaggio boschivo circostante, Il tetto spiovente da cui discendevano come cascate i canali di scolo coperti di fronde e foglie morte, il portico che delimitava il perimetro dell'abitazione, su cui erano stati lasciati un paio di sandali in legno, lo rendevano un posto romantico. Quasi idilliaco.

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